Vocabolario italiano della lingua parlata (1893)/DI ALCUNE REGOLE ORTOGRAFICHE

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DI ALCUNE REGOLE ORTOGRAFICHE

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TAVOLE DEI VERBI INTRANSITIVI TAVOLA DELLE ABBREVIATURE.
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DI ALCUNE REGOLE ORTOGRAFICHE

SEGUITE IN QUESTO VOCABOLARIO.

Una delle cose meno accertate e per conseguenza, meno comunemente seguite in Italia è l' ortografia. Basta gittare uno sguardo nelle scritture moderne (non parlo delle antiche. dove appena vi ha ombra di ortografia) per vedere che ogni scrivente segue quella maniera che più gli piace, e spesso anche non ne segue alcuna costantemente. Eppure è questo uno dei punti, nei quali sarebbe bene, se fosse possibile, intenderci una volta. Senza adunque discuter qui le ragioni ortografiche, che a me sembrano migliori, e che ho discusse in un altro mio liliro,1 riferirò per sommi capi quelle, a cui mi sono attenuto nella nuova compilazione di questo Vocabolario, e le riferirò per conto di coloro che faranno uso del mio lavoro.

DELL’ J LUNGO


È stata più e più volte agitata dai grammatici la questione dell’ j lungo, se debba adoprarsi così nel corpo come nella fine della parola, o solo nella fine, oppure se debbasi del tutto abbandonare questa forma di lettera, e prendere in vece sua un altro segno ortografico. Le incertezze e le diverse maniere di esprimere il suono dell’i prolungato sono maggiori su questo punto dell' ortografia italiana, che sopra a verun altro. Infatti v' è anche oggi chi adopera l'j tutte le volte che sta dinanzi ad altra vocale, quasi partecipi alla natura di consonante, ovvero in fine di parola come segno rappresentativo di due ii; chi non lo adopera in nessun modo, segnando con accento circonflesso l’i finale come in principî, desiderî, studî; chi senza neppur questo segno, contentandosi solo di segnare la penultima sillaba con l'accento grave per non confonder la parola con altra parola, come princìpi per distinguerla da prìncipi; auspìci, augùri, per distinguerle da àuspici, e da àuguri, e via dicendo; e chi finalmente, abbandonato lj, scrive con due ii la finale dei nomi uscenti in io. Queste difformità se non facessero altro che imbrogliare gli stranieri, sarebbe pur molto; ma il peggio è che imbrogliano anche gli Italiani. I tipografi poi sono costretti a cambiare da un giorno all'altro il modo di rappresentare questo suono; e spesso, con grande scapito di tempo, che per loro vuol dire anche di guadagno, debbono fare molte correzioni sulle stampe. Spesso anche avviene che, mettendoci un po' il tipografo della maniera a cui più è abituato, e un po' l’ autore della sua e talora anche di quella degli altri, ne vien fuori una grave e deforme incoerenza ortografica. [p. 43 modifica]

Credesi che il Trissino fosse il primo a proporre all'alfabeto italiano, togliendola dal latino, questa lettera j. Daniele Bartoli la sostenne, e nc l'eoe molto uso. Fra i moderni uno degli acerrimi sostcnitori (lcll’ j lungo fu Rafihclc Lambruschini, che ne discorse a lungo in uno dei quaderni della Famiglia e la Scuola} La Nuova Crusca ceco come no parla nella prefazione alla quinta impn-ssione del Vocabolario, e le sue parole sembrano risolvere la questione tanto comhattuta di questa lettera: ( Rispetto alla j che dicesi lunga. si è considerato, che nella pronunzia italiana questa lettera in tutte lo occasioni in che suole usarsi non ha. ne natura nè effetto di consonante, o sia esso in principio, o in mezzo alla parola. Dovunque alla i, posta innanzi a vocale in principio di parola, o tra. due n mezzo, s’è voluto (lare il suono, che a un bel circa prendo in altre lingue moderne (dac- chè quale le avesse presso i Latini non saprebbe dirsi), le si e aggiunto il y; e avanti la e s’è cambiata ella stessa. in un g. Jucere, Jovem, Jesus, traduconsi, cosi in iscritto come in pronunzia, Ginevra, Gioi-0, Gesù. Senza. quel y, la i avanti altra vocale, per quanto si allunghi, non sonerit a casa nostra che i. E jutlunta, jallura, jcrofante, Jusune non di- ranno diverso da iatttmza, ia'tturu, iero/"anta, Insane. Presso i Greci la i avanti mcalc in principio e in mezzo di parola serbo sempre il proprio suono distinto di vocale. Vero, che nei versi latini ci presenta generalmente gli efl'ctti (li consonante; ma non fa pcr noi il discutere le sue ragioni antiche, di che non possiamo ormai esser giusti giudici, quanth nel modo nostro di pronunziare il latino non si porge che come vocale. Quel che e certo. si è, che quali ellc si fossero, non apparisce che la i in questa sua posizione prendesse mai figura diversa dall’usunlc. Frattanto, stando al l'atto presente, non può riguardarsi da nei che come rocalc, di mezzo suono, se si vuole, in quanto che si getta e per c051 dirc si schiaccia tutta sulla scgncntc.

