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Vite dei filosofi/Libro Sesto/Vita di Menedemo

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Libro Sesto - Vita di Menedemo

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Sesto - Vita di Menedemo
Libro Sesto - Vita di Menippo Libro Sesto - Annotazioni

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CAPO IX.


Menedemo.


I. Menedemo, discepolo di Colote, era lampsaceno.

II. Egli avanzò tanto, al dire d’Ippoboto, nell’arte di fare prestigi, che presa la figura di un’Erinni, andava attorno affermando, che era giunto dall’altro mondo come esploratore di coloro che commettono peccati, onde, discendendo di nuovo, riferirli ai demoni di quel luogo. — Quest’era l’abito suo: Veste bruna, lunga sino a’ piedi; attorno a questa una cintura color di sangue; berretto arcadico in testa, con intessuti i dodici segni; calzari da tragedia; una barba sterminata; una verga in mano di frassino.

III. E queste sono le vite di ciascuno dei Cinici. Scriveremo in oltre qui sotto le comuni loro opinioni; giudicandosi da noi setta anche questa maniera di filosofia, non, come dicono alcuni, regola di vita. — Piace dunque a costoro di toglier via la parte logica e fisica, a somiglianza di Aristone chio; e di applicarsi alla sola morale. E ciò che altri a Socrate, Diocle lo ascrive a Diogene, ripetendo spesso ciò ch’egli avea detto: Doversi ricercare

     Il male e il bene che s’è fatto in casa.

[p. 54 modifica]— Rifiutano anche le discipline encicliche; e però Antistene era solito dire, non apparassero lettere coloro che hanno buon senno, affine di non essere da cose straniere distratti. — Tolgono di mezzo anche la geometria e la musica, e tutto il resto di simil genere. Il perchè Diogene ad uno che gli mostrava un oriuolo: Lavoro utile, disse, per non rimanere senza cena. — Ad uno che gli faceva vedere alcune cose di musica, disse:

     Ben si governan le città e la casa
     Col consiglio degli uomini, col canto
     E col suono non mai.


— Tengono anch’essi per fine il vivere secondo virtù, come Antistene, al pari degli stoici, afferma nell’Ercole; perchè tra queste due sette è non so quale, partecipazione, che fece appellare anche il cinismo una scorciatoia per giugnere alla virtù. Così visse Zenone cizico. — E piace anche a loro di vivete semplicemente, usando cibi frugali, e un mantello soltanto; e di avere in dispregio la ricchezza, la gloria e la nobiltà. Quindi e di erbe e assolutamente di acqua fresca fanno uso; e si riparano ne’ luoghi ove per caso si trovano, ed in botti, a somiglianza di Diogene, il quale andava ripetendo, che era proprio degli dei il non abbisognare di nulla, e di coloro che assomigliano agli dei l’aver mestieri di poco. — È opinione di costoro eziandio, che la virtù si possa insegnare, secondo che dice Antistene nell’Ercole; e che posseduta una volta non si può perdere; e che il sapiente è degno di amore e senza peccato, e [p. 55 modifica]amico a chi è simile a lui; e nulla doversi affidare alla fortuna. — Le cose che stanno di mezzo tra la virtù ed il vizio, chiamano indifferenti, al modo stesso di Aristone chio. — E questi sono i Cinici. — Ora è da passare agli Stoici, dei quali è capo Zenone, discepolo che fu di Crate.