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VERSI CONTESSA LARA VERSI INTIMITA’ PARVULA + DISEGNI II° Migliaio ROMA CASA EDITRICE A. SOMMARUGA E C. 3, Via Due Macelli, 3 1883 X LIBRIS SEN. CONTE ALESSANDRO CASATI DONO LEOPOLDA INCISA DELLA ROCCHETTA. 1960.

PROPRIETA’ LETTERARIA

1180. — Firenze, Tip. dell'Arte della Stampa. INTIMITA' I. - CONTESSA LARA, Versi. ***

DICEAN ghignando che a la donna sola, A la reietta, a l’esule, a la mesta, Non più l’arte, che inalza e che consola, Darebbe fiori per la bionda testa. La blusa, invece, intorno ad essa vola Sempre fida qual pria, nobile, onesta: E fa ne gl’inni udir la sua parola Che memorie e speranze in lei ridesta. Insieme van così lungo il sentiero Triste de’1 mondo, che soltanto ha fine Ne 1’ alta erba là giù de ‘1 cimitero. Ingombro è il suoi di rettili e di spine, Di minacciose nubi il cielo è nero, E pur cantano ancor le pellegrine RISOLUZIONE

EGLI il silenzio vuol d’una Certosa Antica da le arcate bisantine, Dove, monaco austero e in bianco crine, Calmo finir la vita tempestosa.

Ella, del par fantastica e pietosa, Giura che, stanca di monili e trine, In umili n’andrà vesti turchine, Mite suora a chi soffre, a Gesù sposa.

Ei sogna i vecchi testi de ‘l trecento Su cui vegliar le notti: ella s’infinge A ‘l capezzale ove il morente geme.

Sorridon tutti e due.... Dopo un momento L’un dice a l’altro, mentre a sé lo stringe: — Senti, amor mio, se si vivesse insieme? CONTESSA LARA VERSI INTIMITÀ PARVULA ± DISEGNI. II° Migliaio Roma Casa Editrice A. Sommaruga e C. VATICINIO

SCORDA pure, se puoi, scorda l’incanto De i giorni che un per l’altro abbiam vissuto; Lo schietto riso, il subitaneo pianto, L’estasi in cui, tremando, il labbro è muto.

Spezza il legame più gentile e santo Che stretti insiem due cori abbia tenuto, Segui la donna che ti passi accanto, Ne’ ricolmi bicchier cerca un aiuto.

Io prevedo, io lo so che dopo molto Triste vagabondar di suolo in suolo, Senza l’amor che fa pensare a Dio,

Un giorno asconderai pallido il volto Fra le mani convulse, e stanco e solo, Griderai singhiozzando il nome mio. IN UNA CHIESA

ERA in mezzo al paese una chiesuola Dal campanile aguzzo e un porticato,

Dove talor la madre o la figliuola 

D’un marinaro assente avea pregato.

Ella un giorno v’entrò pensosa e sola, Poi ch’ogni suon d’intorno era cessato; E prona mormorò la sua parola D’angelo ne l’esilio abbandonato:

— Perchè, Signor, queste tremende lotte? Perchè, l’anima mia, barca smarrita, Faro non ha ne l’ombra de la notte?

Qui, donde i voti a Te soglion salire Pe ’l forte amor che i più lega a la vita, Io ti prego, Signor, fammi morire. — A LUI

I DIVINI occhi tuoi, languenti ed umidi Per desiderio che non ha parole, D’una luce di ciel m’inondan l’anima: E dico che non ho raggi di sole! Non ho raggi di sole?

Le tue braccia amorose al sen mi stringono; Io mi riposo in te come si giace Dopo molto vagar la stanca rondine: E dico che non ho nido di pace! Non ho nido di pace?

Non mai gustate voluttà m’inebriano, Vivo ne’ baci tuoi, ne ‘l tuo sorriso; Sento che in questo amor son fatta un angelo: E dico che non credo a ’l paradiso! Non credo a ’l paradiso? SEMPRE A LUI

No, se dissi talor che il mio destino Sarebbe sempre a ’l tuo destino unito, Che dovunque volgesse il tuo cammino, Senza intorno guardar l’avrei seguito;

Se raccolsi de’ fiori a te vicino, Se t’ ho ne i baci l’anima rapito, Cuore d’ eroe, d’amante e di bambino, Abbiam sognato insieme e t’ ho mentito.

Fuggimi adesso, fuggimi e perdona I1 folle oblio di poche e rapid’ore: Un’ ora nuova per entrambi suona.

Dischiude innanzi a te le rosee porte L’aurora de la vita e de l’amore, E le sue braccia a me schiude la morte. MATTINO

GIÀ sento ne le case dirimpetto I bimbi prepararsi per le scuole, Poi l’ ortolano: cavoli e viole Rauco bociar co ’l solito carretto.

Qui dentro, fra le tende di merletto, Fa capolino, ancor bianchiccio, il sole, E l’ ombra annienta ov’ eran sogni e fole Con la sua luce cruda. Io sono in letto,

Stesa e immota così, che da la porta Se alcun guardasse ne la stanza mia, Mi crederebbe irrigidita e morta.

Ahi, morta, no. Ma mentre ascolto intorno Questa usual monotona armonia, Tardo alcun poco ad affrontare il giorno. SOGNI

VAGHI sogni d’amor, danzato un’ ora M’ hanno intorno al pensiero inebriato; Co’ rosei diti de la nuova aurora Di raggi l’avvenir m’han ricamato ;

Han sorriso a la mia triste dimora, Han corso meco in mezzo a i fior de’l prato, E sì pietosi io li credei che ancora M’avesser ne la tomba accompagnato.

Ma sorge il vero, e l’ ombra sua fatale A me d’un tratto tutte cose oscura: Ei sol rimane e i sogni han messo l’ ale.

Ma sorge il vero, e gelido e profondo M’invade tutta un senso di paura, La prima volta da che sono a ’l mondo. VIAGGIO

A GISELDA

ELLA parte fra poco, e il quartierino Che in fondo de i Viali abita adesso, Pien de ’l suo gusto capriccioso e fino, In questi giorni non par più lo stesso.

Là uno scìalle di pizzo, un mandolino, Mucchi di libri, qualche guanto smesso, Bottiglie vuote di spumante vino, Rado bevute e motteggiando spesso;

Qui una gonnella a falpalà di raso, Più giù la gabbia d’un uccello morto, E, senza piante, rovesciato un vaso.

Io tutto guardo e tacita rimango, Lei sta lì in piedi col visetto smorto, Poi mi si butta fra le braccia: io piango. COME VORREI L’AMORE

L’ AMORE eguale tutti i di, l’amore Casto, giocondo, tenero, sereno, Che si riposa sovra un caldo seno, Che si risveglia accanto a un fido core;

Saldo, se lotta a fronte co ’l dolore, Grave ne ’l riso di dolcezza pieno: Contro ogni insana idea consiglio e freno, Sovra ogni aspro cammin guida e splendore.

Ecco l’amor da l’intime armonie, Che mi susurra in sogno a ’l capezzale, Com’eco di lontane avemmarie.

Ma quest’amore tutti i giorni eguale, Non è parente de le tue follie, Bimbo, che i troppi baci avvezzar male. PROGETTI

TRANQUILLI, su’l balcone, intimamente Abbiam parlato a lungo: ei de ’l progetto D’un immenso viaggio in oriente, De la natura vergine a ’1 cospetto;

Io de’l mio vecchio sogno intermittente Di ritirarmi in un modesto tetto Su ’l mare ; e il mare, o placido o furente, Di strani studi miei fare il soggetto.

Mi gingillavo con la sua catena Intanto, ed egli co ’l ventaglio mio; E ognun pensava a la descritta scena.

Ma de l’idea che più ci ha innamorato, Del voto sol con cui stancammo Iddio, D’un nido insieme, non s’è più parlato. A VITTORIA

I

E’ UNA calunnia che il criterio sfida Giunta a ’1 suo casto orecchio di bambina: M’ hanno dipinta a lei cinica, infida, Un mostro nuovo, una fatal rovina.

Pure avvien che mi guardi e mi sorrida Qualunque volta a me passi vicina, E se talun la biasima e la sgrida, Vieppiù mi volge allor la sua testina;

Testina bruna, intelligente e pia, Dinanzi a cui si piegano i ginocchi, Siccome de ’l Murillo a una Maria.

Io non impreco a’ perfidi e a gli sciocchi, Ma mentre lenta seguito la via, Di tratto in tratto mi rasciugo gli occhi. II

E’ SPESSO questo mio segreto affetto D’ amica, di sorella esule e stanca, Mi porta intorno a ‘l suo tranquillo tetto Cui mattutino il sol bacia ed imbianca.

Ch’ ella s’ affacci su ’1 balcone aspetto, Fra convolvoli e rose a destra e a manca; Mentre lavora a qualche suo merletto, E suona la sua voce ilare e franca.

Aspetto, aspetto, non so dir che cosa: Un cenno, un riso che m’ allieti il core, Un tralcio di convolvoli, una rosa.

Ma no. Da lei vo’ sol ch’ ella mi guardi; E pietà mi faran, più che dolore, Le offese de gl’ inetti e de’ codardi. PENSIERO FISSO

TU m’ascolti tremando. Io, ne l’ atroce Inevitabil mio destino assorta, Con un triste sorriso, ad alta voce Penso: Morrò quand’ ella sarà morta.

Deserta tanto è già la casa mia, Dove non suona d’un fanciullo il grido, E par che vuota e vacillante sia Come d’autunno abbandonato nido.

Unico avanzo di perduti beni, Vincolo estremo che mi lega al mondo, Astro che spande i suoi raggi sereni Sovra il mio tenebror vasto e profondo E’ questa santa vecchia. Io sol per lei, Quando vo per la via stanca e soletta, Affretto il passo, perché so che i miei Passi ella conta e che pregando aspetta.

E so che a la finestra il freddo e il sole Ella sfida per me come un amante; So che incontro mi vien con le parole Che si volgono a un fiore o ad un infante.

Quanto d’ uopo ho di lei ! Quando rinchiusa Per lunga ora mi son ne la mia stanza, O ne lo studio d’ una eccelsa musa, O in un trapunto che a fornir m’avanza,

M’alzo ad un tratto: il libro od il lavoro Più non mi basta; son tediata e stanca ; E cerco de ’l mio povero tesoro Da l’ occhio spento, da la testa bianca.

E me le siedo in grembo e le favello Di tante care e disparate cose: Di te, che sei così pietoso e bello, D’ un volume che leggo, o de le rose Che sbocciaron da poco entro quel vaso; Le dico un sogno splendido da maga, O le descrivo un abito di raso. Ella intanto sorride, ed io son paga.

Ella sorride, chè per lei tuttora Io son la bimba da le chiome bionde, Strana e poeta ; io son la nuova aurora Che a lei, tramonto, i raggi suoi confonde.

E tanto scorda l’ aspra e lunga via Che tribolando percorremmo unite, Ch’ io pur rivivo ne l’ infanzia mia, Ne le speranze che mi son fuggite.

Amico, senti: se avverrà che un giorno Ella più non mi attenda in su la porta, S’ io, chiamandola, invan la cerchi intorno, Senti: morrò quand’ella sarà morta. ASPETTANDO

MI susurrò: Domani? Ed io: Domani M’avrai ne le tue braccia a l’istessa ora; Fra i tuoi capelli passerò le mani, Tu, sognando, dirai che m’ami ancora. —

Ecco, son qui. Lo attendo. A i più lontani Passi, a ogni lieve suon che vien da fuora Tendo l’orecchio, e in desidèri arcani Frugo con gli occhi la gentil dimora.

E’un vago nido. Le finestre aperte Di primavera invitano a l’incanto: Scherza il sole tra i fiori e su ’l velluto.

Io, l’armi antiche e i quadri, onde coperte Son le mura, contemplo; e penso intanto Qual tesoro di baci ho giù perduto. ON NE BADINE PAS AVEC L’AMOUR

UN capriccio di donna e di signora L’attira in quelle due stanze eleganti, Dove un aer d’ essenze inebbrianti A i baci sprona e il volto discolora.