ì Anche in mc'zo alla parola la i posta tra due vocali non cangia la sua solita im- tnra. ln noia, buia, sazio, aiu, proirsiww non 1‘ consonante, non è lettera flop ' è una i "DCfllt‘ pura e semplicc, che si stringe colla seguente; e nessun orecchio, per quanto dc- Iicato, potrebbe sentirvi alcun clic «li più o di diverso. Yana adunque anche qui. a parcr nostro, la scrittura usata da molti mjn, slaju, aju,

ì In tale stato di cose abbiamo creduto di servi Ila ragione e alla semplicità, esclu- ilcndn questa figura, siccome non avente alcuno spcc le nc sonsihilc Valore, dal principio e dal mczzo dcllc parole. .\la poiché, comunque sia avvenuto, si è introdotta nth nostra scrittura, abbiamo stimato pregio della medesima ritcncrla solamente come sogno (lclla contrazione dei due ii ncl plurale di quei nomi n adiuttivi, chc terminano il singolare in i0. Queste due ii sono nrll' uso prot'erite t'ugacemnntc e Conic in un solo suono, ma non sì che non si senta in bocca dci mcglio parlanti una i prolungata un poco, e quasi «lircmmu strascico . La conservazione pcrtnnto di questa forma di lettura, come cosa di mozzo tra le due n e la i semplice, ò un guadagno nella perfezione della scrittura, in quanto che più la ravvicina, anche pcr questo lato, alla v'era pronunzia; ed è ad ogni modo una difesa contro l'ambiguità, a cui talvolta la i scmplico potrchhe dar luogo. Quanth la. i che pro» code l'0 finale del singolare è occultata, si mantiene al plurale distinta dalla i propria del nulucm, ("omo distinto ambedue le rileva la pronunzia. Le terminazioni singolari in L'io e gin, dora la i non sia clemente formale della parqu (nel qual caso scmprc la {ara sentire chi pronunzia aggraziatamcntc), um. scrva solo ed ummnllim il suono duro del v o y avanti la 0; ocssando al plurale questo bisogno, si cambieranno in r e g con la i semplice: cacio, bacio, omagyin, ec., rati. baci, omaggi. .‘la per tutto qucl che abbiam (letto intorno all' uso di questo segno, non intnluliumo condannare






I \'ol. I, n. 9, maggio ma). [p. 44 modifica]come erronea un‘ opinione e una pratica divexsa. Abbiamo voluto solamente indicare la nostra. )

E la opinione dell’Accademia a me sembro. la. migliore e la più meritevole di esser seguita, purcliè venga compiuta, e si consulti l’ orecchio ncl ferme, specialmente l’ i lungo o il semplice i. In conseguenza dovranno essere scritti nel plurale con j lungo, inomi se- guenti, che si danno a modo d’ esempio:


auyu'r-io augiîrj ozio

auspicio auspîl'j prelddio

bcnrfizio e beneficio bene/54' e benefici proèmia

desidèrio desidèrj refriyèn'o

emòmio em‘òmi spazio

òlio òlj slu'dia strizb' osservalòfio osservatòrj u/fîzio e ufficio u/fizi e ufi‘lq‘

E con due ii:

balordo balenii Iddio Iddii calpestio calpestii pendio pendii desio desîi m'a zii

E finalmente col solo i il plurale di certi nomi, che nel singolare innanzi ad i0 hanno la guttumle c, f, g, y semplice o raddoppiata, come:


ba’wio baci lira'o lieti micia cavi lzlu'io lumi coccio cocci messdyyio messu'ggi mmzddcia memldci m'ggio raggi rgyi tàyi _ rggyio Mggi

r i iszîm, seflgfio sèyyi elogio elogi (appia coppi la’ccia lacci yràffio graffi lèa‘io lecci séffio soffi

e quelli che tra le due gntturuli e l’i hanno interposto l’h o l'l; o alle consonanti gl, r0 segue una vocale; msendochè in questi casi sin reso impossibile ogni prolungamento dell'i.


(nicchia bacdli nîylin min cocchio vecchi miglio vain parecchio parecchi veglia vèyli picchio picchi nasca" ' Zio nascondi li occhio òmhi n'mas io rimam mucchio mucchi quèrcio uèra' nigghio roggle lèrcio ‘ ci meglio mogli

DELLA I NELLA TERMINAZIONE DEL PLURALE DI CERTI NOMI FEMMINILI.

I nomi femminili, la cui desinenzn nel singolare è in i'a preceduta (la gutturale scempin (via, gia), conservano, per l' uso ortografico più comune, In i innanzi sll’e del plurale, fa- cendosi da


(micia aczìa'e nìgia m'gie fallacia falhitie alterîgia alteri ' porti ’ ' perlimicie gnmdîyia gru igie sugucia sugdcie règia rèyie

socio socie [p. 45 modifica]

Ma se alla. gutturule e e g preceth un altro c o g, ovvero le consonanti n, r, a, la de- sinenze del plurale perde la i, rimanendo questa vocale come schiacciate. nella pronunzia: nude meglio si scriverà.

tracce che mode ròcce che ròocie tracce traccie cuoce cume vécoe véccie

E lo stesso dicasi del plurale femminile delle terminazioni peggiorntive in accia, e degli accrescitivi in ouia o dei vilitivi in ice-id, e riccia, come:


Imruirre meglio che barmit‘cie altòcce meglio che 111143001}: A un‘ultima tavuhîcm'e mandante yrapdzgrm sparisce spesrireie nasucoe casucfle nurluh’cce mulaficcie

l’xtrilnentc: piogge meglio che pi gie l‘asse meglio che fascie _ h" ye in I/ie gamme gamme


e lbggie strisce striscie


, I uyyie tròsce iròscie ambisce ambdscw E così: lance meglio che lande. panca meglio che pam‘fe A guance guancia province provinae rame renne torce torcia bilance bilancia

Le quale i si perde ancora nella scrittura, come si perde nella pronunzia, quando al— cuni di questi nomi prendono lu desinenze. diminutivo in étta, come


loggélla e non loggiato striseélta e non strisciate {i Jgf'thi giuggiflm fascélta fasciéfla ilmm’ltu ilunoù’fia ganasoétla ganasciélla

lancetta lanciata tornata torcie'lta

DEL DITTONGO E DELL‘ACCENTO MOBILE.

