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Vita di Dante/Libro I/Capitolo III

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Capo Terzo - Amore e poesia, in puerizia e adolescenza. La prima idea del poema.

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Capo Terzo - Amore e poesia, in puerizia e adolescenza. La prima idea del poema.
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CAPO III.




amore e poesia, in puerizia e adolescenza — la
prima idea del poema.


(anni 1274-1289)



Ma tratterò del suo stato gentile
     Donne e Donzelle amorose con voi,
     Chè non è cosa da parlare altrui.



Il Boccaccio, il quale (oltre a un capitolo della Cronaca di Giovan Villani) è il solo contemporaneo tra’ biografi di Dante, diede una grande importanza all’amore di lui per Beatrice, e fu perciò gravemente rimbrottato, prima da Leonardo Aretino posteriore d’un secolo, poi da molti altri1. Ma non sapendo io scostarmi [p. 56 modifica]dal primo, era quasi per pregare que’ disprezzatori accigliati, di voler trapassare il presente capitolo; se non che noi concede Dante stesso, il quale scrisse dell’amor suo un libello giovanile, e protestò in fine, aver quindi avuto il suo primo pensiero, quindi prese le mosse all’opera immortale, che ei proseguì con crescente affetto fino all’ultimo de’ suoi giorni. Rinuncino dunque a un tratto a intender la vita e la divina opera di Dante tutti coloro, che non vogliano ammettere del pari que’ duo gran motori dell’ingegno e dell’attività di lui, come di tanti altri; l’ardore politico, e l’affetto di amore. Coloro poi, che abbiano con esso tanta dipendenza d’ingegno o tanta comunanza d’affetti da poter compatire alle passioni o debolezze di lui, non isdegneranno, spero, di scendere ai particolari in che egli tanto si compiacque. E n’avranno esempio, non di libidine nè di languori, ma di operosità e di grandezza.

Chi facesse una storia dell’amore in Italia, farebbe forse la più evidente che si possa, de’ costumi de’ varii secoli di essa. Basterebbero i fatti di Rosmunda e di Romilda a mostrare la nativa ferocia de’ Longobardi; come quelli di [p. 57 modifica]Gundeberga e di Teodota, ad accennare tal barbarie alquanto ingentilita e dalla principiante cavalleria, e forse anche più dal loro conversare con gl’Italiani. La storia della infelice figliuola di Desiderio, a cui tanto ci fece impietosire il Manzoni mostra in qual disprezzo fosse caduta la nazione Longobarda e appresso ai Franchi, e appresso ai nativi Italiani. E come poi quelle scellerate donne e quegli infami amori di Marozia ed altre contemporanee di lei ci ritrarrebbero al vivo gli abbominevoli costumi di quei Duchi e Marchesi, anzi pur troppo di parecchi pontefici del secolo X; così la storia sola della santa e bella regina Adelaide serve a spiegarci quel castigo di Dio, a che consentirono gli uomini quasi disperati di trovar virtù virili ne’ femminili in Italia, quando si trasferì la corona, la sovranità dalla patria allo straniero. Cent’anni dopo, la libidine degli Ecclesiastici, principalmente de’ Lombardi, fu quella che più d’ogni altra cosa destò l’ira santa di Gregorio VII, e lo spinse in quella carriera di restaurazione in che aiutato dal popolo Italiano, aiutollo egli a vicenda. Quindi, da tal lega della religione colla patria vennero l’indipendenza, i costumi, [p. 58 modifica]la famiglia, e i legittimi amori così ben descritti dal Cacciaguida. E finalmente (per non oltrepassare l’epoca, di che parliamo, e non venire più giù agli amori insanguinati del 1300 e del 1400, agli sfrenati del 1500, ed agli effeminati del 1600 e 1700, fino a Parini, Alfieri e Napoleone, che ce ne guarirono), ai tempi dico di Dante e Petrarca, se non erano più così semplici gli amori ed i costumi come testè, ei furono fecondi almeno di altissima poesia; tanto che, cantate da’ loro amatori parecchie donne di quel tempo, toccò a due di esse la sorte, qualunque sia, d’esserne immortalate. E servaci così di nuova scusa l’importanza storica di siffatti amori.