Ei, trepido, con gli occhi la divora, Ella si toglie a poco a poco i guanti: Guarda i fior de ‘1 tappeto e pensa a quanti Piedini l’ hanno calpestato un’ora.

Quella tenda di mussolo e di raso Domani forse a un’ altra bianca faccia Le lievi ombre darà del suo ricamo. Forse.... E di gelosia l’animo invaso,

Ella a un tratto si scuote, apre le braccia, E a lui singhiozza su la bocca: Io t’ amo. II

Io t’amo, io t’amo. Oh, che altra donna mai Non susurri a ’l tuo cor questa parola: Per quante ne incontrasti e ne vedrai Anco nei sogni, vo’ bastarti io sola.

Io saprò tramutarmi in che vorrai, Mentre, com’ or, tra i baci il di s’invola: Frine, Saffo, Maria chiedi, ed avrai Quanto fibra, intelletto, alma consola.

Avrai tutto, lo giuro. Ed io frattanto Gioie da questo amor non cerco o aspetto, Che infiorino il cammin de la mia vita.

Anzi, se tu mi sei cagion di pianto, Dirò, piegando il capo in sul tuo petto: Io scherzai con l’amore: ei m’ ha punita. LETTERA

QUAND’ apro i fogli tuoi m’ inonda un senso Non mai provato d’ estasi e d’ oblio, Perchè di rose e insiem come d’ incenso Hanno un odor voluttuoso e pio.

Sento d’ amore un desiderio intenso, Sento il bisogno di credere in Dio; E leggo e leggo palpitante, e penso: Fanciullo santo, il tuo destino è il mio.

Il tuo destino è il mio: forse lontano, Chi sa come lontano esso mi porta, In che abisso mi getta erto e profondo !

Ma gli sorriderò. Dammi la mano, Fanciullo santo, e ch’ io sia viva o morta, Dammi, dammi i tuoi baci e cada il mondo. ARRESTI

ARRESTI DI RIGORE. Egli ha mancato Non mi ricordo a qual regolamento, Ma con la disciplina de’l soldato Nessun fa, non c’ è cristi, a suo talento.

Ed eccolo qui in casa sequestrato: Addio cavalli, addio divertimento! E forse in nulla, chi lo sa? sfumato D’ un capriccio il segreto abboccamento.

Tacito e grave ei legge: io gli occhi mesti Gli lascio addosso e di crucciarmi fingo Co’1 suo malvagio superior scortese.

Ma è tutto una commedia. O santi arresti! Per farmelo più serio e casalingo Ci vorrebbero almen due volte a’ l mese. PARTENZA

UN altro addio ! Le ciglia dolorose Anco volgiam per questo asil diletto, Dove a ‘l nostro pensier parlan d’ affetto Le più gentili e picciolette cose.

Vedi? Avvizziron già l’ ultime rose Prive d’ acqua e di sole in quel vasetto: E, segno d’ abbandon, sovra ogni oggetto, Lurido vel, la polvere si pose.

Qual tristezza ora intorno ! E come incerto S’ apre il cammino che ci attende poi.... Forse campo di lotta e di dolore!

E sia. Ma tra la folla o ne ‘l deserto Nessun ci toglie di portar con noi I nostri lunghi baci e il nostro amore. GUERRA

I

SEDUTI insiem ne la poltrona istessa, Abbracciati siam li vicino a’l fuoco: Si parla de i cavalli o pur de ‘l cuoco, De ‘l tempo, d’ una donna o de la messa.

Una donna! Modista o principessa, Il soggetto è scabroso ; e a poco a poco Io mi cruccio, m’esalto e i santi invoco : « Perch’ egli manca ad ogni sua promessa.

Perch’ egli l’ ama, quella donna, è certo, Se n’ ha un mucchio di fogli e di ritratti, A dispetto di quanto io n’ ho sofferto !

E mi farà morir.... Ma, tanto, basta, Noi per vivere insiem non siamo adatti!... Io piango, ei sgrida; e la giornata è guasta. PACE

II

Ei stuzzica la legna de’l camino, Con un piglio di sdegno e d’ importanza; Io m aggiro in silenzio per la stanza Co ‘1 fazzoletto in mano e il capo chino.

Or apro un libro accanto a un tavolino, Ora su’l pianoforte una romanza; Poi m’ appoggio a’1 balcone, e in lontananza Spingo lo sguardo, e penso a’l mio destino.

Penso che il mondo è vasto e ch’ io son sola: Ch’ altro nido non vo’ che le sue braccia, Ed altra fede che la sua parola.

E allor mi corre un brivido le vene, E me gli accosto e gli susurro in faccia: Lo sai, Dio mio! ti voglio troppo bene! A L B A

(A MIA MADRE)

APRO i vetri e respiro. Appar l’aurora Tremolando de ’ monti in su la cresta; Cupo è il verde de i boschi, e non ancora De ’l sole a ’l bacio la natura è desta.

Fu lunga e tetra la mia notte, ed ora Che l’ alba sorge vaporosa e mesta, Col tedio che in me vive e mi divora, Chiedo qual nuova lotta il di m’ appresta.

Ahi, non gioie d’ amor nè sogni d’ arte, Che m’ assentano l’ estasi o l’ oblio, Che m’ infiammino il sangue od il pensiero !

Ma quando il sol da i nostri occhi si parte, Verrò pace chiamando, angelo mio, Là dove dormi tu ne ’l cimitero. ELENA C.

M’ HAN detto ch’era bella, ch’ era un fiore Esotico da’l Norte a noi venuto; Che avea di bimba il riso ed un saluto Superbo tanto da ghiacciar il core;

Ed un vitino d’ape: un tale amore Che in una mano si saria tenuto; Lo sguardo ora languente or risoluto, Le trecce d’aureo veneto colore.

M’ han detto pur, che in certa guisa strana Gittava, tormentando il pianoforte, Un detto arguto in una frase vana.

Io non la vidi mai, ma l’odio a morte, Perchè un dì, tra due sigari d’ avana, Egli le ha fatto un briciolo di corte. NUNC ET SEMPER

SO che più de ’ miei baci una gioconda Compagnia d’ eleganti è a te gradita, So che daresti l anima e la vita Per un puledro od una treccia bionda.

So che de l’ amor mio che ti circonda, Che ti segue, ti veglia e a ’l ben t’invita, Come di triste larva scolorita Trascini il sovvenir di sponda in sponda.

Ma questo pure io so che, quando stanco De ’l vano accento che le labbra sfiora, Mi cercherai, chiamandomi a ‘l tuo fianco,

Accorrerò fedele; e s’ anco allora Avrai smorta la faccia e il capo bianco, Io sempre t’amerò come in quest’ ora. UN NEMICO

M’ ODIA, e il superbo suo sdegno infinito Disfoga in puerili atti scortesi: Calpesta un cerchio d’ òr che aveva in dito E fiori e nastri a me d’ attorno presi.

Ridere ostenta de ‘l mio cor ferito, De ’ giorni miei nel sacrificio spesi; E se avvien che m’incontri, inorridito Ritorce gli occhi a la mia vista offesi.

Poi fulmina, Stecchetti da strapazzo, Sovra il mio picciol capo maledetto Un sonettuccio impertinente e pazzo.

Gran rumore per nulla! Io so frattanto Che certe sere, ne l’ andare a letto, Sul mio ritratto come un bimbo ha pianto. PER CERTE STROFE DI ***

I

MI dicevan: Leggete, ei questi ha scritto Malinconici versi a voi pensando, Mentre il forte a sfogar cuore trafitto Canta le sue sventure a quando a quando.

Umile come quei che a nulla ha dritto, Poco più spera d’ uno sguardo blando ; E morrà, giura, solitario e afflitto, « Sorrisi, amplessi ed estasi » sognando.

Qual se innanzi mi fosse il vuoto immenso, Tacita io mi tenea con gli occhi fissi, Compresa da un superbo intimo senso.

Poi de ‘l ventaglio mordendo la cima, Scrollai la testa lentamente e dissi: E’ roba dedicata ad una mima. II

PUR gran tempo non è ch’egli solea Con arte eletta modular un canto, Allor che assorta ne la stessa idea Fra un bacio e un motto io gli venia d’ accanto.

Azzurreggiando da lontan fremea L’onda ridesta, il golfo era un incanto; Su i colli il sole un tono d’ òr mescea De ’ palmizi e de i cedri a ’l ricco ammanto.

Or quel sogno dov’è? Chi v’ ha dispersi, Vivi colori ed armonia gradita? Io per sempre ho d’ intorno ombra e silenzio.

Egli raccozza i più grotteschi versi, Sfoghi de la sua musa inebetita Da l’orgie, da i bagordi e da l’assenzio. III

IL mio passato mi ritorna in mente Quando, sola, di me con me ragiono ; Lo risveglia un profumo, un libro, un suono, Una vela che passa, un raggio, un niente.

Intanto penso: E lui, povero assente, Che forse neppur sa dove io mi sono, Mi maledice o invoca il mio perdono, Mentre ramingo va di gente in gente?

E sogna anch’ ei com’ io sogno la cara Fidata casa che non ha l’eguale, Dove è l’ amor che vive oltre la bara?

Stolta ch’io sono! E cosa importa a lui Di nido, di famiglia e d’ ideale, Fin che c’è vino e ci son donne altrui? IV

FORSE non è così perverso e abbietto Come egli stesso d’atteggiarsi ostenta, Forse gli piange l’anima scontenta In quel riso di cinico dispetto ;

Forse gli sembra, ovunque abbia ricetto, La vita consumar stupida e lenta, Forse quel core un senso alto sgomenta Ne i sozzi baci d’ un pagato affetto. —

Così penso di lui mentre talora Fantasticando a la mia casa torno, D’ un bel tramonto su la placid’ ora.

E fra simili sogni oh, Dio non faccia Che lo incontri giammai, perchè quel giorno Sento che a perdonargli apro le braccia. MEMENTO

NON ci vediamo più, ma ognun di noi Sa che l’altro gli manda un buon pensiero; Spesso no, ma talora: e sa che poi Malinconico passa il giorno intero.

I nostri baci tu scordar non puoi Confidati a ’l notturno ampio mistero; I o riveggo il tuo nido e i fiori suoi, E i quadri e i libri come ai dì che v’ero.

Quante a quel tempo ricordanze intorno ! Quante armonie! Come seral campana L’anima mia lo piange in questo metro.

Piange. E se pur ci s’incontrasse un giorno, Per un puntiglio di superbia strana, Non volgeremmo, il so, la testa indietro. CITTA’ LONGOBARDA

E’ NE ’L cuor de l’inverno. Entro il camino La fiamma danza e sottovoce canta, E illumina la stanza tutta quanta D’ un bagliore tra il giallo e il porporino.

Accosto a le vetrate un canarino Co ’ trilli acuti la sua sposa incanta, Mentre di fuori le campagne ammanta Uno strato di ghiaccio adamantino.

Vecchia, eroica città, severa e quieta Siccome un chiostro e cara al par d’ un nido, Co ‘l tuo silenzio e l’ amor mio mi piaci.

E in un sogno d’ amante e di poeta Ne le tue mura medito e sorrido, Tra un ondeggiar di larve e un suon di baci. DIFFERENZA

Io son triste e gelosa: egli è leggiero Come foglia di fiore, ed è giocondo ; Per lui la vita è un sogno lusinghiero, Per me un abisso che mi chiama a ‘l fondo.

Non una fede in cor, non un pensiero Ne’l breve cerchio de ‘l suo capo biondo ; Io credo, amo, e de l’arte a ’l dolce impero Chieggo le gioie che non chieggo a ’1 mondo.

Pur diversi così come ci vuole Uno strano destin, malgrado noi, Che a la contraria nostra indole irride,

Ei ne 1’ abisso è il mio raggio di sole, Io son la realtà de ’sogni suoi ; E l’amore ci bacia e ci sorride. UN ADDIO

SARÀ il più triste de ’ricordi miei Questo tuo lungo amor ch’ oggi ho sepolto, Questa follia sublime in cui credei Il gaudio intero de la terra accolto :

Perchè tu vivo dentro il cor mi sei A malgrado di me, perchè t’ascolto Che altrui parli e sorridi, e strapperei, Vedi? anche il riso che t’irradia il volto!