L'o e 1‘ e, allorchù cadono sotto 1’ accento tonico, sogliono in molte parole rafl'orzarsi. il primo oon un u, la secondo con un i, fermandosi i dittonghi uo e io. Queste rafi'orza— mento non avvenendo mai fuori dell' accento, è naturale, che quando per l‘ allungarsi della parchi 1’ amento va a posare sulla sillaba seguente, non debba farsi più quel rafforzamento, che riuscirebbe impossibile ; e conseguentemente è errore ortografico continuare a scrivere i (littonghi un e c'e. Cosi acrivasi Buono, Suono. Ciclo, Siedo; ma lascisi il ditlongo, e si scriva. Banissimo. Sonai, Celeste, Sedcva, poiché l' accento si trasporta. sulla sillaba seguente.

Si dimmulu se lo scrivere Bono, Tono, Sono, Core, ec., secondo 1’ uso fiorentino, sia errore, o se dn‘hlmsi sempre i-afiorznre la vocale col dittongo. Io per me credo che, se non si può chiamare errore l’ omettere il dittongo, è per altro errore certissimo il metterlo là, dove non ha più luogo, Pure, per regola. di chiarezza, alle quale cede ogni alti-a regola.

su scrive più comunemente Nuoto": o Vualam, per non confonderli con Notare da Nola, e Volare da. V610. [p. 46 modifica]

DI ALCUNI CAMBIAMENTI DI VOCALE PRODOTTI DALL’ACCENTO MOBILE.


Lo spostarsi dell’ accento da una in un' altra sillaba produce nella formazione dei verbi della l'ooniugazione un cambiamento della vocale a tematica in e, tutte le volte che esso da quella vocale si trasporta nella seguente. Cosl l'a di Cantate diviene e in Canterò, e Oantcrèi e loro persone, e solo rimane nella prima e seconda persona del plurale dell' im- perfetto: Camawîmo, Caniavlîte: dal che alcuni inferiscono, che non Cantavzîrm) ne Cim- tauîtc, ma Cantrîrmno e Cantdvatc si dovrebbe pronunziare, come in realtà si pronunzia nel comune linguaggio.

Lo stesso mutamento in luogo dell’ accento produce mutazione di vocale nella prima sillaba di tre verbi, i quali sono Oda, Esca e Devo. Finché adunque l' accento si mantiene nella prima sillaba, si mantiene anche la vocale o od a: ma passando oltre l’accento, l'0 di Oda e l’e di Esco si mutano in u, e l’e di Devo in o. Cosi: Oda, odi, ode, Udiuma, udita, odono. l'divo, ec. L'dirci, ec. l'dirò, e L'drò, ec. Udissi, ec.——Esw, esci, esce, Usciamo, uscite, escano, ec. Usciva, ec. Uscirà, ec. L'scisin', ec. -— Devo, devi, deve, Dobbiamo, dovete, devono. Dovevo, ec. Baretti, ec. Dovrò (sincope di Dorerò). Dovessi, ec.

DELL’ E E DELL’ O APERTI O CHIUSI, DELLA S E DELLA Z DOLCI O ASPRE.


È veramente per inon Toscani e più per gli stranieri una grave difficoltà dare il con- veniente suono alla pronunzia dell'6 e dell' a, dell'5 e della c ; poicliè quelle due vocali debbono essere pronunziato con suono ora aperto ed ora. chiuso, e queste due consonanti con suono ora dolce ed ora aspro. Le regole che si danno nei soliti trattatelli di pronunzia giovano a poco, poiché sono adogate in un mare d‘ eccezioni, ed oltre a ciò sono adatto materiali. Il meglio sarebbe accordarsi a fare uso di qualche semplice segno, che deter- Ininasse la pronunzia.

Rispetto all’2 e all’0 fino dal secolo decimoscsto si senti la necessita di un segno qual- siasi. Primo il Trissino introdusse l'r, e l‘a) de’ Greci per denotare l’e e l’a aperti, e Ii usò nella stampa de’ proprj scritti, volgendosi con un’ Epistola a Clemente VII, in cui pre» gara Sua Santità a dare ordine che questi nuovi caratteri fossero adottati nelle stamperia. Ma come il Trissino era trivigiano, così molte e e molti o divennero, secondo la pronunzia sua, di chiusi aperti, c di aperti chiusi. A lui si oppose con una dissertazione il giovane fiorentino Lodovico Martelli, dimostrando vana e ridicola la invenzione, e poi, con più ca- lore, Agnolo F irenzuola nel discorso 11 discacm'ammlo delle nuove lettere, come contrarie alla- sexnplicita e alla naturalezza dell’ antico e comune alfabeto toscano. Anche Claudio Tolomei, senese, volle tentare qualche modo per distinguere il doppio suono delle due vocali, scri- vendole di tondo nel carattere corsivo, e di corsivo nel carattere tondo. Nel 1544 Neri Dor- selata di Firenze, pubblicando la traduzione del commento di Marsilio I‘icino sul Convito di Platone, pose un accento sulle due vocali di suono aperto. Finalmente Antommaria Sal- vini, cercando di provvedere allo stesso bisogno, contrassegni) nella sua versione dell’Op- piano l’c e 1’ o aperti con un accento circonfimsso; né mamx‘) chi proponesse di scrivere le due vocali aperte con lettera di forma maiuscola. Quanto all’3 e alla z, non trovo che si pensasse in passato ad alcun mezzo per distinguemc il suono dolce od aspro.