Chi voglia poi intender bene la vita privata e pubblica dei cittadini o vicini del medio evo, è necessario si figuri non solo i piccoli interessi di ogni città, ma anche quelli più piccoli del sestiere, o vicinato, in che vivevano. Vedremo altrove sorgere da tali circostanze anche gli eventi politici della vita di Dante. Qui intanto è da sapere, che vivendo Alighieri il padre e suoi consorti discendenti di Cacciaguida nelle lor case presso a s. Martino del [p. 59 modifica]vescovo, vivevano nel vicinato presso a S.ª Margarita Folco Portinari (che fondò poi il grande ospedale di S.ª Maria Nova), la moglie di lui donna Cilia di Gherardo de’ Caponsacchi, ed una loro fanciulla nomata Beatrice, o Bice con vezzo fiorentino. Di questa dice Dante al principio del suo libello, che ella avea poco più che compiuto il suo ottavo anno, ed egli era presso a compiere il nono, quando ella apparve prima agli occhi di lui. «Ella parvemi vestita d’un nobilissimo colore umile ed onesto sanguigno, cinta e ornata alla guisa, che alla sua giovanissima etade si convenia. In quel punto dico veramente, che lo spirito della vita, il quale dimora nella segretissima camera del cuore, cominciò a tremare sì fortemente che apparìa nei menomi polsi orribilmente. . . . . . . . . Da indi innanzi dico, che amore signoreggiò l’anima mia, la quale fu sì tosto a lui disponsata; e cominciò a prender sopra me tanta sicurtà, e tanta signoria per la virtù, che gli dava la mia immaginazione, che mi convenia fare compiutamente tutti i suoi piaceri. Egli mi commandava molte volte, ch’io cercassi per vedere quest’agnola giovanissima; [p. 60 modifica]e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, che certo di lei si potea dire quella parola del poeta Omero: Ella non parea fatta d’uomo mortale, ma da Dio.»2

Altri particolari concordanti ci sono poi dati dal Boccaccio. Al primo giorno di maggio era allora in Firenze un lieto costume, or trasportato al dì dell’Ascensione, di festeggiar l’entrante primavera. Or si fa per lo più alle Cascine, ma facevasi allora «per le contrade della città, e in distinte compagnie. Per la qual cosa fra gli altri per avventura Folco Portinari, uomo assai onorevole in quei tempi tra’ cittadini, aveva i circustanti vicini raccolti nella propria casa a festeggiare. Infra li quali era il giovine nominato Alighieri; il quale (siccome i fanciulli piccoli, specialmente a’ luoghi festevoli, sogliono li padri seguitare) Dante, il cui nono anno non era ancor finito, seguitato aveva. Avvenne, che quivi mescolato tra gli altri della sua etade, de’ quali così maschi come femmine erano molti nella casa del festeggiante, servite le prime mense, di ciò che la sua piccola età poteva operare, [p. 61 modifica]puerilmente con gli altri si diede a trastullare. Era infra la turba de’ giovanetti una figliuola del sopradetto Folco, il cui nome era Bice (comechè egli sempre dal suo primitivo nome, cioè Beatrice nominasse), la cui età era forse di otto anni, assai leggiadretta e bella secondo la sua fanciullezza, e ne’ suoi atti gentilesca e piacevole molto; con costumi e con parole assai più gravi e modeste, che ’l suo piccolo tempo non richiedeva; ed oltre a questo, aveva le fattezze del volto delicate molto, e ottimamente disposte, e piene, oltre alla bellezza, di tanta onesta vaghezza, che quasi una angioletta era riputata da molti. Costei dunque, cotale quale io la disegno, o forse assai più bella, apparve in questa festa, non credo primamente, ma prima possente ad innamorare, agli occhi del nostro Dante. Il quale, ancorachè fanciullo fusse, con tanta affezione la immagine di lei ricevette nel cuore, che da quello giorno innanzi, mai, mentrechè visse, non se ne dipartì.»3