E pur ti lascio. Un fior discolorato E pochi fogli che mentiano a ‘1 vero, Ecco de l’amor tuo quanto mi resta!

Io piango il caro sogno dileguato ; E meditando vo ne ‘1 mio pensiero Che è mai la vita, se la vita è questa! DI NOTTE

LUNA, un tuo raggio bianco Ricama, argenteo filo, il mio giaciglio, Dove inquieto volgesi Di dolore in dolore il corpo stanco E cerca sogni il ciglio.

Un buio folto e nero Ingombra il resto de la stanza: ed io Qui medito e fantastico Su questo fil di luce e quel mistero: Luna, è il costume mio.

D’ ogni cosa le forme La notte avvolge, in terra, in ciel, ne’1 core; E se un raggio ne illumina, Non bacia che le coltri ove si dorme, Dove s’ama e si muore. DI SERA

ED eccomi qui sola a udir ancora Il lieve brontolio de ’ tizzi ardenti; Eccomi ad aspettarlo: è uscito or ora Canticchiando, co ‘1 sigaro tra i denti.

Gravi faccende lo chiamavan fuora: Gli amici a ’l giuoco de le carte intenti, Od un soprano che di vezzi infiora D’una storpiata melodia gli accenti.

E per questo riman da me diviso Fin che la mezzanotte o il tocco suona A l’ orologio d’ una chiesa accanto.

Poi torna allegro, m’accarezza il viso, E mi domanda se son stata buona, Senza nemmeno sospettar che ho pianto. CONFIDENZE

A L’OMBRA de le zàgare egli è nato Là giù là giù de ‘l nostro suolo in fondo, Da un alito cocente accarezzato, Carezzato da ’l mar terso e profondo.

Poeta, strano, forte, innamorato, Due sole cose gli son care a ‘l mondo, Gli son care ne i sogni : il venerato Materno capo ed il mio capo biondo.

Senti, se vuoi saper come avventa Ch’ei restasse di me sire e padrone: E’ un bozzetto che sa d’ Andalusia.

Era di maggio un dì, su l’ imbrunire, Ei mi gittò una rosa entro il balcone, Io la raccolsi, e mi sentii morire. PENSO TALORA

PENSO talora: Sì, molti m’ han dato Crudeli pene onde il mio cor s’ è franto, Pene ch’ io non cercai né ho meritato, Io che per altri ho combattuto e pianto:

Questi per mero calcolo agghiacciato, Taluno per geloso aspro rimpianto, Chi per livore e chi per l’ uso ingrato Che ogni bassa calunnia inalza a vanto.

Ma non soffersi mai, te lo confesso, Per quanto tristi a me volgesser gli anni, Come in un’ ora sola io soffro adesso.

Chè nulla nel provato animo mio Può raggiunger lo strazio a cui mi danni Tu, che pur m’ami come s’ama Iddio. LUTTO D’ UN VIVO

I

DI fuori imperversava l’ uragano, Stridea come ferita aquila il vento : Di dentro era una calma Solenne e lugubre, Da mettere ne l’ alma alto sgomento .

Convulsamente ei le stringea la mano, Ella piangeva susurrando : Addio! D’ ora in poi su la terra Torniamo estranei; Dopo sì fiera guerra ecco l’ oblio.

E non l’oblio de la invocata morte, Che con un manto di rugiada molle, Di timo e di giacinti, Lieve suol scendere De i più diletti estinti in su le zolle ; Ma il crudo oblio tra i vivi, onde il più forte Cor trema, impreca, e fatto vil si sente; Qui non preghiere sacre, Ma una continua Sete di baci, un’ acre smania ardente

Or di perdono, or di vendette strane, D’altero sdegno o di beffardo riso. – Inginocchiata intanto Erasi, ed umile Baciava in mezzo a ’l pianto il caro viso.

— Sorgi, fanciulla. Non hai tu lontane Memorie? Piaghe da sanar non hai? Che vale alzar la voce A bugiardo idolo? Riprendi la tua croce, e scorderai. II

SE in un modesto monumento bianco Io sapessi la tua povera spoglia, De ’l cimitero varcherei la soglia Con piè mal fermo e stanco.

De ’l mio rosario scorrerei le grana Quando s’ode squillar l’Ave Maria, E co ’l vespro una placida armonia Tutto d’intorno emana.

Quando una coppia di felici amanti Che torna a braccio a la fida casetta Passar vedessi, io, cui nessuno aspetta Entro mura festanti,

Avrei tosto su ’l labbro una parola Cara qual voto d’una vecchia amica, Poscia soccorrerei qualche mendica Sola com’io son sola,

Tutto per te, perchè l’innamorata Anima requie avesse, oboli e prece E voti offrir vorrei.... Ridiamo invece: Tu vivi e m’ hai scordata. III

S’ASCONDERA’ fra poco la natura Sotto un candido strato adamantino; Lievi come fantasimi Vagheran su ‘l mattino Lembi di nebbia in fondo a la pianura.

Nè piangere io potrò l’ irrigidita Tua salma, là ne’l gelido terreno, Ma penserò che a ‘l tiepido Contatto d’un bel seno Balda ti senti refluir la vita.

Che de ’ tuoi baci e del grand’occhio nero Altra donna s’ inebria: e al dubbio orrendo Lacerata quest’anima, Maledirà, fremendo, Il cielo, il mondo, i sensi ed il pensiero. ULTIMO SOGNO

IN mezzo a ’l verde una casetta bianca, Co ’ monti a tergo e in lontananza il mare, Con variopinte aiuole a destra e a manca Che infioran de la soglia il limitare.

Fuori, un’aria che sveglia e che rinfranca, Dentro, una libreria d’opere rare, Che al gramo ingegno ed a la fibra stanca Possan novella vigoria prestare. Poi, nel mistero d’una chiusa alcova, Ne la sua culla un roseo cherubino Cui per restar con me sparvero l’ale.

E’ questo il nido che sognar mi giova, E’ l’oasi de ’l mio squallido cammino: Tempio a l’arte, a l’amore, a l’ideale. PROPONIMENTO

OGGI gli scriverò che questo vano Combattere mi stanca e mi martora, Che in un amor così febbrile e strano Trasognato il pensier più non lavora:

Or su ne i cieli, a un angelo per mano, In fronte i raggi d’ una nuova aurora, Or galoppando in mezzo a l’uragano, Ne l’ abisso che chiama e che divora.

Gli scriverò che il triste ingegno mio, Le mie forze, il mio cor, l’antico orgoglio, Tutto si perde, e meglio è il dirsi addio.

— Addio dunque e per sempre, o sogni miei ! — Scrivergli questo? Ah, per pietà, non voglio Che mi prenda in parola: io ne morrei. TARDI

IL nostro amore ci rapìa ne ‘l cielo. Ei m’era a i piedi su i ginocchi prono, Quando, inatteso, de l’ oriuolo il suono Ci scosse come un brivido di gelo.

E’ tardi! io dissi. Ed ei, preso il mio velo Con un gesto di bizza e d’ abbandono, Lo gittò su la mostra: e gli occhi, anelo, Figgeva in me chiedendomi perdono.

Sorrisi. Allor tra le convulse braccia Ei mi raccolse e mi premè più forte, Forte così che mi schiantava il core.

Mentre in tono di cinica minaccia, Come rintocchi lugubri di morte, Implacate battean volando l’ ore. SGOMBERATURA

TUTTO è sossopra. Ritta in su la porta, A mano a man che un mobile si cava, Se qualche intima storia in sè celava Io la ritesso, ne’ miei sogni assorta.

Un ricordo d’ amor là si trasporta, Qui è la poltrona de la mia dolce ava; E addio, casetta quieta ov ’ ei m’amava, Addio, povera stanza ov ’ ella è morta!

Poco vale per me che il nuovo tetto Dove a posarmi andrò, rondine stanca, Sia profumato, elegante, gentile.

Piangerò sempre, ovunque avrò ricetto, Que ’ neri occhioni, quella testa bianca, E il mio nido di questo ultimo aprile.

I Maggio I88I. IL ROSARIO DELLA NONNA

BIGOTTA no: lo spaventevol senso Me poco turba di future pene: Amo gli effluvi de le algose arene Più che il mistico odor de ‘l sacro incenso.

E se de ’l vero il desiderio intenso Mi tragge fuor de le vulgari scene, Più che in chiesa su cime alte e serene Iddio mi parla il suo linguaggio immenso.

Pure da quando la mia santa è morta, Ho a ’l collo il suo rosario e una medaglia, Come altra dama un ricco vezzo porta.

Nè di ghigni il pietoso animo cura, Chè in questa de la vita aspra battaglia Con l’ amuleto mio pugno secura. VENDITA

IERI a quell’ Asta pubblica, fra tante Cose belle che m’ hanno innamorata, Specchi, merletti, arazzi, uccelli e piante, Ho scelto una poltrona ricamata.

Apparteneva a una donna elegante, Che la trapunse con la man di fata: Angelo malinconico e baccante Che a vent’ anni a la fossa hanno portata.

Ora il mobile è qui, strano contrasto ! Fra le pareti ov ’ io sogno e lavoro, Avanzo d’ un disperso ibrido fasto;

Qui che mi parla in delicato senso Di quella morta da i capelli d’ oro, Cui sola, forse, con tristezza io penso. IN ESILIO

FREMENTI, a piè de le marmoree scale Attendean scalpitando i miei cavalli ; Vesti adorne di perle e di coralli Io trascinava per dorate sale.

Su l’ arti che adorai, le fulgid’ ale, Come raggi di sole in su cristalli, La gloria raccogliea; leggeri balli Intrecciavano i sogni a ‘l mio guanciale.

Poi tutto sparve. In un profondo oblio Il passato ravvolsi, e calma in faccia, Senza pianto o rancor gli dissi addio.

Nè mi sgomento mai che a la minaccia Di perder te, perchè non ho di mio, Di veramente mio che le tue braccia. TREGUA

COME inconscia trapassa oncia di fiume Indifferente a quanto corre in mezzo, Mentre i capelli tuoi lenta accarezzo E m’ oblio de ’ tuoi sguardi al caro lume,

Fugge la vita. Non un sol volume Di maestro e d’ autor ch’ amo ed apprezzo Curo di meditar, quale era avvezzo Un tempo il mio pensier, cui l’arte è nume.

Taccion le strofe de l’ usato canto ; Ed amoroso un’ armonia di baci Cerca su la tua bocca il labbro mio.

Ma verrà il dì che non t’avrò d’ accanto : E allor, queste piangendo ore fugaci, Ritornerò ne la battaglia anch’ io. AD UN AMICO

CHE NON MI SCRIVEVA DA UN PEZZO

CANTO che la serena arte d’ Omero Ne le mie forme a gli occhi suoi splendea, Mi chiamò gloria, musa, angelo, idea, Fantasma incantator che adombra il vero.

A ’l ciel, cui fido vola il mio pensiero, Per me il ribelle spirito s’ ergea; Per me la fiamma che ne’l sen gli ardea Mutossi in pianto ne’l grand’ occhio nero.

E mi sognò pe ’ lidi suoi, là dove Un balsamo di zàgare e di timi Arcana voluttà su i sensi piove;

Dove tranquillo a ’l vespero dorato Fuma l’ Etna da i vertici sublimi : Tanto sognò che non si è più destato. GIURAMENTI FALSI

QUANDO m’accorsi che un tuo detto, un riso, Bastava a farmi vivere o morire, Co ’l pianto in cuore, ma serena in viso, Giurami, dissi, che saprai partire. Tu lo giurasti ; e intanto io su la porta, Ecco, t’ aspetto da che l’ alba è sorta.... Dimmi, amor mio, chi mai s’ è ricordato Di quel che in mezzo a i baci avea giurato? SI DICE

SI dice, bello mio, che non abbiate Fil di cervello e briciolo di cuore; Che fate innamorar, poi canzonate, Perchè il vostro è capriccio e non amore. Meglio così! Sarà più originale: Un grande amor finisce presto e male; E un capriccio, chi sa? ne seguon tante! Potrebbe diventare amor costante. AL MIO CROCIFISSO

O BRONZEO Cristo, che da canto a ’l letto Dove sogno l’oblio dolce e profondo De ‘l viver gramo, il sanguinoso petto Scopri ed inviti a sacro amplesso il mondo,

Non per l’ eterno fuoco maledetto, Non pe ’l Tuo cielo placido e giocondo; Ma sol perchè ne ‘l Tuo pietoso aspetto Fisò mia madre l occhio moribondo,

Qualunque sia di mia giornata il corso, Torno ogni sera a Te : come si riede A un amico, a un ricordo, a una speranza.