Di tutti i modi proposti e tentati, il solo ragionevole ed accettabile sarebbe quello del Dorselata, vale a dire segnare con accento grave l’a e l‘ o larghi; e quanto all’3 e alla z, quello che modernamente si usa in multi vocabolaij, vale a dire, segnarle con un punto» [p. 47 modifica]lino sopra; modo semplicissimo, cbe mentre non sopracosricherebbe la scrittura, sarebbe ll‘ inestimabile giovamento agli stranieri ed aiuterebbe tra gl' Italiani l'unità della. retta pronunzia del comune idioma. Ma quando ciò non volesse farsi per lo curiosa ragione di non ofl'cndero la. semplicità e la nahmlleua dell‘ alfabeto nostro, si dovrebbero almeno con- troddistinguore con 1’ accento o Col puntolino quelle parole che risultano degli stessi eln— monti, come:

per l' o avvio-re c nmîrrc pòàc post» (verbo) bolla brilla posta posta (da purgrn) (lilla trillo (con In} Mova rom-a colla tùlla. (con lu) rosa rasa, oblio «il!» sròpa sai/m rìqrpa cizjipu . .vòrla sorta (da. saryrrr) CÌIi'rc (da coylirrr) mrm (da correre) limbo bieco (da forcarr) film [tira [in-re loylicre) birre firssc '0'. e (verbo) torta da tornar.) Iqìrln imlòtto imlàtta (da imlurrr) limo veleno) trim) (toscano) mùkro M250 vòlgo (verbo) ròlgo ùra (aura) dm (nome) vòm (vuoto) mito porsi (da parycre) porsi (da. porre) per l’ c Ila'iflu (verbo) notato bèi (bolli) bii (bevi) a/f'ì'llo affitta (verbo) ciclo césta valliga Mh‘ya (verbo)

DELL’ACCENTO.


Le lingua italiana non conosce propriamente che l’accento grave (‘), il quale si segna soprala fine delle voci che hanno l' accento tonico sull'ultima. Il medesimo è stato mo- dernamente adottato per segnarlo anche sulla penultima 0 antepenultima in alcune delle voci parassitarie o propm'ossilone, a fine di dure maggior chiarezza al discorso;‘ e il cir- aonflesso (”), che taluni adoprano nella sillaba finale di certe parole poetiche, come in anali! per amaro (amarono), canhîr per canfora (unitarono), udîr per udiro (udjrono)I per distin- gucrle dalla terminazione tronca degli infiniti amar (amare), cantar (cantare), ud'ir (udire). V’è poi cbi lo usa per denotare l’0 o l'c aperti in certe parole, s fine di riconoscerla da altro, come [6m (piazza), lima. (argomento), per non confondorli con fon; (buco) e lima (timore); e finalmente vi sono di quelli che= come si è detto, lo poligono sull'i finale, in cambio dei duo ii o dell' i lungo.

A me 1' uso di questo segno, non proprio della scrittura italiana, sembro. all‘atto su- perfluo. annto poi al distinguere cantar, udir (per canturono, udirono) da cantar o «dir (per cantare e udire) credo cbc il senso del discorso dovrebbe essere più che sumciente o distinguere.

L‘accento grave poi si (Ice segnare su certi monosillabi e. fine di non Confonderli con altri della stessa forma. Cosl si pone su là o su Il avverbj per distinguerli da la a da. Ii articoli, sull’è e sul dà verbi per non confomlerli con l'e congiunzione e coLda preposi- zione, sul al niîcrmativo per distinguerlo dalla particella pronominnle m", sul sé pronome per distinguerlo dalla condizionale se, sul né particella negativa per riconoscerla (la ne pro- nominale, sul chè avverbio per non confondorlo con che pronome o congiunzione; maè un en'ore lo scriverlo su qui, qua. fu, in, sia, su, ec., non essendovi alcun bisogno di distin-

I c-ù però chi, invece del mm, Idopem in questo cm rneum'); mi. qui dimmi dl modi. [p. 48 modifica]guere. Gli antichi, e taluni anche dei moderni che anticheggiano, scrivevano à verbo, invece del comunissimo ha: ma è da lasciarsi a loro.

Si segna poi su altre voci monosillabiche, come in per die (giorno), per fede, piè per piede, prò per prode, ec., dove l'accento non altro indica, che un'apocope.

Inoltre ebene, per ragione di chiarezza, segnarlo su certe parole paromitone, afiinchè non siano confuse con altre che sono proparossitone o su questo per distinguerla da quelle. Tali sono balìa e balia, frastaglio e frasiaglia, ancora a ancora, subito e subita.

DELLA N NELLE PARTICELLE CON E IN, CHE SI PERDE IN COMPOSIZIONE CON ALTRE PAROLE.


I codici, s la maggior parte delle stampe del tempo passato conservano La n di questa due particella, allorché entrano in composizione con una parola incominciante per a seguita da altra consonante, come 0,11 e t; dicendo canscienca, inspiare, induista, instante, instndre, instmmenta, ac. Se non che l’ uso presente ha quell' n cosi addolcito per 1' eufonia della pronunzia, da doversi adatto perdere nella scrittura. Onde la Nuova Crusca, registrando nel Vocabolario queste e simili voci, ha creduto bene di conformarsi all' uso corrente, scri- vendo coscienza, coscienziosa, coscienziosmate, costante, costanza. costantemente, coscriziom- ‘ì‘ìzsct-itto, cospargere, cosparso, costare per valere, casto, ec,‘ E questa è la maniera, con la. quale dehbonsi oggi scrivere cotali voci: perciò scriveremo, oltre alle citate, ispirare, ispi- razione, istare, istanza, istantaneo. idigare, istigazione, istillare, istruire, istrumento, ec. Ma in alcune poche voci, che sono prettamente latine e del linguaggio poetico o di certe scrit- ture, come quelle che l‘ uso assai raro non le ha, per dir cosi, ammorbidito, la n si ritiene; come in conscio per consapevole, constare per esser composto (tanto più che il primo p0- trebbe confondersi con coscia, parte della bestia maoellata, e il secondo con costare per valere). Ma. quando la In è negativa, l'n si conserva; onde scrivesi Imperato, Impara. Liltt, Instabilc, Insiabiliùì, Instancabile, ecr

DEL RADDOPPIARSI LA N DELLA PARTICELLA IN IN COMPOSIZIONE CON PAROLA INCOMINCLANTE PER VOCALE.