[p. 62 modifica]Or proseguiamo con Dante, «Poichè furono passati tanti dì, che appunto erano compiuti li nove anni, appresso l’apparimento soprascritto di questa gentilissima, nell’ultimo di questi dì avvenne, che questa mirabile donna apparve a me vestita di colore bianchissimo in mezzo di due gentili donne, le quali eran di più lunga etade; e passando per una via volse gli occhi verso quella parte, ov’io era molto pauroso, e per la sua ineffabile cortesia . . . . . mi salutò, e virtuosamente tanto, che mi parve allora vedere tutti i termini della beatitudine . . . . . . E perocchè quella fu la prima volta, che le sue parole vennero a’ miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebbriato mi partii dalle genti. Ricorso al solingo luogo d’una mia camera, puosimi a pensare di questa cortesissima; e pensando di lei, mi sopraggiunse un soave sonno, nel quale m’apparve una maravigliosa visione. . . . . . . . . . . . . . [p. 63 modifica]. . . . E pensando io a ciò, che m’era apparuto, proposi di farlo sentire a molti, i quali erano famosi trovatori in quel tempo: e con ciò fosse cosa ch’io avessi già veduto per me medesimo l’arte del dire parole per rima, proposi di fare un sonetto, nel quale io salutassi tutti i fedeli d’amore, e, pregandoli che giudicassero la mia visione, scrissi a loro ciò, che nel mio sonno avea veduto. E cominciai allora questo sonetto.»

«A ciascun’alma presa e gentil core
     Nel cui cospetto viene il dir presente
     In ciò che mi riscrivan suo parvente4
     Salute in lor Signor, cioè Amore!
Già eran quasi ch’atterzate l’ore
     Del tempo ch’ogni stella n’è lucente,
     Quando m’apparve Amor subitamente,
     Cui essenza membrar mi dà orrore.
Allegro mi sembrava Amor, tenendo
     Mio core in mano, e nelle braccia avea
     Donna avvolta in un drappo dormendo.
Poi la svegliava, e d’esto core ardendo
     La paventosa umilmente pascea:
     Appresso gir lo ne vedea piangendo.»

[p. 64 modifica]«A questo Sonetto fu risposto da molti, e di diverse sentenze; tra li quali fu risponditore quegli ch’io chiamo primo de’ miei amici, e disse allora un sonetto lo quale comincia: Vedeste al mio parer ogni valore. E questo fu quasi il principio dell’amistà tra lui e me, quando seppe che io era quegli che ciò avea mandato.»5 Questo risponditore e primo degli amici di Dante fu Guido Cavalcanti, il maggiore tra i poeti predecessori di lui. Veda chi vuole poi tra le rime di Dante6 non solo il sonetto in risposta di Guido Cavalcanti, ma pur quelli di Cino da Pistoja e di Dante da Maiano; gentili i due primi non questo, che manda il poeta fanciullo quasi disennato a farsi curare dal medico. Ad ogni modo vedesi che la pruova puerile di Dante trasse l’attenzione di tutti i poeti di grido allora in Firenze. E vedesi fin di qua, ciò che può osservarsi poi in tutte, anche le più mediocri poesie di Dante, belli sempre almeno il primo e l’ultimo verso.

Segue Dante a narrare, come perdendosi il [p. 65 modifica]suo spirito in tali pensieri «ei ne venisse in sì frale e debole condizione, che a molti amici pesava della sua vista;» che richiestone, ei diceva, «era amore che così l’aveva governato… E quando mi domandavano: per cui t’ha così distrutto questo amore? ed io sorridendo guardava e nulla dicea loro.»7 Un giorno poi essendo in chiesa, e guardando la sua Donna, un’altra gentildonna di molto piacevole aspetto che stava in mezzo credendo essere guardata essa, e guardandolo, fece credere, ch’ella fosse l’amata di Dante. Ed egli compiacendosene, immantinente pensò di fare di questa gentildonna uno schermo della veritade; tanto che il suo segreto fu creduto sapere dalle più persone, che di lui ragionavano. Così si celò più anni; e per più fare credente altrui, fece per la donna, schermo suo, parecchie cosette per rime; e poi un serventese, dove per poter nominare celatamente la sua donna vera, introdusse i nomi di sessanta delle più belle della città. Finalmente «la donna con la quale tanto tempo io avea celiato, convenne che si partisse della sopra detta cittade, [p. 66 modifica]e andossi in paese molto lontano. Perchè io quasi sbigottito della bella difesa, che mi era venuta meno, assai me ne disconfortai, più che io medesimo non avrei creduto dinanzi. E pensando che, se della sua partita io non parlassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorte più tosto del mio nascondere, proposi di farne alcuna lamentanza . . . . e allora dissi questo Sonetto.8»