Nè ti domando, o Cristo, altro soccorso Che quest’ atto di cara ultima fede, Per ogni giorno che a lottar m’ avanza. IN MORTE D’UN UFFICIALE DI MARINA

OVUNQUE e sempre la sognava: a bordo, Fra un ondeggiare di fantasmi bianchi, Quando, di notte, co ‘l suo ritmo sordo Il mar batteva de ‘l naviglio i fianchi;

A terra, in mezzo de lo strano accordo Di bieche orgie e di canti ilari e franchi; Faro lontano o mistico ricordo, Ell ’ era il sogno de ’ suoi giorni stanchi.

Chi sa qual nome egli le dèsse : idea, Larva d’amor, gloria o fortuna? E’ certo Che a sè ne ‘l vasto ignoto ella il traea.

Tal che il materno cor posto in oblio, De ‘l mare innanzi a’l cerulo deserto, Diede a la vita un volontario addio. DOPO UN CONCERTO

TRA la folla passar di tanto in tanto Un fremito s’ udia qual di bufera, Venian gli animi a te dietro l’incanto De la man che scorrea su la tastiera.

E una squilla di guerra, una preghiera, Una ridda sfrenata, un inno santo, Un pispiglio ne ‘l bosco in su la sera, Baci e singhiozzi e tutto era in quel canto.

E più di tutto, de la madre mia Le musicali dita e il capo biondo Per me seppe evocar quell’ armonia.

Tal che qua giù dove ogni cosa è noia, Se cagione non sia di duol profondo, Vedi? m’ hai fatto lacrimar di gioia. ALL’ APERTO

PRESTO verrà la primavera, e allora Come liberi uccelli a i campi usciti, Per l’aria dolce che le siepi infiora Noi lasceremo i cittadini siti.

Scorderemo le pene, il mondo e l’ ora Fra l’ eriche, in sentieri alti e romiti, E ne ‘l tramonto che le nubi indora Vedrem riflessi di celesti liti.

Poi torneremo : tu presso i tuoi dotti Libri, portando da i lontani colli Nuovo vigore a le feconde notti;

Io con la gioia in volto, il corpo stanco, Gli stivalini di rugiada molli E un grosso mazzo di ciclame bianco. INVERNO

VENGA Maggio e con lui vita novella: Io sento in me che non potrò scordare Come la stanza mia, questa mia cella, Empita ha il verno di memorie care.

Qui m’ han parlato un’ immortal favella Strani, ignoti poemi, e qui sognare Amai con l’ azzurrognola fiammella Che di folletti allegra il focolare.

Le tue camelie bianche e le viole Ogni dì fra ’ miei lugubri pensieri Hanno portato un pensiero de ‘l sole.

Ma che son fiori, sogni ed armonia? Accarezzata co ’ begli occhi neri Qui tu m’ hai, susurrando : anima mia! LA PAROLA DELLA NONNA

DOLCE e lento è il suo dire. Ella s’ illude Di riveder mia madre in altra sfera, E come l’ angel che la via ne schiude La morte attende, e ne la morte spera.

Un culto suo che il fanatismo esclude, Intatto serba in questa tarda sera; E affronta ancor le sue lotte più crude Con un segno di croce e una preghiera.

Me il dubbio accerchia; ma la guardo, e parmi Sentir da lungi un organo di chiesa Poetiche leggende a susurrarmi.

Tanto che de i filosofi la scuola De ’l freddo vero a la conquista intesa, Tutta darei per una sua parola. SENZA BACI

FRA poco tornerà: la bruna testa Mi poserà su ’l core, E chiederà, filandomi, se mesta Priva de ’ baci suoi vissi quest’ ore.

Io gli risponderò: Fanciullo, è muto Il mio dolore istesso Lontan da te; lo sai, non ho vissuto: Ne le tue braccia fa’ ch’ io viva adesso. PRIMO INCONTRO

CHI gliel’ avea descritta una sirena Da gli accenti incantevoli e mendaci, Chi maliarda d’ artifizi piena Che una vita suggea con pochi baci.

Chi la diceva pia come una suora, Chi pensierosa più d’ ogni poeta, Perfida notte o sfolgorante aurora, Idol celeste o dispregevol creta.

Tutto questo pensando, ei da la porta Ne la stanza guardò: vide ch’ ell ’ era Prona accanto a una bimba, e tutta assorta

Ne’l vestirle una bambola di cera. Non demonio, non maga nè Madonna, Ma una figura semplice e pudica,

Figura che leggiadra e nobil donna : Ond ’ei le s’ inchinò come ad amica. GIOIELLI

SE talvolta, pensosa, ad uno ad uno Tolgo da ‘l vecchio scrigno i miei gioielli, Vedo che sono troppo ricchi e belli Nè si addicono a questo abito bruno.

E ricordando il tempo in che ciascuno Mi brillava su ‘l petto o fra i capelli, Sogno una bimba che mi rinnovelli : E tutti in questo i desidèri aduno.

Sogno una dolce bionda a cui le storie Dir de ’ vent’anni ed il femmineo vanto D’ illeggiadrirsi e riportar vittorie.

Sogno! Ma invece, a ‘l Monte od a l’Incanto Saran vendute, povere memorie, Per comprarmi due zolle in camposanto. DALL’ ALTO

Co ’L suo braccio d’intorno a la cintura, Lenta salivo la campestre via, Mentre un fitto vapor su la pianura De la immensa città tutto imbrunìa.

E pensavo con lui: Qui la natura Con la sua dolce eterna poesia; La battaglia là giù de la ventura, Che il cuore attrista, se pur vinta sia! --

Risuona a un tratto un giovenil concento Di spensierate risa e d’argentine Voci, di dietro a l’ orto d’ un convento.

Sono educande, che quest’ aria schietta Cresce ingenue: son povere bambine Che a trar ne’ lacci il savio mondo aspetta. AMORE

(Imitato da ARMAND SILVESTRE)

SFERZA rovaio i vertici de ’l monte, Di foglie gialle son coperti i prati, Spiccan su ’l grigio cielo a l’ orizzonte, Neri scheletri, gli alberi sfrondati.

Addio, selve muschiose ove le impronte Restan de i nostri passi innamorati, Addio, sol che ridevi a noi di fronte Quando fra i raggi tuoi ci siam baciati.

Intanto io porto in me d’un astro eterno L’eterna luce, che vie più si accende Ne l’ ombra che rattrista oggi le cose.

E a malgrado de ’l tempo e de l’inverno, La primavera sul mio capo splende, Sotto i piedini tuoi spuntan le rose. NEL MANDARE IN DONO UN OMBRELLINO

(Imitato da F. AUTRAN)

QUANDO del nostro mare in su la sponda Andrete a ’l sole vagolando lieta, Ne ‘l ripararvi la testina bionda Sotto l’ ombrello di merletti e seta,

Oh, ripensate a l’ ansia mia profonda D’ esul, d’ innamorato e di poeta, Ch’ erra, privo di voi, per ingioconda Strada e non mai lo stanco animo acqueta.

Ripensate che questo io vi mandai Don singolare, il vostro sovrumano Viso a schermir da gl’infocati rai;

E sorridendo dite : Io come arcano Astro i suoi tetri giorni illuminai; Ei m’offre in cambio un poco d’ombra: è strano. SCAPATAGGINI

Io non ti chiederò, mio trascurato, Dove consumi il tempo ed a che pensi, Se una dama gentil d’ alto casato, Idol di brevi giorni, adori e incensi ;

O se in un’ orgia, d’ una Frine a lato, De ’ cibi tra i vapor tiepidi e densi, Le tue labbra ridenti hai profanato, Di strane voluttà briaco i sensi.

A me basta saper che ovunque sei, O che affondi ne ‘l fango o sogni il cielo, Il ricordo è con te de ’ baci miei.

Che a quel ricordo ti si stringe il core, Ti si distende sovra gli occhi un velo; Per ch’ io sono il tuo vero, unico amore. ULTIMA FESTA

AD UN AMICO CHE MI REGALAVA UN PUGNALE CON SOPRA INCISO IL MOTTO: Pax

NON vedo più davanti a gli occhi lassi L’aurea danza de ’sogni e il ciel sereno ; Ne’l sentier buio, a rallentarmi i passi, Non v’ ha sirena che mi canti in seno.

Fredde, siccome d’ invernale aurora, Scorron de ’l tempo mio l’ ore solinghe, E un incredulo riso il labbro sfiora Dinanzi a ’l giuoco de le altrui lusinghe.

Amico, vedi quella testa bianca Che sotto il lume su ’l lavor si piega? E’ l’ ava mia, la vecchierella stanca, Che, quando impreco, m’accarezza e prega. E se appoggio a ’l suo piè le chiome bionde. Con parole d’amor strane e leggiadre Ella ricorda e in un pensier confonde L’ infanzia mia, l’ infanzia di mia madre.

Sacra testa canuta! E verrà giorno Che posi anch’ essa in qualche angolo ignoto : Ed io, nata ad amar, guardando attorno, Tutto avrò visto dileguar nel vuoto.

Diffusi allor ne la mia chiusa stanza Nembi di fiori da ‘l profumo acuto, In un canto a la gloria e a la speranza Volgerò a ’l mondo un ultimo saluto.

E secura in pensar che Dio perdona Molto a chi molto lacrimò d’amore, Del tuo pugnale io premerò la buona Lama che scenda a darmi pace a ’l core. NEL BOSCO

PE ‘L bosco salivam. La mano mia Stringeva la tua mano. Un batter d’ ale D’un uccello che rapido fuggia, Un carro, una canzon su lo stradale,

Il mio lungo vestito che lambìa Le foglie secche e l’ erbe andate a male, Facevano indistinta un’armonia Strana così da non sembrar mortale.

Il sol raggiava in alto : e i folti rami De i pini distendeano a ’l nostro piede Un’ ombra di fantastici ricami.

Quando uno sguardo che bramando chiede Mi volgesti e compresi: oh, se tu m’ami, Baciami, bimba mia; nessun ci vede. LONTANO

(Imitato da T. MOORE)

LUNGI ell ’ è da la terra ove riposa Il suo giovane eroe, E amanti le sospirano d’ attorno ; Ma fredda e lacrimosa Ella reclina le pupille e il volto, Poi che il suo core è insiem con lui sepolto.

De le native sue pianure il canto Selvaggio ella risveglia Con ogni nota ch’ egli amò ; nè sanno Quei che le sono accanto, Che de la triste innamorata il core Siccome l’ eco de ’ suoi canti muore. Deh, fatele una tomba ove fulgente Il sol versi la luce, Promessa di più splendido mattino; E il raggio d’ oriente Disegni a lei le sospirate forme De ‘l suo giovane eroe che lungi dorme. CIMITERO

SPLENDE superbo e limpido Sul cimitero il sole, Cantan gli uccelli in fra le nuove piante, E l’aia inebriante Anima in su lo stel rose e viole.

Ma restan freddi i tumuli A i raggi più cocenti: E chi per sempre dorme non si desta De la natura in festa A l’armonia di fremiti e concenti.

E me pur, vedi, irradia La giovinezza? Un canto Echeggia intorno e in me non desta amore: E’ una tomba il mio core Con una croce ove nessuno ha pianto. DOPO UN BALLO

(Imitato da J. AUTRAN)

IERSERA, il sai, la principessa bionda Che il fasto avito a ‘l suo castel ridona, Dava l’ ultimo ballo : e una gioconda Folla elegante le facea corona.

Dame e fanciulle, che l’ ebrezza inonda Quando d’ un valzer l’ armonia risuona, A i giri, come a i vortici de l’ onda, Ahbandonavan la snella persona.