In molte voci comincianti per vocale, 0 con le quali componesi la particella In con va- lore propositivo, l'n si raddoppia, laddove in altra rimane scempia, secondo un capriccio (che con altro nome non potrebbe chiamarsi) della. pronunzia. Se non che il popolo toscano suole in tutte rarldoppiarla. e come dice con le persone colte

innacquare innanzi innanwrare innaqmre, ec. mnaffiarc

cosi dice, al contrario delle persone colte, innalzare innondare innabissare innumidire innargentare innastare, ec. innorridire

le quali, per altro, dovranno scriverai con un n solo, cedendo alla. forza dell’ uso. Quando poi la In e negativa, in tal caso non raddoppia mai la n, o acriveai Inabile, Ineleyante, Iaonesto, Inutile, Inmwrnla, ed

I cm della Nuuu Unisce solo mune delle voci composte con I. puruth con, non salendo per mm "(lv-h x quelle composte con In In. [p. 49 modifica]

DEL RADDOPPIAMENTO DELLA CONSOSANTE IN CERTE PAROLE COMPOSTE


Anche in questo punto l’ortogrnfin italiana è assai incerta, almeno per i non Toscani, ed è per conseguenza necessario ridurla. ad unità, ponendo nnche in ciò alcune regole, le quali dipendono dollu. rotta pronunzia. e dalla natura {unica delle particelle che entrano n, comporre molto parole, delle quali qui si diecorre. Queste particelle le divideremo in due classi, in quelle che si usano anche fuori di composizione, e in quelle che si usano nolo in composizione.

1° Le prime sono A, Da, Contra o Contro, Tra, Già, Intra, Sopra o Saura, Satin, Su. Di esse la maggior parte hanno virtù di raddoppiare la consonante semplice del secondo elemento della. pnroln composta1 lo altre non l‘ hanno. Le prime sono A, Da. Conlra, Tra o Ha, Già, bitra. Sopra e Su,- lc seconde, Contro e Sullo. Ed anche qui si capisce facil- mente la ragione del raddoppiare 0 non raddoppiare lo consonante, sol che si faccia at- tenzione nl valore fonico di tali particelle non composto, ma. usate nella. serie del di- scorso. Se io dico: A me, A (c, A wi, A fare, A dire, A (anta, A dosso, Da me, Da le, Da tutti, ec. Già fu, Già mai, cc. Su ma, Su lo, Su lui. 00., l'orecchio sento sul)th che io pronunzio queste locuzioni come se fossero scritte compostamente Dammè, Datti, Dultuth', ec. L'ria/fù, Ginmmm', Summè, Sullè, Sullui. E quwta è la. ragione che spes- sissimo a‘ incontrano cosi addossato nein antichi manoscritti, nei qunli la. scrittura rappresentava la pronunzia. 31h non mai s' incontrerebbero Dimmè, Dillè. Cantrmmnina, Sottossala; perché, scritti divismnonte, si sente che quello particelle non operano sulla con- sonnnte della parola che segue quello stesso che le altre, o la voce col'm via dalla. loro vocale sulla mnsonante seguente. Pni'ciù scriveremo:


ubbàftm approvare daldmndygine sopram'ylio avea nta arrirure dal/bip“: sopracropi-rla acciò - arralure dacmnlo sopnuldilto acmxlare assalire (IllpIÌI'ÈSSD sapmmmmm addobbare avvenire dapprima soprummaltòne addiihba nwcnturare daltu’rno saprannonn mltlokire mntruhhmulo davvéro ' addossare cmzlmbhilzmcinw Iivnumt‘llrrr

urIIiòsso conlruu'aml/iarc frammischiarc sapraslare a/ì'mre mmt mrldire fruppu'rrc soprallmére nylfliagm'z contra/fare yiummai saprai-11mm: alluta contra/['er intrawadc're suddélto ullcnIare cantrammina intratwcnire mimmlm‘ulfl ammannire conlnxppérre soprabbandurc surriferila mmaiure contrasségno sapramiriru suovi. oc. appérrc

Mn con le particelle Contro e Sulto, il raddoppiamento non si fa, e scrivesi:

contrubdlh'rc ' controllarne sonori-"[0 solfulìrm cardromiun sullomln) saltati-SIA" sommi!“ conlrumum soltobam'u sottolinea saflunipm, ec.

2° Le particella che usansi solo come prefissi, sono antw, anti, nrci, de o di, I'ntra, pro, ,u-e, ri, so (dal latino sub), sta (ail‘rrcsi di qucsta) e sh'u. Delle quali la solo. so raddoppia In consonante,

’ sommare sossàpra sollevare xommuòven’, cc. sacchiihltrc

I in tnlo composillnno In nustrn Iingnn, pm' lll'ettu non. nmmu. pruh'liwfl mi In roca «Mm n roll", [p. 50 modifica]La pro raddoppia la consonante in provvedere e suoi derivati, e in antico la raddop- piava anche in prowurare e pro/ferire e in alcun’ altra voce. - Le altre cosi formano la. parola composta:

llnlnnm'nlc dcpu'rrc prevedére rivolgere unlrpemiltima depurare pronunziarc stasi'm (e non antinomia (lapuhu'c procònsole slassem) antipatia dimèttero procurare stamattina (innesca/co dilaniarc prolungare straoòtto arcifiìnfanu divorare riboIlz're strafare arrioanoelIiì'ro inirannWeM. rilm'llcre slmvîmura arribìlln prepàrre riporre strabì'llo arcicònsola premificrc rioalére slmricoa, cc.

DELL’ASSIMILAZIONE DI ALCUNE CONSONANTI.


La. legga di assimilazione è comune a tutte le lingue, 11m. n nessuna più che alla no- stra. Per questa legge, di due consonanti la prima si assimila con la seconda; il che pro- duce maggiore agevolezza nella. pronunzia, perché invece di proferire con la stessa. emis- sione di vooe due suoni differenti, se ne preferisce uno solo raddoppiato.

La consonanm più soggetta all' assimilazione è la nasale n. nella particelle Con e In composte oon altra parola che incominci per l o per m o per r.