«O voi, che per la via d’amor passate,
     Attendete e guardate
     S’egli è dolore alcun, quanto il mio, grave:
     E prego sol, ch’audir mi sofferiate;
     E poi imaginate
     S’i’ son d’ogni tormento ostello e chiave.
Amor non già per mia poca bontate,
     Ma per sua nobilitate,
     Mi pose in vita sì dolce e soave,
     Ch’i mi sentia dir dietro spesse fiate:
     Deh! per qual dignitate
     Così leggiadro questi lo cor ave.
Or ho perduta tutta mia baldanza
     Che si movea d’amoroso tesoro,

[p. 67 modifica]

     Ond’io pover dimoro
     In guisa che dire mi vien dottanza.
Sì che volendo far come coloro,
     Che per vergogna celan lor mancanza,
     Di fuor mostro allegranza,
     E dentro da lo cor mi stringo e ploro.»9

Chiosa egli stesso poi scrupolosamente l’autore, che la seconda strofa era per la sua vera donna, e non per l’altra. Ma ad ogni modo, questa volta il sonetto, com’ei lo chiama, è de’ più graziosi; e si vede che in quegli anni corsi dal primo egli era progredito molto nell’arte.

Un’altra volta, per una donna giovane e gentile, lo cui corpo ei vide giacere senza l’anima in mezzo di molte donne, le quali piangevano assai pietosamente, ricordandosi egli d’averla veduta far compagnia alla sua gentilissima, non potè sostenere alquante lagrime; ma piangendo si propose di dire della morte di quella, in guiderdone di ciò che alcuna fiata l’aveva veduta colla sua donna. E così fece due sonetti, l’uno dei quali incomincia con quel verso:

«Piangete amanti poichè piange Amore»

[p. 68 modifica]e l’altro:

«Morte villana di pietà nemica»10

Andò quindi Dante verso la parte, dove era andata la gentildonna suo schermo; ma, dice egli, non così lontano: e forse fu questa la gita fatta per istudio a Bologna, di che parleremo poi. Aggiugne, che in questo viaggio gli venne il pensiero di prendere per secondo schermo un’altra donna; e ripatriando, così fece.11 «E in poco tempo la feci mia difesa tanto che troppa gente ne ragionava oltra li termini della cortesia; onde molte fiate mi pesava duramente. E per questa cagione (cioè per questa soverchievole voce, che parea, che m’infiammasse viziosamente) quella gentilissima, la quale fu distruggitrice di tutti i vizi, e reina delle virtù, passando per alcune parti mi negò il suo dolcissimo salutare, nel quale stava tutta la mia beatitudine . . . . Dico, che quando ella apparta da parte alcuna, per la speranza [p. 69 modifica]della mirabile salute nullo nemico mi rimanea; anzi mi giungea una fiamma di caritade, la quale mi facea perdonare a qualunque m’avesse offeso, e chi allora m’avesse domandato di cosa alcuna, la mia risponsione sarebbe stata solamente amore, con viso vestito d’umiltà.»12 Segue la descrizione del suo dolore, e il ritrarsi, e il piangere, e l’addormentarsi poi «come un pargoletto battuto, lacrimando;» occasioni vere, ove si educò l’ingegno del poeta a quelle così sentite ed efficaci espressioni, in che non fu eguagliato da niuno, se non fosse dal solo Shakespear. Del resto chi pesasse tutte le parole del testo, ne trarrebbe ragioni da dubitare se forse tutti questi schermi fossero veramente tali, e non più, al cuore giovanile di Dante. Ma sarebbe inezia andar cercando di ciò; e ad ogni modo dal testo medesimo, e da quanto segue si vede essere sempre stata Beatrice come il suo primo, così il suo principal affetto e pensiero. Appresso alla quale poi difendevasi allora Dante con parecchie poesie dirette oramai a lei stessa a cui a «era conosciuto alquanto il [p. 70 modifica]suo segreto per lunga consuetudine».13