Tutto era festa. Io solo erravo intanto Malinconico in cuore e in volto oscuro, Velati gli occhi d’ amoroso pianto.

E fiori e luce e donne, oh te lo giuro, Mia solitaria, dato avrei soltanto Per veder l’ ombra tua passar su ‘l muro! STANZA CHIUSA

IL dolore mi tenta. Io son entrata La sua deserta stanza a rivedere, Muta da’l giorno che l’abbiam serrata Fra le lacrime, i baci e le preghiere.

Qui il tempo non passò: la delicata Man che l’ago appuntava entro il paniere, Che questo libro aperse e ha trascinata Quella sedia così presso a ‘l braciere,

Par che debba da l’ uno a l’ altro istante Alzar le tende che ascondon la porta, Da cui s’ affacci un pallido sembiante.

In questa dolce illusione assorta, Io guardo e aspetto tacita, tremante, Ma poi fuggo gridando: E’ morta, è morta! A CHI SO IO

AMO il tuo riso scettico e argentino, Amo quel gelo che ti sta ne gli occhi, La posa indifferente e il viperino Scherno che opponi a ‘l plauso de gli sciocchi.

Vorrei fare il patito a te vicino, Esser deriso; e in mezzo a ’ tuoi balocchi Rappresentar la parte de ‘l cretino, Fin che ad altri, per turno, essa non tocchi.

T’ ho visto in chiesa l’ altro giorno : stavi Inginocchiata a i piedi d’ un altare: Cercai d’ indovinar perchè pregavi.

Poi ripensando a gli usi tuoi cangianti, Ho capito che, tanto per mutare, Ti divertivi a canzonare i santi. A GABARDO GABARDI.

LA CONTESSA LARA PER « Chi so io »

AMICO, me la folla de gli sciocchi Giudichi in varie guise stravaganti, E scopra fuoco o gel dentro quest’ occhi, Dove è il ricordo de i versati pianti.

Maligno nome a ’l mio sorriso tocchi, Birichino, gli è ver, ma co ’ galanti ; E quando ad un altar piego i ginocchi, Ben si proclami ch’ io canzono i santi.

troppo arcano, pe ’l vulgo, è questo caro Sentimento del ciel, questa mia fede Di gentildonna e insiem di marinaro;

Nè crucciarmi io saprei: ma tu, se male Non vuoi ritrarre almen quel che si vede, Torna meglio a studiar l’ originale. AVVENIRE

ERANO lì guardandosi da un’ ora Incerti e pensierosi; Ei dicea: Forse il ciel ti serba ancora Giorni meno angosciosi.

Talor ti sogno in un modesto tetto Ricco sol di volumi, De ’ canti che ti sgorgano da ‘l petto, E de i vaghi profumi

Che il venticello stanco de la sera Da l’ orto ne tramanda, Dove di gelsomini una spalliera Di stelle s’ inghirlanda. Dove le offese ignobili del mondo, L’insidia mascherata, E la rovina de l’abisso in fondo, Rovina immeritata,

Mesta fanciulla, mio supremo orgoglio Sarà che alfin tu scordi. Non guardarmi così.... Lasciarti io voglio I tuoi santi ricordi.

Vedrò in silenzio, qual lavacro, l’ onda Che ti vien giù da gli occhi, E tu mi parlerai: ma con la bionda Testa su i miei ginocchi. —

Su la spalla di lui chinato il viso In dolce atto pudico, Ella sorride de ‘l suo triste riso E a lui risponde : Amico, Lasciami a ’l mio destin. Splendida luce E’ a te nunzia del giorno ; E in una danza che l’ amor conduce Voluttuosa intorno,

T’ arridon larve che scacciar non puoi. La gloria ti susurra Promesse arcane; l’arte a i baci tuoi Apre la veste azzurra.

Varia sorte abbiam noi. Campo infinito Dinanzi a te si para: Me aspetta solo un angolo romito Bastante a la mia bara. ORA BIECA

(Leggendo gl’Intermezzi Pagani di ARMAND SILVESTRE )

LA lampada agonizza. Io veglio attento Il tuo splendido corpo addormentato, E studio. Un così molle atteggiamento Greco amante e scultor non ha trovato.

Or con l’orecchio su ‘L tuo cor posato, Curioso n’ ascolto il ritmo lento, Or fra i pizzi de ’l letto il delicato Capo riverso io bacio: e mi tormento.

Mi tormento a ’l malefico pensiero Che de la stanza tua ne la mezz’ ombra, Ne l’ odor che m’ inebria e ne’l mistero,

Donna, che tutte de l’ amore hai l’ arti, Strappando il vel che la mia mente ingombra, Io non sappia levarmi e pugnalarti. L U I

I

CREDE poter sorprendere un segreto, Qualche segreto mio che gli nascondo ; E più sgrido, mi cruccio e glielo vieto, Più vuoi tutto frugar da cima a fondo.

In mezzo a i libri un ramoscel d’ abeto, Ne’ cassetti odorosi un riccio biondo, Lo fanno a un tratto sospettoso, inquieto, Triste come il più misero de ‘l mondo.

Getta un fiocco, una lettera sequestra, Di cui gli sembra troppo dolce il senso, Smania quando m’affaccio a la finestra;

Poi vien, ridendo, a me come pentito. Io me lo bacio su gli occhioni e penso: Che mai farò quand’ egli sia partito! II

SOVENTE ei pure a domandarmi viene Che mai farò quand’ egli sia partito, Quando il pensier mi torni a queste scene Intime d’ un amor nuovo, infinito.

Forse gli studi miei, le mie serene Fantasie d’ arte, qualche vago sito Campestre, è vero, mi faran de ‘l bene ; Ma tutto mi parrà freddo, sbiadito.

Freddo e sbiadito di quest’oggi a fronte, Di queste lotte fra singhiozzi e baci, Sempre in sorrisi a tramutarsi pronte.

Poi di sè parla e a ’l petto suo mi preme. Io gli rispondo : Se non siam capaci Di viver soli, moriremo insieme. SULLA SPIAGGIA

ERAN venuti a l’ombra a passeggiare Dietro erti scogli da i profili arditi: Egli, co ‘l suo fucil, pronto a sparare, Attento a ’l bracco che li avea seguiti ;

Ella, distratta, per l’immenso mare Dando a la fantasia voli infiniti, O prona su la sabbia a ricercare Conchiglie, spugne e sassi coloriti.

A un tratto, alzata la testina bionda, Mostrò due fili d’ alga insieme avvinti, Dio sa da qual venuti ultima sponda.

E raccogliendo in uno i pensier suoi, Disse: Che amore, e quale nembo spinti Qui li avrà, tenui fili, a ’l par di noi! INCUBO

IL giorno spunta. Oh non è vero, sai, Che siam caduti d’ un abisso al fondo : Vertigini, terror, tenebre, guai, Quel subitaneo disparir de ’l mondo,

Son fole spaventose: io ne tremai Ne ’l mio sonno, ch’ è d’incubi fecondo; Perchè desta o sopita io non ho mai Tranquilli i sensi e l’animo giocondo.

Ma tu baciami ancora, ond ’ io mi scuota, Onde non più così convulso e forte Batta il mio core che a ’l tuo cor si preme.

Apri a la luce in che lo sguardo nuota, Apri i vetri a cacciar l’ ombre di morte ; Il giorno spunta: abbiam sognato insieme! A FLORA

MIA dolce bruna, ti ricordi quando De i diciotto anni ci rideano l’ ore, I sogni e i versi che andavam cantando A la natura, a l’arte ed a l’amore?

Oggi alcun forse intorno a te, tremando Che la memoria tu ne serbi in core, Il mio balbetterà nome esecrando, Gli occhi storcendo co ‘l più casto orrore.

E a bassa voce ti dirà novella Di stolte infamie e di viltà tessuta, Ma tu, levando la testina bella

Come in atto di sfida audace e muta, Rispondi pur ch’ io mi son sempre quella Disdegnosa che un tempo hai conosciuta. DESIDERIO

O POVERE mie carte, e resterete Con secchi fiori e ciocche di capelli, Rinchiuse entro uno stipo, in fra segrete Ricordanze de miei giorni più belli !

Non è per voi di gloria avida sete Il duol che fa che in pianto io vi favelli, Io che sol chiedo a l’ arte intime e liete Larve onde il ver per poco si cancelli.

Ma egli è il desio d’ una manuccia bianca Che vi scompigli un dì, ne la parola Cercando questa offesa anima stanca:

La man che chiude gli occhi e che consola Quando la vita ne la madre manca. Voi, carte, ingiallirete, io morrò sola. PARVULA IN MONASTERO

ELLA ha cinque anni soli, Ed a cinque anni è triste il monastero : Le fan invidia i voli De le vaganti rondini Ed esprime con l’ occhio il suo pensiero.

V’ è un grand’ orto fiorito, Pien di ciliege, per le bimbe fatto ; Ma inutile : è proibito D’ avvicinarsi a gli alberi, Di far le corse e di scherzar co ‘l gatto.

Son buone e pie le suore, Ma chiuse in neri veli e senza baci: E a tenerla due ore Ferma, a imparare a leggere L’alfabeto e a cucir, sono capaci. In un nastro di seta, L’un sopra l’ altro storti i punti mette; Allor che dice: zeta, Tocca un emme coll’ indice ; Poi, per guardarsi il grembiulino, smette.

E prega: « Ave Maria, Dateci il nostro pane cotidiano.... » — No, no, bambina mia, Tu confondi.... — Ma gli angioli, Come fanno a sentir tanto lontano? --

E così la svogliata Sbaglia le sue lezioni e le sue preci. Io mi son ricordata De ’ viaggi de l’ anima A cinque anni, e ho pensato : anch’io li feci.

Non la sgridate. Anch’ io Prima di camminar tra fango e sassi De ‘l cómpito in oblio, A caccia de le lucciole Volsi pe’ i campi i vagabondi passi. E domande e preghiere Confondo anch’ oggi; e molte volte ho pianto Ne le solinghe sere, Pensando io pur che gli angeli Non odon forse, e son lontani tanto! FUORI DEL MONASTERO

QUESTO caldo la stanca. Non lo dicea: ma di color di rosa Divenuta era bianca La sua faccina, e languida Tal che pareva un fior di tuberosa.

A le palpebre accanto Aveva un cerchio azzurro: è la malia De le ciglia che han pianto; E il vecchio babbo, facile A intenerirsi, l ’ha condotta via.

Addio, quiete profonda, Alte, avare di luce, antiche mura De ’l chiostro! Ecco una sponda Che i rai de ’l sole indorano, Ecco de ’l mar la cerula pianura. Fuori le vesti ornate Di crespi falpalà, di nastri e trine, Le scarpette scollate E i cappelli incredibili! Regina ella sarà tra le bambine.

Guardate che vivaci Gruppi di teste bionde, occhi lucenti E bocchine da baci, Che rapidi si muovono Fra gridi e risa, a vari giuochi intenti.

Qui, con piccole pale, Questi, gravi ingegneri, entro la rena Tracciano un gran canale; Altri là, ne le ciotole, Apprestan zuppe d’ alghe per la cena.

Oh, il mare è generoso Pe ’ i bimbi. Nel terror de la sua notte, Il mostro spaventoso, Enormi navi ferree Fra cupi lampi e fra ruggiti inghiotte. Ma eterni inni cantando, Vien le brevi a lambir piante vermiglie De i fanciulletti, e blando N’empie le mani candide Di smaglianti pietruzze e di conchiglie.

Così vince e penètra L’innocenza co ’suoi miti splendori L’ irata anima tetra. Guerra a i potenti, a gli uomini, Ma in ginocchio dinanzi angeli e fiori. RICORDO D’ APRILE

RITORNA il mio pensiero A ‘l pallido bambino Che una sera d’ aprile Fu portato la giù ne ‘l cimitero. Intanto la sorella e il fratellino Giuocan co ‘l suo fucile, Battono il suo tamburo, Ed i guerrieri sgorbiano Ch’ egli tracciò su ‘l muro. A UNA BAMBINA

FRA le dolenti imagini In cui trascorro il solitario giorno, Ne ‘l lugubre silenzio Che suoi regnare a queste mura intorno,

Spesso i miei sguardi cercano La tua testa ricciuta, o bambinella, E qual d’amica rondine Invoco il suono de la tua favella.