Così da in-Iz’cito si fa ilh'zilo in-ri/Icssivo si fa irri/lessiro Eri-legittimo illcyiltimo imslramàzin islrmnùztn i'm-mollare e'mmollare 'in-slmire istruire in-mrliare irradiaru t'aiHatemle wllaierale ivi-rallenta in-redìnto ton-n'a correo in-resprmszîbile irrvspmmîhile (‘ow corrispémlrre in-royurc in'aguro l'on-radere corrode”, 0c.

Ed è tanta la. forza di questa legge d’assimilazione, che in molte voci derivate dal greco o dal latino la pronunzia toscana. assimila la prima alla seconda consonante, di- cendosì: addome, Mammola, tuîdicare, addicaziane, eddomaddria, ananas/i'm, arimmèlioa. critla, domma, enimma, ènm'ro, ginnico, filmico, semmàllo, invece di abdmno, abdmninale, abdicare, abdioazione, ebdomwlarz'o, atmosfera, aritmetica, cripta, dogma, enigma, etnica, gimnico, tecnica, segmenlo. Ora non converrebbe scrivere questi e somiglianti nomi come si pronunziano, nel modo stesso cho pronunziamo e scriviamo dramma (peso) invece di dracma, m'uaa invece di tmrlim, sintassi invece di siutucsi, wnihereinveoe di carattere, prrîh'ca e in passato praflica, invece di prowtica, secondo la legge di assimilazione osservata in molte altre parole venute a noi dalla. stessa forme del greco o del latino? Solo per cagione di chiarezza, alla quale deve cedere ogni altra ragione, si dovrebbero scrivere con forma eti- mologico alcune poche voci, affinché non si confondano con altre; e tali sono abdufiore. termine anatomico, porche si distingua da azlzluttme, termine anch’ eSso d’ammmia; abro- gare, abrogazione, essendoci nell’ uso forense anche arragare e arrogaziane; almegnre per non fare ambiguità con annegare.

DELL’INCONTRO DELLA VOCALE DELLA PREPOSIZIONE CON LA VOCALE DELLA PAROLA COMPOSTA.


Allorché s‘ incontra la vocale della preposizione con quella della parola con la quale si compone, possono darsi tre casi: o si perde la. prima vomle; o si perde la seconda; op- pure rimangono ambedue. Si perde la prima nella parole composm oon Sopra o Sopra, [p. 51 modifica]Sotto e Contro; come soprintèndere (migliore di sopraintèndere), sovrimpòrre (migliore di sovraimpòrre), sottintèndere, sottàbito, contrattàre; si perde la seconda nelle parole composte con Fra o Tra, come frantèndere (migliore di fraintèndere); e rimangono ambedue nelle parole composte con Pro, e con 1‘ro, come preadamîtico, preavviso, preesisqu preoc- cupare, preordinore, prodoo, ec.

DELL’ADDOLCIMENTO DELLA N IN M INNANZI AL B E AL. P.


A Tutte le volte che le particelle Con o In in composizione si trovano innanzi a una p2»- rolo incominciamo per I, In u si conserva, essendo il suono di quella labiale tanto rom, (In potersi (lire aspirato: inficrirc, infatti, illfl’llnyt’rfl. .\Ia allorché si trovano innanzi a pnruln incominciuntc per I: o per 11, siccome il suono di queste due labinli è più dolce. cosi la n si dovrà. sempre congiure nel più tenue suono dell‘m. Si scriverà adunque com- baciare, combutta, canalone, imbctcrc, imbarca, imporre, imprigionare, ec. La medesima. re- gola corre unche nelle parole, per noi non composte, come combriccola, conqmyno,inq7ero. e simili.

DEL DEL MODO DI SCRIVERE ALCUNE PREPOSIZIONI O CONGIUNZIONI COMPOSTE.


Anche su questo punto sono varie le opinioni dei grammatici e dei lessicografi; per al- cuni dei quali dovrebbero scriverci disgiuntaniente, come A basso, A canto, A dietro, A piè o .4. piedi, A torno, Da conio, Da capo, Da dosso, Da lalo, Da per tutto, Dapoco, Da poi, Du presso, D'ussai, D’aranzo, Di poi, Nulla di meno, ec.; e per altri congiuntamente. Né mancano di coloro che alcune le vorrebbero disgiunto ed nlln: congiunte; senza. che neo suno di loro ne dia una buoni. o probabile mgìuue. Ne per verità, e ehi si mettesse a cercarla, sarebbe agevole trovarla. Ma anche qui volendo stabilire una unità ortografica, non c’è altro che ritrarre nella. scrittura In pronunzia, sempreehè La. voce ritenga, tutta lo l'ora). o propositiva o avverbiule o congiuntivo. Perché chi scrivesse Si rifeoe daccapo e andò sino in fondo, scriverebbe male congiuntamente daccapo, poiché la voce aapo ba tutte In. forza di nome, usata per principio, e la particella Da indico. un primo temine di moto: ma scriverebe bene ehi dicesse fece daccapo la [al cosa, perché daccapo ho. tutto il valore di avverbio, significando di nuovo. Mcdcsimnmeme sarebbe erronea scrivere daccapo appiè. aignilieando dal principio alla finr. Ma la tu! villa siede appii: del morde, sarebbe scrith bene. Vi sono poi oltre di questo locuzioni, lo quali ricevono forze. di aggettivi, come l'oma dabbcnc, Donna doppoco, da cui si l‘ormone anche i sostantivi, Dirbbmaggine, Dappooay th. Le quali diilicilmente potrebbero nel primo senso scriverei Da bene, Da poco.