Le poesie sono quelle che incominciano :

«Ballata, io vuo’ che tu ritrovi Amore»
«Tutti li miei pensier parlan d’Amore»
«Con l’altre donne mia vista gabbate»
«Ciò che m’incontra nella mente more»
«Spesse fiate vennemi alla mente»14

Fece la terza «nella camera delle lagrime», tornando da vedere sua donna fra parecchie altre «che adunate erano secondo l’usanza della cittade . . . alla compagnia d’una gentildonna che disposata era lo giorno».15 E quindi, non usando farsi tali compagnie alle spose novelle se non dalle maritate, è da credere, che in questo mezzo cresciuta la Beatrice Portinari, già fosse allora disposata, come si sa che fu a Messer Simone de’ Bardi cavaliero. Quando precisamente si facessero tali nozze non ci è detto dai biografi; ma il più diligente di tutti trovò, che già erano fatte a mezzo [p. 71 modifica]gennaio 1287, in che la giovane doveva avere intorno ai 21 anni.16.

E qui, lasciando il giudicio stretto dell’amor di Dante così continuato per la sposa di Simon de’ Bardi, certo ai nostri dì parrebbe strana, e non sarebbe sofferta tal professione d’amore, quale apparisce fatta da Dante nelle poesie pubblicate via via,17 e poi nella Vita Nova e nel Poema. Ma ei si vuol tener ragione della diversità de’ tempi; e in quelli non erano insuete in poesia e in usi di cavalleria siffatte professioni di servitù o amore disinteressato, puro, o Platonico, che dir si voglia; e se non erano sempre credute tali, nè tollerate dagli interessati, come si può vedere nelle storie e novelle, elle non erano almeno universalmente dannate o derise, come sarebbono ai nostri dì. E lodi pure ognuno a talento o quell’innocenza del buon tempo antico, o questa severità del nostro; [p. 72 modifica]ma tolgasi ad ogni modo da Beatrice anche ogni menoma colpa di incoraggiamento. Se fosse dubbio, sarebbe più che semplicità fermarsi a disputarne; ma ne protesta Dante fin da principio dicendo: "Ed avegna che la sua imagine, la quale continuamente meco stava, fosse baldanza d’Amore a signoreggiare me; tuttavia era di sì nobilissima virtù, che nulla volta sofferse che Amore mi reggesse senza il fedele consiglio della ragione in quelle cose là ove tal consiglio fosse utile a udire". Quella cattiva lingua poi del buon Boccaccio, afferma pure, che "onestissimo fu questo suo amore, nè mai apparve o per isguardo, o per parola, o per cenno, alcuno libidinoso appetito, nè nello amante nè nella cosa amata. Non picciola mara viglia al mondo presente, nel quale è si fuggito ogni onesto piacere ec.18". Ancora, sembra dal séguito della Vita Nova, che Beatrice negò d’allora in poi il saluto a Dante; ch’ella il fuggì nelle compagnie; e certo poi ei non si trovò all’ultimo della vita di lei. [p. 73 modifica]E finalmente, più che da ogni altra cosa, apparisce la purità delle rimembranze di Dante dall’altezza delle ispirazioni che gliene vennero.
Segue egli poi a narrare: "Conciossiacosachè per la vista mia molte persone avessero compreso lo segreto del mio core, certe donne le quali adunate s’erano dilettandosi l’una nella compagnia dell’altra, sapeano bene lo mio core; perchè ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte. Ed io pensando presso di loro (siccome dalla fortuna menato fui), fui chiamato da una di queste gentili donne. La donna che m’avea chiamato era di molto leggiadro parlare; sicchè quando io fui giunto dinnanzi da loro, e vidi bene, che la mia gentilissima donna non era con loro, rassicurandomi la salutai, e domandai: Che piacesse loro? Le donne erano molte, tra le quali v’avea che si rideano tra loro. Altre v’erano che guardavanmi aspettando che io volessi dire. Altre v’erano che parlavano tra loro, delle quali una volgendo i suoi occhi verso me, e chiamandomi per nome, disse queste parole: A che fine ami tu questa tua donna, poiché tu non puoi [p. 74 modifica]la sua presenza sostenere degli occhi? Ché certo il fine di cotale amore conviene che sia novissimo. E poichè m’ebbe detto questo, non solamente ella, ma tutte le altre cominciàro ad attendere in vista la mia risponsione. Allora dissi queste parole loro: Madonna, lo fine del mio amore fu già il saluto di questa donna, forse di che voi intendete, ed in quello dimorava la mia beatitudine, che era fine di tutti i miei buoni desiderii. Ma poiché le piacque di a negarlo a me, lo mio signore Amore, la sua mercede, ha posta tutta la mia beatitudine in quello che non mi puote venir meno. Allora queste donne cominciàro a parlare intra loro; e siccome talor vedèmo cader l’acqua mischiata di bella neve, così mi parea vedere le loro parole mischiate di sospiri. E poichè alquanto ebbero parlato tra loro, mi disse anche questa donna che prima m’avea parlato, queste parole: Noi li preghiamo che tu ne dica dove sta questa tua beatitudine? Ed io rispondendo lei, dissi cotanto: In quelle parole che lodano la donna mia. Ed ella rispose: Se tu ne dicessi vero, quelle parole che tu n’hai dette notificando la tua condizione, avresti tu operato con [p. 75 modifica]altro intendimento. Ond’io pensando a queste parole, quasi vergognoso mi partii da loro; e venia dicendo tra me medesimo: Poichè è tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perchè altro parlare è stato il mio? E proposi di prendere per materia del mio parlare sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima19". Da siffatta risoluzione del giovine Poeta vennero poi e la sua prima Canzone:

Donne che avete intelletto d’Amore

e il Sonetto,

Amore, e l’cor gentil sono una cosa;

e quest’altro che mostra lo stile non che mutato e adulto di Dante, ma superiore già a quanto facevasi da’suoi contemporanei, e modello poi al più gentile di quanti lo seguirono:

Negli occhi porta la mia donna Amore;
Per che si fa gentil ciò ch’ ella mira:

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Ov’ella passa ogni uom ver lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core.

Sì che bassando il viso tutto smore,
E d’ogni suo difetto allor sospira:
Fugge davanti a lei superbia ed ira;
Aitatemi voi, donne, a farle onore.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente;
Ond’è beato chi prima la vide.

Quel ch’ ella par quando un poco sorride
Non si può dicer, nè tenere a mente,
Sì e nuovo miracolo e gentile.20

Ma bella pure, e la più osservabile fra le poesie giovanili di Dante, è la Canzone citata. In un luogo del suo Poema, che avremo in breve occasione di recare, pare accennato, che questa non solo fu la prima Canzone, ma ancora o la prima poesia pubblicata, o almeno la prima che diventasse famosa, o che desse gran nome al Poeta. Ma un cenno anche più importante trovasi nella strofa seguente:

Angelo chiama nel divino intelletto21
E

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dice : Sire nel mondo si vede
Meraviglia nell’atto, che procede
D’un’ anima che insin quassù risplende.
Lo Ciel che non aveva altro difetto
Che d’aver lei, al suo Signor la chiede,
E ciascun Santo ne grida mercede.
Sola pietà nostra parte difende,
Che parla Dio,che di Madonna intende:
Diletti miei, or sofferite in pace
Che vostra spene sia quanto mi piace
Là ov’ è alcun che perder lei s’ attende,
E che dirà nell’inferno ai mal nati:
Io vidi la speranza de’ beati22.