Tu, in riva a ‘l mar, tra garruli Stuoli di bimbi ti trastulli intanto : Basta un ventaglio o un roseo Nastro ad offrirti il più felice incanto. E se potesse giungerti Il mio sospiro, tu, che il duolo ignori, Sorrideresti inconscia Qual fanno a ’l vento che si lagna i fiori.

Godi, bambina, provvido Il ciel ti sia di dolci ore tranquille ; Il mar, di cui la cerula Tinta traspare ne le tue pupille,

A ’l corpicino gracile Doni vigore e a ’ giuochi tuoi conchiglie; Baci e carezze piovano Sopra le fresche tue guance vermiglie;

Ma torna a me. Tenendoti Per mano, il tedio d’ affollate vie Io sfiderò : qual’ oasi Tra me ti poni e le sventure mie. E penserò che urtandomi In una plebe d’ insidiosi e tristi, S’ io vado insieme a un angelo, Mi guarderanno altri angeli non visti. BABY

GUARDATE: è un fior di pesco D’ una giovane pianta; è liscio, roseo, Tutto profumi, fresco.

Appena fuor de ’l bagno, in un lenzuolo, Dove allegro si rotola, Per pochi istanti l’ han lasciato solo.

E il bravo birichino, Tosto le membra paffutelle strascica Fino accanto a ’l bacino;

E batte giù con le manuccie aperte L’ acqua che rotta s’ agita, Che gli schizza sul viso e lo diverte. Fradicio tra le braccia Lo raccoglie la madre, e incipriandolo Lo sgrida e lo minaccia.

E medita, ne ‘l tempo che lo veste, Questo bisogno indomito Che tutti spinge a sollevar tempeste :

L’ uom con la tenebrosa Mente, ed il bimbo inconscio con le piccole Dita color di rosa. DISEGNI SULLA PORTA

Il litigio era grave. Egli l’avea Con aspri accenti e con sospetti offesa; E fisava lo sguardo in su la rea , Quasi ne avesse la discolpa attesa.

La testina gentil di greca dea Scrollava ella, sdegnando esser compresa; E co ‘l picciolo piè lieve battea Una levriera su ‘l tappeto stesa.

Ei si mosse a lasciarla; ed ella assorta Tutta in un suo pensier, seguìalo altera, Fredda, senza un addio, come una morta.

Ma dubitosi, in atto di preghiera, Si guardaron ne gli occhi in su la porta, E disser sottovoce: A questa sera. AMOR CAMPAGNUOLO

SON due robusti contadini: lei Co ‘l viso di lentiggini macchiato; Le treccie rosse; a ’l collo cinque o sei Fila di perle e il grembio di bordato.

Lui, bruno, muscoloso, con di bei Denti bianchi; co ‘l torso alto e quadrato; Sembra tuttor ne gli abiti plebei Sentir la sua divisa di soldato.

Presto son sposi. E poi che nulla sanno De la legge che unisce e che divide, Fino a la morte insiem vegeteranno.

Intanto seggon lì fermi de l’ ore. Lui fuma e sputa, lei lo guarda e ride; E chiaman star così : fare a l’amore. IN STRADA FERRATA

SPINTO da un invisibile titano Il treno fugge. In vorticosa danza Gli sfilano da i lati, in mezzo a ’l grano, Alberi di fantastica sembianza,

Merlate mura in aspro asil montano, Ville, nidi d’ amori e d’eleganza, E a tratto a tratto per l’immenso piano Ruderi d’ acquedotti in lontananza.

Fugge; e tanta con sè gente trascina Estranea, varia, arsa da febbri ignote. Io guardo con invidia una cascina

Bianca, tra un folto pergolato, bassa: Co ’ polli e i bimbi che neppur riscote Quella chimera che sbuffando passa. POSTA DEL VILLAGGIO

SAETTI il caldo Sol che i campi indora, O de l’ aspro dicembre ululi il vento, Il vecchio porta-lettere a quest’ ora Vien curvo per la via con passo lento.

Sbucan da gli usci de ‘l villaggio fuora Faccie grinzose da l’aguzzo mento ; Da le finestre che un geranio infiora Sporgon testine bionde ogni momento.

E’ un’ ora d’ ansia. Il povero coscritto Da una triste caserma rumorosa Forse a ’l lontano casolare ha scritto.

E forse lì, tra i rozzi fogli ascosa, Spargendo effluvi, pe ’l mio cuore afflitto V’ è una lettera tua con una rosa. ALLA FIERA

NE’L queto borgo un rumoroso giorno. Per la piazzetta de la chiesa i banchi Con pezzuole e gingilli a pochi franchi E i brigidini d’ ambulante forno.

Su ’ trampoli, di maglie il torso adorno, Fan de’ muscoli pompa i saltimbanchi, Mentre il vociar che i venditori a branchi Con tamburi e con trombe assorda intorno.

Superbo, cupo, ne la ferrea gabbia Un leone si posa, e l’infinito Sogna forse tuttor fra cielo e sabbia.

La stolta folla gli motteggia accanto ; Io lo guardo, aspettando un suo ruggito : Perchè mi par che mi somigli tanto. GISELDA

NE ‘L mio cammin cui tante hanno affollato Varie figure che ritrar vorrei, Non ho la mente nè il pensier posato Su figurina che somigli a lei.

Tutta moderna. Il volto incipriato, I fianchi stretti da un grembiule, i bei Capelli in treccie, il fascino celato Ne lo splendor de i neri occhioni ebrei;

Il garbo egual con che traccia un bozzetto E fa de i panni da stirar la lista, Ordina un pranzo o un abito in merletto,

Formano insieme un tale accordo strano Di donnina da casa e dama e artista, Che a disegnarla ci si prova invano. LA CASA DELL’ AVA

NE l’ostel solitario In cui la vecchierella ava serena Passa il tramonto de ’l suo tardo giorno, De ’l buon tempo che sparve Parla ogni cosa intorno. Fra le sconnesse pietre, Ne ‘l cortile, s’ abbarbica l’ ortica Parassita: de gli alti suoi gradini Su ’l piedestallo, il pozzo Sorge ne ’l centro, ov ’ ascende a fatica Una ricurva fante, E vi cala la brocca che scancella, Ne l’ ima onda percossa, L’ imagine de ’l suo grinzo sembiante. Ne ‘l salone dorato, Da i centenari specchi Cadde l’ argenteo strato, e ancor su i vecchi Arazzi de la Fiandra, A le pareti accanto, Danzan pastori e ninfe Ne i tarlati boschetti. E scendon benedetti i raggi estivi Che a quegli occhi sbiaditi, Qual per magico incanto, Rendon fulgidi e vivi I raggi de gli amori impalliditi.

In un angolo oscuro Una spinetta dorme; E quando tutto tace ivi s’ ascolta Come un sospiro; è il vento Che tra le corde freme, O l’eco de le note che una volta Con le melodi semplici Di Pergolesi, l’ ava Da lo snello strumento Fanciulla ancor, destava?

Schiudetevi, cassette Odorose de i mobili intarsiati, Piene di fogli e nastri, Di trapunti, di seriche borsette D’ ambra e zàgara, e veli scolorati. E’ un’ ora di memorie, ed in quest’ ora Per voi da un morto secolo Un alito di vita esala ancora.

Unico in mezzo a tante Reliquie strane e sante è un picciol libro, Storia d’amore e insiem storia d’ affamai: Cui le consunte pagine Da più di sessant’anni Serbano un secco fiore: Son foglie d’un garofano, e Zaira E’ la storia d’ amore.

Presso le vetriate D’ onde tutta si scorge La pianura abbracciar da ’l moribondo Sole che dice addio, quando risuona La squilla in lontananza, L’ava fa trascinar la sua poltrona. Su ’l fidato volume Ha le mani incrociate: Oh, guardatela! E’ il lume Che imporpora le nubi, Che quella fronte annosa Come avorio ingiallita, Tinge color di rosa? Povera vecchia, ella reclina il viso Sopra il volume antico, E sogna forse il giovanil sorriso Del sospirato amico, Che dorme da tanti anni Polvere fatto anch’ ei come quel fiore ; Sogna forse il mattino Quand’ ei pose il garofano Ne la storia d’ amore....

Povera vecchia, il sai; Inutili rugiade Piovon su i secchi petali, e sui morti Il pianto inutil cade. Non ritornano mai. VISITANDO UN CASTELLO ANTICO

SU ’L clivo, in mezzo a secolari piante, S’ alzan le torri dominando attorno ; Corre l’ acqua ne ’l fosso ; il trionfante Stemma ha in campo la croce e un unicorno.

L’ atrio sonoro da’l camin gigante, Tutto a figure d’ antenati è adorno ; L’armi, in contro a un a fresco nereggiante Par che de ’ prodi aspettino il ritorno.

Siam ne ’l trecento. Una segreta porta Scricchiola: io tremo. Forse n’ esce un paggio, Forse una cerea castellana morta....

Sogni! E de ’ sogni miei sempre a ’l contrario, Si smove un vecchio arazzo e dà passaggio A ’l nuovo sire: un grasso accollatario. ANGELO DELLA FAMIGLIA

E’ GIORNATA di visite: ella ha corso Più di quattr’ore per salotti e sale, Spigliata, allegra; e tra un sorriso e un sorso Di thè, de ’l mondo intero ha eletto male.

Caro soggetto d’ogni suo discorso Un’ onta, un tradimento coniugale, Un lucro infame: ogni parola un morso, Ogni si dice un perfido pugnale.

Or dietro lei calunnie, ira, disprezzo, E chi lo sa? forse un delitto; ed ella Torna serena a la famiglia in mezzo;

Canticchiando si spoglia; indi, la sera, Di pie congreghe, di virtù favella, Mentre insegna a’suoi bimbi una preghiera. SCIENZA DI DONNA

MALIGNA non son mai, nè son pedante: Ma osservo e rido. E’ quest’amica mia, Nuova patrizia, ricca ed elegante, Il più mondano fior di leggiadria.

Sia che le snelle forme una pesante Stoffa in broccato ne modelli, o sia Che le drappi di pieghe un fluttuante Pizzo, fino lavor d’Andalusia,

L’ arte è mai sempre a lei d’ intorno, l’ arte Che con la verga magica la tocca Per man de le modiste e de le sarte.

Le sue rivali tanta gloria offusca: Pur che non apra quella rosea bocca! Basta un suo detto ad insultar la Crusca. MEZZOGIORNO

(Sopra un ventaglio giapponese di GISELDA RAPISARDI)

E’ COLMA estate. Piegasi Languente ogni corolla. Mezzodì. La canicola Da le infocate vie caccia la folla.

De ‘l tuo veron le seriche Tende, o mia bella, chiudi ; Sciogli le chiome, e scendano Qual bruno vel su i bianchi omeri nudi. Poi blandamente m’agita.... La tua fronte pensosa Io sfiorerò, qual tremula Farfalla intorno ad un bocciuòl di rosa.

E le dipinte imagini Che ti porto davanti, Come per incantesimo A poco a poco si faran giganti.

De l’oriente a l’isole Fra la luce e i profumi Ti condurranno: è l’oasi Vagheggiata da’l sol, da vati e numi.

Là vagherai su pallidi Laghi, entro una barchetta Da le vele di porpora; Poi di negra montagna in su la vetta. Ti siederai su mobili D’avorio e di corallo, Passeggerai co ’ sandali Sotto un gran parasole azzurro e giallo.

Accanto a ‘l1 ciglio pingerti Saprai la linea bruna Che fa l’occhio più languido: Nuvola in cerchio a la fulgente luna.

Vedrai fior, frutta ed alberi Nuovi, con mostri e nani, E draghi alati ed idoli, Armi ricche di gemme e uccelli strani.

M’ agita ancora, m’agita.... E’ de l’ alma un bisogno Questo d’ una fantastica Ora d’oblio, di voluttà, di sogno. Chi sa, che l’ ali afforzino In quel dolce far niente Gli angeli ascosi e i demoni Che popolan de gli uomini la mente. VECCHIA CAPPELLA

UNO stradal di siepi fiancheggiato, Lungo, deserto, in mezzo a la pianura; Ne’ campi una bianchiccia sfumatura D’ulivi e grano non ancor segato.

