Vite dei filosofi/Libro Nono/Vita di Zenone eleate

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Libro Nono - Vita di Zenone eleate

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Nono - Vita di Zenone eleate
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CAPO V.


Zenone eleate.


1. Zenone eleate. Era costui, al dire di Apollodoro, nelle Cronache, per natura, figlio di Teleutagora, per adozione, di Parmenide.

II. Di lui e di Melisso dice Timone queste cose:

     Il pro ed il contro a disputar potente,
     Zenone, invitto, riprensor di tutti;
     E Melisso di molte fantasie
     Superiore, di poche inferiore.


Zenone fu veramente discepolo di Parmenide e suo bardassa.

III. Era grandissimo della persona, secondo che, nel Parmenide, scrive Platone, che, nel Fedro, lo chiama anche eleatico Palamede.

IV. Afferma Aristotele, nel Sofista, ch’e’ fu l’inventore della dialettica, siccome Empedocle della retorica; che fu uomo e in filosofia e in politica assai prestante; e che vanno attorno suoi libri pieni di molta sapienza.

V. Volendo Zenone rovesciare il tiranno Nearco — secondo alcuni Diomedonte — fu, al dire di Eraclide, nell’Epitome di Satiro, sostenuto; e quando lo si inquisì [p. 276 modifica]circa i complici e l’armi, ch’erano state portate a Lipara, affermò, onde colui rimanesse solo, che di tutto consapevoli erano i suoi amici. Poscia soggiugnendo che intorno a taluno qualche cosa avea da dirgli all’orecchio, addentandoglielo, non prima il lasciò che cadesse trafitto; lo che ebbe in comune col tirannicida Aristogitone. Demetrio, negli Omonimi, afferma che gli morsicò il naso; ma Antistene racconta, nelle Successioni, che dopo di averne denunciati gli amici, interrogato dal tiranno, se alcun altro vi fosse, egli rispose: Tu, peste della città! e che dopo di aver detto agli astanti: Meravigliomi della vostra codardia, se, in grazia di ciò ch’io patisco, servirete al tiranno, spiccatosi finalmente la lingua co’ denti la sputò ad esso in faccia; e che i cittadini concitati a quel fatto lapidarono il tiranno. Queste cose, presso a poco, si vanno narrando dai più. Ma Ermippo asserisce che gettato Zenone in un mortaio, vi fu pestato. — Sopra di lui noi parliamo così:

     Tu volevi, o Zenon, volevi torre,
     Uomo egregio, la patria dal servaggio.
     Il tiranno uccidendo. Ma cadesti
     Oppresso. Perocchè tosto il tiranno,
     Presoti, in un mortaio ti pestò.
     Che dico! Te non già, ma il corpo solo.


VI. Zenone, se in altre cose preclaro, il fu eziandio, al pari di Eraclito, nel guardare con ispregio i più grandi; poichè egli, quella che prima fu Iele e da ultimo Elea, colonia fenicia e sua patria, città meschina e solo [p. 277 modifica]atta a nutrire uomini dabbene, amò di preferenza ai vanti degli Ateniesi, per lo più non recandosi presso di loro, ma abitando in essa.

VII. Usò primo nelle dispute l’argomento detto l’Achille (sebbene Favorino dica ciò di Parmenide) e molti altri.

VIII. Credette che vi fossero mondi, e non vuoto,Che la natura di tutte le cose venisse prodotta dal caldo e dal freddo, dal secco e dall’umido mutantisi a vicenda. — Che la generazione degli uomini derivasse dalla terra, e l’anima fosse una mescolanza dei prefati senza prevalenza di alcuno.

IX. Narrano che sentendo di essere biasimato, se ne impazientò, e che taluno condannandolo disse: Se comporto le contumelie, neppure mi accorgerò d’esser lodato.

X. Che vi fossero otto Zenoni già è detto nella vita del cizieo. — Il nostro fiorì nella settantesima nona Olimpiade.

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