In questa risposta di Dio all’ Angelo ed ai Santi contenuta nei cinque ultimi versi, chiara è l’allusione ai timori continui di Dante sulla vita della donna amata —Alcun che perder lei s’attende;— timori molto naturali all’amore, giustificati dalla pallidezza e delicatezza di essa, di che Dante parla qui ed altrove, e che vedremo crescere più e più, al crescer probabilmente della languente salute di Beatrice. In secondo [p. 78 modifica]luogo, poi, è chiaro qui, che quando scrisse Dante questa sua Canzone, egli avea già concepita qualche idea almen della prima cantica del Poema.
Del resto, è fatto universalmente osservato: che se più tardi si concepiscono altre sorta di opere, le grandi poesie non sogliono guari idearsi se non negli anni della prima gioventù. In qual anno precisamente venisse a Dante quest’idea, non è possibile determinarlo: bensì può dirsi che non fu posteriore al 1289, venticinquesimo suo, essendo di tal anno al più tardi la citata Canzone. Imperciocchè, recata questa e i due Sonetti, passa Dante a narrare, come succeduto pochi dì appresso, un fatto del 31 dicembre di quel 1289. Ma perchè questo fatto fu come nunzio e principio della grande sventura di Dante, e dell’anno fatale dell’amore e della vita di lui, aspetteremo a narrarne dopo aver detto delle altre occupazioni e degli studi giovanili, a cui attese egli a un tempo che al suo amore.


Note

  1. Del resto, Leonardo Aretino accusa la vita scritta dal Boccaccio d’insufficienza nella parte politica, ma non di falsità nella parte amorosa. Ei furono solamente alcuni degli ultimi biografi e commentatori, che si scostarono del tutto dal Boccaccio, e posero in dubbio l’amore di Dante, e quasi l’esistenza di Beatrice.
  2. Vita Nova, Pesaro 1829, pp. 3, 4.
  3. Vita di Dante Allighieri p.17 in sue illustri prose di Ms. Giovanni Boccacci (Emendata dal Gamba); Venezia 1325. Il Pelli, p.64 osserva, che c’è quì qualche contraddizione colle parole di Dante. Non ne veggo, se non fosse con ciò che segue nella Vita Nova, cioè che Beatrice parlò per la prima volta a Dante nella via; ma ciò non s’oppone all’essersi trovati prima i due fanciulli in casa Portinari senza parlarsi. Chi conosce i bimbi, non istupirà di ciò. Del resto non lo noto se non per far vedere, come si possa facilmente rispondere alle gravi sgridate fatte da tanti al buon Boccaccio.
  4. Suo parvente — suo parere.
  5. Vita Nova, pp. 4, 5, 6, 7.
  6. Dante op. Venezia 1758, IV, pp. 389, 390.
  7. Vita Nova p. 8.
  8. Sonetto chiamavasi ogni breve poesia fatta per accompagnamento. A poco a poco si restrinse il nome alla nota forma in 14 versi.
  9. Vita Nova, pp. 9, 10.
  10. Vita Nova pp. 11, 12.
  11. Sull’uno di questi schermi vedi Ginguenè traduzione italiana, Firenze 1826, tom. I, p. 160 il caso di Guglielmo di S.t Didier colla Dama di Polignac.
  12. V. N. p. 14.
  13. V. N. p. 17.
  14. V. N. pp. 17, 20, 23, 24, 26
  15. V. N. p. 21.
  16. Del 15 gennaio 1287 è il testamento di Folco Portinari; il quale «item D. Bici filiæ suæ et uxori D. Simonis de Bardis reliquit lib. quatuor». (Pelli, p.76).
  17. V. Vita Nova p. 33 ed altrove, dove pare chiaremente detta la pubblicazione successiva delle poesie.
  18. Boccaccio, Vita di Dante, p.19
  19. Vita Nova, pp. 27-29.
  20. Vita Nova, p.35
  21. Verso fuor di misura, che altri invano
    si sforza di raccorciare, ed altri legge in divino. Ma il senso stesso migliorerebbe leggendo il o al; e parmi che la varietà delle lezioni, facendo dubbio il testo, debba far lecita la proposizione d’una lezione anche non trovata ne’ codici.
  22. Vita Nova, pag. 30,31.

Note