Una cappella gotica, da un lato, S’ alza, come a pregar tra la verzura, E a raddolcir questa gentil pittura Piove la luna il raggio inargentato.

Su la cassetta che un’ offerta pia Chiede a chi passa, noi leggemmo insieme: Ad onor de la Vergine Maria.

Pur troppo, egli non crede a ‘l paradiso ; Ma un’ offerta gettò perchè gli preme Un: grazie de’l mio labbro e un mio sorriso. SFOGLIANDO F. COPPÉE

I

ELLA sa che l’attesa è un crudele tormento, Che a quest’ora ei già soffre, e ch’ella il giuramento Mantenere gli deve d’ esser là verso l’ otto; Ma tra gli odori tiepidi de ’l piccolo salotto, S’è attardata a finire la scelta acconciatura. Uno specchio riflette la sua snella figura, Mentre, in piedi, s’ingegna d’abbottonarsi i guanti; E nulla è da dipingere come i gesti eleganti De la nervosa mano, la grazia birichina Con cui batte impaziente il suol con la scarpina. II

LA sua camera azzurra più d’ogni altra mi piace. M’inebria questa languida atmosfera di pace Mollemente impregnata de ’ più soavi odori Che vi lascia, appassendo, il mio mazzo di fiori; Le tende di merletto, cadenti su ‘l tappeto, Ammoniscono il raggio di sol parco e discreto Che un tiepido tramonto d’ottobre ci consente. Due poltrone accostate presso a ’l fuoco morente Tra lor sembran discorrere di non so qual peccato. Un cuscino trapunta là per terra è gettato; Ma in suo muto linguaggio il furbacchiolo prega Ch’io v’appoggi il ginocchio che innanzi a lei si piega. III

DA che a la guerra è il figlio de le viscere sue, Come prima la vedova apparecchia per due, Scodella la minestra, empie un bicchier di vino, Poi su l’uscio di casa aspetta un pellegrino, Un povero che passi ; e subito il convita. Ne vengon tutti i giorni: segno che il figlio è in vita. Così la vecchia madre mitiga il suo dolore. Ma il droghiere vicino, libero pensatore, Brontola: E ubbia più stolida può abbrutire la mente? Le superstizioni rovinano la gente. — IV

LA più lenta carezza, o amica, è la migliore. Tu il sai, tu che paventi l’istante quando l’ ore Ci ricordan co ‘l tocco metallico e agghiacciato Che già s’è fatto tardi, e che il tempo è passato De l’ accorto pretesto d’un bagno o de la messa; Il punto in che si scambiano gli addii e la promessa Di tornare. E d’abbracci segue un nuovo abbandono; Ma ribatte implacabile de l’orologio il suono; Tu vuoi fuggir, turbata.... Oh, momenti fugaci, Ahimè, noi siam costretti a raddoppiare i baci! CHERASCO

Io l’abbozzo sognandolo. In Piemonte, Da le brezze de l’ Alpi accarezzato, Siccome un nido d’ aquile, piantato E’ il piccolo paese in vetta a un monte.

Basso, deserto, con la chiesa a fronte, Sotto le case nere un porticato; In mezzo de ‘l muschioso acciottolato Un rio, con qualche lastra a mo’ di ponte.

Men l’ orologio de la torre, e dietro, Ne’l suo letto granitico la Stura, Che giù gorgoglia in un confuso metro,

Qual ne la morte tutto tace intorno; Pur soltanto io sentii tra queste mura La vita: e vissi un secolo in un giorno. VISITE D’UN COLLEGIALE

ERA un innamorato adolescente, Ne le movenze e ne’ discorsi incerto; Nero, alto, magro, co ’l grand’ occhio ardente E mesto, come un figlio de ’l deserto.

Io sbadigliavo. Ei con pupille intente Fisava il mazzo che m’ aveva offerto, O i suoi stivali: o ancor più avidamente Il mio vestito sovra il seno aperto.

E pur vi son de ’ cervellini grami Capaci a dir, pensate un poche cosa! Ch’ è colpa mia se non passò a gli esami!

Dio buono, e s’ io gli ho detto una parola Intima, insinuante, affettuosa, L ’ho consigliato a star de l’ altro a scuola. NEVICA

EGLI le scrive da lontano : E nevica Anche in questo del sol dolce paese, Cadon le rose, tremano le zàgare, Da l’insolito gel còlte ed offese.

La campagna è un deserto; e ieri, oh ascoltami, Nè sorrider di me: tanto bisogno Io sentìa di silenzio e solitudine, Che ne i campi vagai come in un sogno.

Leggiadro sogno! Mi parea di cingerti Co ’l mio braccio, e così lungo i viali Scivolar teco in una slitta rapida E lieve lieve come avesse l’ali. Tutto, intorno di noi, co ‘l suo fantastico Manto copria la neve alberi e prati, E una ridda da morti saltellavano Le foglie secche e i passeri affamati.

Io ti guardavo. Simile a una splendida Oasi di sole in quel deserto muto, Spuntava rosea la tua testa d’ angelo Da un mucchio di pellicce e di velluto.

E la slitta volava. Entro le arterie Battere ardente il sangue io mi sentìa.... Ma sparve il sogno, e su ‘l cammino gelido Ero solo, e ti piansi, anima mia. —

Ella scrolla la sua testina incredula Con un sorriso di bambina scaltra: E data a ’l fuoco l’ amorosa lettera, Stende la mano per aprirne un’ altra. ARRIVO DELLA POSTA AL CAMPO

I

DA’ ridenti villaggi in riva a ’l mare, Da qualche antico chiostro a snelle arcate, Da un bianco montanino casolare, Da le città di popolo affollate,

Vengon lettere a ’1 campo; e un cicalare Tosto è di rotte frasi concitate, Un correr da ogni parte, un afferrare Di mani tremolanti ed abbronzate.

Lento in quel mentre da un’ alpestre via Torna da una sua gita vagabonda Un tenentino di cavalleria.

— Per lei, tenente. — Ei prende il foglio e gaio L’apre pensando a una duchessa bionda: Maledizione! E’ il conto de ’l sellaio. II

LA’ un bersagliere, un ruvido coscritto, Mezzo sdraiato a l’ ombra d’ una tenda, Suda su la difficile faccenda D’ intender ne gli sgorbi che gli han scritto.

La lettera è di casa. « Io m’ approfitto Che Tonio con la bestia a ‘l borgo scenda. Sappimi dir s’ è vero de l’ azienda Che andrete a far la guerra ne l’ Egitto.

Ti spedisco due lire. Quella sciocca De la tu ’ Gigia piange. Il sor curato Quando tratta di te storce la bocca.

Io, tu lo sai, son uomo timorato, Ma certi tasti guai chi me li tocca! Chi fa l’ obbligo suo non è dannato. » III

ED a te le mie pagine amorose Da la calligrafia lunga e sottile, Sfogo di solitarie ore pensose, Poemi in famigliar semplice stile.

Echi son lì di lotte vigorose, Misti a qualche armonia strana e gentile, Baci da far morire, ombre gelose: Tutto un amor vivente e giovenile.

Tutto un amor che la contraria sorte Muto disfida con sereno orgoglio, Pronto pur anche a disfidar la morte.

Tu leggi intanto, il mio pensier ti vede: Leggi commosso in quell’intimo foglio Le mie febbri, i miei sogni e la mia fede. IN MARCIA

Di giugno : su ‘l meriggio. Afoso il vento S’alza di tratto in tratto e mozza il fiato. Sfila tra ’ casolari il reggimento Da un nuvolo di polvere acciecato.

Gli zaini son di piombo, il passo è lento, Non ha l’ arida gola il canto usato ; Batte il sangue le tempie : in quel tormento Sin da l’ alba su i colli han manovrato.

Da l’ usciolino de ‘l tugurio nero Guarda triste una vecchia, il capo scrolla, E del coscritto suo torna a ‘l pensiero;

De ’l suo coscritto che tra mezzo a ’1 grano Forse accasciato su l’ ardente zolla, Còlto da ‘l sole muor là giù lontano. PIOVE

ELLA s’ è alzata tardi e da la camera Passa, cantando, in un salotto azzurro, Dove cinguettan de gli uccelli esotici E il fuoco langue in un gentil susurro.

Dio! che contrasto fra il suo nido tiepido E’ l’aspro inverno ch’ ulula di fuori, Tra i smorti rami che a la pioggia tremano E i suoi vaselli di smaglianti fiori!


E pur quanta armonia v’ ha nel poetico Mister che lega le più stranie cose: Velluto e cenci, chiara luce e tenebre, Fiocchi di neve e petali di rose! Quanta armonia tra i suoi merletti candidi E i vapor bianchi de le alpine creste! Ella sorride de ‘l pensier fantastico E più si stringe ne la calda veste.

Oggi non uscirà. Le strade fracide Sembran que’ specchi lunghi ed appannati, Davanti a cui le nostre ave posavansi I nèi sopra i visetti incipriati.

E la pioggia vien giù greve e continua Insin da l’ alba, e tutto il cielo è nero. Oggi non uscirà; pure è monotono L’ esser sola e prigione un giorno intero.

Son lì dinanzi a lei dotti fascicoli, Un trapunto di seta a cui lavora, E giornali di mode : un adorabile Miscuglio di poeta e di signora. Ma è stanca d’aforismi e di polemiche Sul vero e l’ideale; unica scuola E’ il bello: e il bello splende entro le pagine Di Manzoni e Renan, d’Hugo e di Zola.

Il ricamo la tedia. E’ così stupido Contar de ’ punti per storpiare un fiore! Pur invidia le semplici di spirito Che d’altr ’arte non smino o d’altro amore.

Amore! Un lampo di desio le sfolgora A questa idea ne ’grandi occhi sereni; E a scriver corre sopra un foglio roseo: Son sola. Piove; mi fa freddo. Vieni. DA UNA FINESTRA

VEGGO in distanza, dietro a casa mia, Da gli altri orti diviso un orticello, Dove un’ acacia spiega il verde ombrello Su i deschi d’una piccola osteria.

Lì, segno a la comun galanteria, Viene una bruna da ‘l vitino snello, Con le scarpe scollate, un gran cappello E un abito di seta a fantasia.

Fuma, ride, folleggia e tutti intorno Gli uomini attira a sè mentre schiamazza; Poi siede, senza invito, a pranzo o a cena.

Io guardo il queto tramontar de’l giorno, Dolce, solenne : e per l’ umana razza M’ invade un senso d’ infinita pena. NELL’ ACCAMPAMENTO DEGLI ZINGARI

RIVEDERLI mi par. Da la stemmata Carrozza eran discesi: ella correa Alzandosi il vestito, e un piè di fata Mostrava; motteggiando egli ridea.

Rideva de la folle innamorata Che interrogar le zingare volea, Per conoscer la sorte a cui serbata L’angel custode o il suo demòn l’ avea.

Da la lurida tenda ov ’ era ascosa I segni a strologar de ’ suoi tarocchi, Sbucò una vecchia che metteva orrore.

Su la patrizia man color di rosa, Tiepida ancor de ‘l guanto, abbassò gli occhi, Più lenta disse: Tu morrai d’amore. DOMENICA

E’ DI festa e su ’l vespro. A ’l davanzale, Sfogliando un libro che non leggo mai, Guardo sfilar là giù lungo il Viale Chi lascia a casa le miserie e i guai.

Grave e inaccessa a ’l par d’ una vestale, Guida una Frine due cavalli bai; Passan ne’l polverio, vestite male, Mogli di farmacisti e di merciai,

Coppie d’innamorati, allegri crocchi Di bevitori e confusi concerti Di bimbi alteri de ’ festivi fiocchi.

Vien l’ombra intanto : e que’ profili incerti Seguendo ancor, mi sale il pianto a gli occhi, Perchè stasera non potrò vederti. FANTASTICANDO

S AVVICINA l’inverno, ed io sorrido Fantasticando su le sue giornate, E sogno il caldo d’un leggiadro nido Fra pareti di stoffa tappezzate;

Dove le felci e l’ eriche in dorate Urne favellin d’ un alpestre lido, Dove l’arte e l’ amor faccian beate L’ ore, e de ‘l mondo non ci turbi il grido.