Si in anche la questione se tali locuzioni composte di Da o Di e di una maniero pre— positiva incominciamo per vocale, debbanei scrivere col D’ apostrofnto, ovvero congiunta. mente; cioè se (lebbasi scrivere D'accordo o Domando, D‘accuslo o Doccoslo, D'adde o lhiddosso, D'altorno u Datlomo, D' ili/omo o Dinlomo, D’ avanza o Durando, D’ avvan- Iuyyio o Dnrmnlaygio, cc. Sopra di che io non dirò altro, se non che a me sembra doversi scriverle congiunte per stabilire un modo comune ed nuico di scrittura. Il qual modo ha per sè mule ragioni. quunte no potrebbe m'ero quell’ altro dello scriverle disgiunto ; ed anzi una di più, che unitamente si scrivono le congiunzioni composte con C712, scrirclldosi Ao- ciocchè, Aflincliè, Benché. Doechè, Iowa-occhi; Poiché, Parchi), Semprcchè, Tuflochè, fino alla sterminatnmcnte lunga e composta di nientemeno che cinque elementi Cenciosiacosmhè; e unitamente molto nltrc simili parole, come .lzÌinriHm-a, .llmcuo, Nicnlemeno, Nonoslanlr, [p. 52 modifica]sztutlociò, Perciò, Acciò, Dapprima, Davvero, IIHMHÌ, III/(Elfi, Difatti, Inoltre, Invece, In- somma, Dunpo e non D'uopo, Ovvero, Oppure, Ossia, Sebbene, eo. Dirò finalmente, che le scrivere D’ allala, D‘ appresso, D'aiiomn, ec. è avuto ila, alcuni per modo errato.

Se non che il modo A fine non può scriverei unitamente Affine, se non quando gli segua un che: maniere oggi poco usata. Ma quando gli segua un di reggente un infinito, in tal caso vuolsi scrivere disgiunto, come A fine di poter far quesla. Per la stessa ragione, è mi- gliore scrivere In ome in questa 0 simile locuzione: In vece di venire ho scritto. Errore poi manifesto sarebbe scrivere congiuntamente l‘ una e l‘ altra di tali maniere in locuzioni simili a. questa: L’ ho detta alfine di bene, Lo mandati invece mia. Tutti veggono che nel primo e nel secondo esempio le parole fine e vece sono due veri e proprj sostantivi. Non è poi bello il costume che hanno certuni di scrivere tutt’ attaccato Senonchè; poiché essendo il Se una di quelle particelle che raddoppiano la, consonante che segue, dovrebbe, se mai, scri- versi Sennonchè.

DELLA MIGLIOR FORMA ORTOGRAFICA DELLE PREPOSIZXONI ARTICOLATE.


Preposizioni articolate sono Del, Dallo, Della, Dei, Degli, Delle; Al, Allo, Alla, Ai, Agli. Alle,- Dal, Dallo, Dai, Dagli, Dalle; Col; Nel, Nella, Nella, Nei, NLWÌI', Nella,- Sul, Sulla, o si scrivono oggi comunemente nella forma che qui son poste, vale a dire con la particella semplice DIÎ, A, Da, Con, Su composta con l' articolo Il o La.

E su questa scrittura tutti oramai concordano, salvo certuni che adoperano nel verso, rimettendo fuori un' antica ortografia, a In, a la, (le lo, (le la, da Ii, (la In, da la, ne la, m la, ne i, p2 'l, su ’l, 00 ‘l, 00’ i; ma poi nella prosa si attengono per lo più alle forme comuni.

Ma le preposizioni Collo, Colla, Cogli e Culle, Pel, Pella, Pella, Peyli e Pelle si vogliono preferibilmente scrivere disgiuute.C0n lo, Con la, Con gli, Con le, Per il, Per la, Per la, Per gli, Per le: e lo stesso consiglia. di scrivere il Salviati.

DELLA SCRITTURA DELLE PAROLE DERIVATE.


Per regola generale una parola derivata da un'altra ritiene la stessa scrittura. Dn questa. regola si dipartono alcune voci, che l' uso oramai accertato dei più corretti scri- venti eecettua. Così da Acqua, si fa Acqlw0,AcquosD, Atqmio,Acquatrino, Avqucrclla, 11€un enne, Acquavite, eo., col L'q della parola primitiva: ma perde per miglior suono la e in Aguaiico e Agnerio. Da Famiglia si fa Famij/liona, Famiylio col gl; ma perde il g in Fa» miliare, Fumiliarmml‘c, aniliun'tà, oc. Da, Figlio si fa Figliuolo, Figliolinn, Figliohme, Figliustra, Figliare verbo; ma il yl si assottiglia in l in Filmle, Filiulmcnte, Affiliare; da Artefice, si fa, mutata 1’ e in i, Artificiale, Artifivio, Ariificz'osa; e lo stesso avviene in Pon- tefice, che dà i derivati Pontificio, Pontificale, Pontifieare.

DELLA FORMA ORTOGRAFICA DI MOLTE PAROLE PROVENUTE DAL GRECO O DAL LATINO.


La dottrina del Gherartlini e de‘ suoi seguaci, la quale pone per fondamento all’ orto- grafia italiana la ragione etimologico, produrrehbe, se abbracciata comunemente, tale al- terazione nella lingua da respingerla verso i suoi rozzi principi, (lisconoscemlo un’altra e più grave ragione, la quale è la elaborazione della parte ionica della lingua medesima mediante la pronunzia toscana, che è il fondamento alla ortografia italiana. Cosi noi do- vremmo tornare a scrivere sommano, l‘lilbÌD. addullo. con malore, l'umiltà, difficullù, com[p. 53 modifica]moda e cento e mille altre voci, che dal latino passarono nella lingua nostra, e usato in principio nella. loro forma nativa, vennero poi a mano a mano modificandosi nelle bocche dei parlanti e sotto alla penna degli scrittori. E certo bisogna. dire che non è necessario un orecchio squisito per sentire quanto quelle e simili altre forme, stabilite sul fonda- mento della etimologia, spiaoeiano negli scritti del Gherardini e di alcuni suoi seguaci, come Carlo Cattaneo, Terenzio Mamiani, e quanto impaccino il discorso e lo stile, e diano ed essi un colore di pedanteria e talora anche un’ aria di goflaggine; tanto è pericoloso in materia. di lingua voler sostituire un principio subiettivo, sia anche fondato su qualche ragione, al fatto multiforme e complesso che dipende da molte e più intrinseche ragioni.

Se non che vi sono di coloro, i quali pur riconoscendo quwto fatto nelle parole del co- mune linguaggio, vorrebbero osservata la forma etimologim almeno in quelle parole che sono dell’uso dei dotti o degli scienziati. Perché, dimandano essi, mentre tutte le altre lingue europee scrivono con una. sola. consonante le parole Drama, Dramnjico, Retorica, Retorica, Comedia, Acadcmia, Acadcmico, e simili, la sola lingua. italiana dovrà. raddoppiare la con- sonante, scrivendo Dramma. Drammatico, Rultorica, Edtarico, Commedia, Accademia, Acca- demico, 011.? La risposta. a questa dimanda è facile e pronta, Porche si pronunziano a quel modo dal popolo toscano, esi può anche dire da tutto il popolo italiano: e la pronunzia, torno a ripeterlo, è il fondamento alla ortografia. Noi dunque scriveremo Drama, Cm dia, 80., quando, come i Francesi che dicono e scrivono Drame, Comidr'e, ec., pronunzieremo quelle parole con la consonante scempio. Fare diversamente sarebbe contrastare a una legge capitalissim, che governa la nostra lingua, e metter discordia. tra il suono e il segno, tra la ortnepia s la ortografia, che è una delle doti dell’ idioma italiano. La ragiono eti- mologica vale tanto appresso le altre lingue (quanto poco vale appresso la nostra), che l' alfabeto loro ba prose in prestito alcune lettere alle lingua greca per meglio con- servare e rappresentare la loro forma originaria. Così mentre noi scriviamo filosofia, Fisica, Iicltorica, Teatro, ec., il francese'scrive Philosophie, Pizysique, ha'lorique, Tlm'éhe ,- il tedesco Philosophie, I’hysik, Rhetorik, Theuler; l’ inglese Philosophy, Physic, tharic, Mm. Cosl à davvero wnservata. nella scrittura la etimologia, sebbene nè il francese, uè il tedesco, nè l' inglese facciano sentire nella pronunzia, come non la facciamo sentire nep- pure noi, l’aspirazione del o, del 9 o del (7 greci. Dovremmo noi pure, per amore della eti— mologia e per uniformarci alle scrittura delle altre lingue, scrivere Philosophia, l’hysica, Blu-larice, 1712000? E perla stessa ragione Physonomìa, Physiologin, Psycalogia, Gymna- etica. Rhyflnmo, e molte a molte altre? Di tale novità non ci ringrazierebbero neanche i dotti stessi.

È dunque da stabilire, ciò che oramai dal mnsenso universale degli Italiani è ammessoi che la forma ortografico delle parole originate dal latino e dal greco debba determinarsi dalla pronunzia toscana e dull' uso degli scrittori che a quella. si oonformano. Già. abbiamo veduto innanzi come per la legge di eufonia e di assimilazione la forma primige‘nia di molte parole venga ad esser modificata. Qui poi dovremmo indagare le ragioni, per le quali nel corpo delle parole. ora si raddoppi la. consonante scempia, come in Dramma. Cmnmedia, Ile/larice, Accademia, Dubbio, Effimero, Fabbrica, Faccia, Femmina, Febbre, Macchina, Im- magine, oc. ; ed ora la doppia, sebbene assai più raramente, si scempi, come in Comune, ec., se questa ricerca non ci conduoesse in sottigliezzo, che debbono esser lasciate ai glottòlogi. La cosa più pratica per i giovani e per gli stranieri si è di consultare questo Vocabolario. [p. 54 modifica]

DELL’ACCERTARE E UNIFICARE LA PRONUNZIA DI MOLTE PAROLE CHE SCRIVONSI VARIAMENTE.


Non \'ì è forse Vocabolario al mondo che, come l’ italiano, rechi (li una stessa parolJ più forme. Aprite la Crusca, e troverete, ad es., Abbomlarc e Abondare, Abominarc e Abbo- minare, Abarrirc e Abbnrrire, Altrimenti e Altramentc, Cnmpraree Comperare, Candrlicre o szdellipre, Camino (focolare) e Cammina, Cannicciu e Cum'ccio, Cannocchiale e Canova/link, Cerimonia, Cemmonia e ('r'rimonia, Congettllm e Canghiettura, Dimandm e Dumanduro. Dinumi e Domani, Diventare e Downfarc, Emth ed Uguale, Escire ed Haifa. Ghiaccio r Ghiau'irlre e Diau‘io e Dimiare, Giovane e Giovine, Jlrrariglia e Muraviglia, Maleddln e Illuladefio, Natura e Notaio, laterpelrn e Inlerprele, e così Izlleryuirare e Ditcryrclarr, "lira e Ulim, Obbpdire e LUabirlirn, Scalpella e Scarpello, Spener a Spray/nere, T ingcre v Tiynere, e cento e cento altre, che rendono il Vocalmlario nostro singolare (la tutti gli altri Vocalmlm'j‘ e sono di grande impaccìo alla unità della lingua comune. Su questo punto di mpimlissinia importanza dovrebbero intendersi gl' Italiani, e fermare una scrit- tura che fosse seguita da tutti. A questo ho inteso, fra le altre cose, di provveda-e col presente Vocabulario, dove llO quasi sempre registrato (li più forme quella sola, che «‘- più secondo la ragione, l’ uso e l'orecchio toscano. Del resto possono i poeti valersi di quelle che più ad essi nggradano, e scrivere, per 95., non solo giovane e giovimz. ma, sr- l’orecchio lo desidera, anche gior‘ene.

  1. L' Unità ortografica della Lingua iraliana, Finanze, Felice Paggi, 1885.