E lì, quando s’affaccia un sole bianco, Me di velluto e pelli avvolgerai, Perchè a correre a ’l sole esca al tuo fianco.

O se la piova scroscia, appoggerai Queto su ’ miei ginocchi il capo stanco, E il rumor de la pioggia ascolterai. UN INNAMORATO

VENNE a prender comiato: egli partiva Più ridir non saprei per qual paese ; Discorremmo, lui serio ed io giuliva, Io quasi impertinente, egli cortese.

Mi ricordò una gita a un lago in riva, L’ ultimo ballo a l’ambasciata inglese; Accarezzò la mia levriera; e usciva A lenti passi, con le gote accese.

Tutt’a un tratto si volse e come un pazzo Ritornò indietro a stringermi la mano; Poi singhiozzando per le scale corse.

Io fissa stetti a lungo su ’l terrazzo, Mentre sparla là giù là giù lontano Quel core che m’amò: l’ unico forse. GIORNO GRIGIO

PIOVUTA è tutto il giorno un acquolina Fredda, triste, monotona, incessante, Che picchia su gli ombrelli e su le piante Come fitta mitraglia cristallina.

Il cielo è grigio. In vetta a la collina, Un nuvolo più scuro e più pesante S’ alza compatto, e d’ un castel gigante Somiglia a la fantastica rovina.

D’ un tratto il sole, da la parte opposta, Squarcia il volume de la negra tenda, Ride, e co ’ raggi suoi dora la costa.

Oh almen, tale io potessi illuminata Da una luce mirar nuova, stupenda, L’ ora suprema de la mia giornata! A UN EX-PAGGIO DELLA IMPERATRICE ELISABETTA D’AUSTRIA

E SEMPRE invidio la famosa amazzone, La bella imperatrice, Che a suo paggio te scelse in fra i patrizi, Ne l’ età più poetica e felice.

Mi ti figuro un fanciul biondo e roseo, Co ‘l berretto piumato, Il giustacuor di raso azzurro o cremisi E a la cinta uno stile arabescato;

Co ‘l falco sovra il braccio e a canto un arabo Levriere, a orecchie tese, In atto di puntar: come pingevali Ne l’angolo d’un quadro il Veronese. Mi ti figuro una leggiadra imagine Che dal mille e trecento Tornasse per incanto in questo secolo, Viva, piena di grazia e d’ardimento.

Pur, mentre invidio la famosa amazzone, La bella imperatrice, Che a suo paggio te scelse in fra i patrizi, Ne l’ età più poetica e felice,

Sento che de la sua sorte più splendida L’avvenir mi serba, Se a ’l trono del tuo core oggi inalzandomi, Fa di me la tua dama e la tua schiava. MASCHERINA

(Nel Fanfulla)

A L’ULTIMO veglione aveva un abito Di raso nero, stretto, Con un immenso strascico, Il guanto insino a ’l gomito : E da lì tutto nudo, un braccio splendido Da far degna collana a Maometto.

Su ‘l sen, scoperto in quadro a mo’ di vergine, Fina, femminil’ esca, Non i gioielli soliti, Ma de ’ fiori e de i pampani , Che in mezzo a le sue carni armonizzavano Come in un canestrin di frutta fresca. Sovra il picciolo capo un visibilio Di ciocche indipendenti, Impregnate d’effluvi; Due occhi che brillavano A traverso a ’l velluto de la maschera, Come ne ’l tenebror due fari ardenti.

Fra i labbri aperti dei dentini candidi Pari a chicchi di riso.... Io pensavo, studiandola Come tipo di femmina, Quanto sangue, quant’ oro e quante lacrime Assorbito avrà mai con quel sorriso. VIAGGIANDO

IN treno: ad una piccola stazione Sotto l’ Alpi, un momento di fermata. Io, da un triste viaggio affaticata, Guardavo una fanciulla ad un balcone.

Giù, in quel cangiante accozzo di persone, Gettò una lunga e pensierosa occhiata, Mentre ne la mantiglia inviluppata, Da’l vento si schermìa de’l suo burrone.

Che l’ attraeva? Il desiderio intenso Di mutar cielo, d’ affrontar l’ ignoto? Provava ella per noi d’invidia un senso?

O un senso di pietà per chi si parte Da un fido asilo, a ricercar ne’l vuoto Mondane ebbrezze o qualche sogno d’arte? UNA MADRE

I

DA circa un anno è sposa. I sogni folli Che a l’ ombra de ‘l convento ha vagheggiato, Si tradusser per lei ne i rari e frolli Amplessi d’ un banchier tinto, azzimato.

E mostra adesso dove più si affolli De gli eleganti il popolo annoiato, In carrozza su ‘l Pincio, a Chiaia, a i Colli, Un bimbo ne’ ricami soffocato.

Con una balia a cui le foggie prova Più cariche di nastri e di collane; E accanto un grosso can di Terra Nuova.

Saluta e ride nel passar tra noi: Perchè son quella balia, il bimbo e il cane Giocattoli di lusso a gli occhi suoi. II

PRESTO il fanciullo anch’ egli una costosa Raccolta avrà di ninnoli a dozzine, Per poi tutto gettar con isdegnosa Sazietà d’ uomo in gonnellin di trine.

Lo vedremo color di tuberosa Ne le feste, tra i baci e le moine; E, segno a fanciullesca ira gelosa, Sfoggiar puledri inglesi e carrozzine.

Ma a poco a poco perderà di pregio Quel vivente fantoccio, e su ’ dieci anni Per levarsi di mezzo andrà in collegio.

Sua madre, allegra qual non fu giammai, Stucca era un po’ d’ artificiosi inganni: Quel ragazzone la invecchiava assai. III

SOFFOCATO, da ’l letto a la poltrona Le membra ischeletrite a stento ha mosse; E la febbre che più non lo abbandona Gli zigomi gli tinge a chiazze rosse.

Sciupò ne l’ orgie l esile persona, Dietro un’ ombra d’ amor qualunque fosse; E sempre spera, mentre il sen gl’ introna A colpi secchi una profonda tosse.

Così muore. Sua madre, accanto a ‘l fuoco, Stanca da un ballo de la notte avanti, Dove andò tardi e per distrarsi un poco,

Lì sonnecchiava. A un tratto s’ alza e viene Fisso a guardarlo: con le man tremanti Lo tasta.... mette un grido acuto e sviene. APPUNTAMENTO

ERA un gioiello, in quel bizzarro impiccio. Tra mezzo a i fiocchi de la neve folta Da un fantastico vel parea ravvolta, Dritta, su ‘l fondo de ’l vial bianchiccio.

Batteva i piedi: uno stillante riccio S’asciugò ne le trine, e disinvolta, Con la veste di felpa in man raccolta, Ridea, sotto l’ombrello, a ’l suo capriccio.

Per correre lì sola avrà lasciata Dio sa con che timor, con qual pretesto, La sua carrozza tiepida e stemmata.

Poi stasera dirà, compunta e fioca, Che cosa predicò Padre Modesto, Mentre il marito brontolando giuoca. RONDINE BIONDA

(ALLA STAZIONE)

L’ HO ancora ne la rètina: il visino Scarno e bianco affacciava a lo sportello Come in cornice, e un largo vel turchino S’ avvolgeva, tossendo, in sul cappello.

Discorse di quel suo lungo cammino A ricercare un ciel più mite e bello: Perchè qui facea freddo, e in quel mattino L’ era gelato un ultimo vasello.

Chi sa, invece, là giù quanta verzura, Che tinte dove in mar scendon l’ aiuole, Dove in eterna festa è la natura! —

Poi s’adagiò in un angolo, cullata In qualche viston chiara di sole.... Partiva il treno, e non è più tornata. SARTINE

TORNANO in quattro o cinque da ’l lavoro, A braccio tutte in fila, allegre e pronte, Co ’ ricci neri o la frangetta d’oro Che la sizza sparpaglia in su la fronte.

Han le scarpe forate ed un tesoro Di fantasia che irradia l’orizzonte; Non ceneranno forse; e pur tra loro La più modesta sogna certo un conte.

Triste ironia di quella vita! Il giorno Maneggiar piume, fior, damasco e trine, Per dormir poi con la miseria intorno.

o ne’l guardarle mi domando: E quale Tra un anno avrà pariglia? E, poverine, Quante ne saran morte a l’ Ospedale? I MIEI VERSI

PEGGIO che al vento, se n’ andran dispersi Là giù tra ‘l fango de l’ oscura via, Risa, baci, sospir fatti armonia, Fatti profumo in questi fogli tersi.

Qualche somaro che il sentier traversi Li calcherà ragliando un’omelia; E Tizio ghignerà: La poesia Sta ne’ fogli di banca e non ne’ versi.

La casta dama che fin dietro i letti Bianchi de ’ bimbi i frolli amanti cela, Scandalizzar faranno i miei sonetti.

Io sempre, ricca d’alti sensi il core, Avrò ne ‘l canto che il pensier rivela Culto la verità, nume l’amore. INDICE

Intimità

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Risoluzione 9 Vaticinio 10 In una chiesa 11 A Lui 12 Sempre a Lui 13 Mattino 14 Sogni 15 Viaggio 17 Come vorrei l’amore 18 Progetti 19 A Vittoria, I 20 — II 21 Pensiero fisso 23 Aspettando 27 On ne badine pas avec l’amour, I 28 II 29 Lettera 30 Arresti 31 Partenza 33 Guerra, I pag. 34 Pace, II 35 Alba 37 Elena C 38 Nunc et semper 39 Un nemico 40 Per certe strofe di ***, I 41 II 42 III 43 IV 44 Memento 45 Città longobarda 47 Differenza 48 Un addio 49 Di notte 51 Di sera 53 Confidenze 54 Penso talora 55 Lutto d’un vivo, I 57 — II 59 — III 60 Ultimo sogno 61 Proponimento 63 Tardi 64 Sgomberatura 65 Il rosario della nonna 66 Vendita 67 In esilio 69 Tregua 70 Ad un amico che non mi scriveva da un pezzo 71 Giuramenti falsi 72 Si dice 73 Al mio crocifisso 75 In morte d’un ufficiale di marina 76 Dopo un concerto 77 All’aperto pag. 78 Inverno 79 La parola della nonna 81 Senza baci 82 Primo incontro 83 Gioielli 84 Dall’alto 85 Amore 87 Nel mandare in dono un ombrellino 88 Scapataggini 89 Ultima festa 90 Nel bosco 93 Lontano 94 Cimitero 97 Dopo un ballo 98 Stanza chiusa 99 A chi so io 100 A Gabardo Gabardi la contessa Lara per • Chi so io» 101 Avvenire 103 Ora bitta 107 Lui, I 108

 — II 							109

Sulla spiaggia 110 Incubo 111 A Flora 112 Desiderio 113

Parvula

In monastero 117 Fuori del monastero 120 Ricordo d’aprile 123 A una bambina 125 Baby 128 Disegni

Sulla porta pag. 133 Amor campagnuolo 134 In strada ferrata 135 Figurina strana 137 Posta del villaggio 138 Alla fiera 139 Giselda 141 La casa dell’ava 142 Visitando un castello antico 147 Angelo della famiglia 148 Scienza di donna 149 Mezzogiorno 151 Vecchia cappella 155 Sfogliando F. Coppée, I 157 II 158 III 159 IV 160 Cherasco 161 Visite d’un collegiale 163 Nevica 164 Arrivo della posta al campo, I 166 II 167 III 168 In marcia 169 Piove 171 Da una finestra 175 Nell’accampamento degli zingari 176 Domenica 177 Fantasticando 179 Un innamorato 180 Giorno grigio 181 A un ex-paggio della imperatrice Elisabetta d’Austria 182 Mascherina 185 Viaggiando 187 Una madre, I 189 — II 190 — III 191 Appuntamento 193 Rondine bionda 194 Sartine 195 I miei versi 196 In Firenze Tipografa dell’Arte della Stampa diretta da S. Landi