Il vicario di Wakefield/Capitolo nono

Da Wikisource.
Capitolo nono

../Capitolo ottavo ../Capitolo decimo IncludiIntestazione 9 maggio 2024 75% Da definire

Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo nono
Capitolo ottavo Capitolo decimo

[p. 56 modifica]

CAPITOLO NONO.


Si conoscono due dame di condizione elevata. L’abbigliamento sfarzoso pare che conferisca squisitezza di educazione.

Appena s’era accomiatato il signor Burchell, e Sofia aveva acconsentito di danzare col cappellano, che i miei piccini accorsero ad informarci essere giunto lo scudiero con gran comitiva. Ritornati a casa trovammo il nostro padrone con un paio di gentiluomini e due giovani donne in gran gala, le quali ci presentò egli come cittadine d’alto affare. A noi mancavano per avventura sedie per tutta la brigata; ma il signor Thornhill propose tosto ch’ogni gentiluomo si adagiasse in grembo ad una donna: alla qual cosa io mi opposi deliberatamente, ad onta dello sbuffare e contorcersi di mia moglie che pur volea dissuadermene. Però Mosè fu mandato a tôrre scranne ad imprestito; e come non bastavan donne per ordinare la contraddanza, i due gentiluomini s’avviarono con esso lui in cerca di ballerine. In un momento s’ebbono le une e le altre; e tornarono gli accorti con que’ bei volti vermigli delle figliuole del mio vicino Flamborough superbe de’ nastri rossi ond’erano inghirlandate. Ma vedi guaio a cui non s’era badato; le fanciulle Flamborough, quantunque predicate per le migliori ballerine della parrocchia, sapevano assai bene di gavotta e rigoletto, ma di contraddanza nè un nulla. A prima giunta ne fummo imbarazzati; ma dopo alquanto spingerle e tirarsele dietro e uscirne come meglio si poteva, elleno vi si addestrarono ottimamente. Da due violini, da un flauto e da un tamburo era composta l’orchestra; la luna splendeva tersissima. Il signor Thornhill e la maggiore delle mie figliuole menavano la danza con sommo diletto degli spettatori accorsi in frotta da tutto il vicinato. Olivia moveva [p. 57 modifica]con tal leggiadria e tanta vivacità, che mia moglie non potè contenersi di far tralucere l’orgoglio ch’ella ne sentiva in cuore col dirmi che la tristarella le aveva rubati tutti i passi, e che li faceva più netti di lei. Le gentildonne di città tentavano a tutta possa di gareggiarla, trinciando capriole, ritte ritte sulla persona tenendosi, e si volgendo leziose e languidette; ma tutto in vano: e per verità i circostanti esclamavano che la era una maraviglia; e Flamborough giurava che il piede di Olivia andava a battuta che nulla più.

Posciachè quel ballo fu proseguito oltre un’ora intera, temendo le due gentildonne di infreddarsi, l’interruppero. L’una di esse mi parve manifestasse allora la bassezza dell’anima sua da grossolana educazione invilita, dicendo: “Per Cristo vivo! son tutta molle di sudore.” All’entrare in casa vedemmo imbandita una cena fredda vagamente ordinata e fatta apprestare dal signor Thornhill. Questa volta si andò più riserbati nel conversare; e le due gentildonne offuscarono proprio le mie fanciulle, non ciarlando d’altro che del vivere signorile, di nobiltà, di pitture, di buon gusto, di Shakespeare, di vetri armonici e d’altri cotali argomenti di moda. Gli è vero che una volta o due elle si lasciarono sdrucciolare di bocca alcuna bestemmia di cui sentimmo noi stessi non poca vergogna; ma io credeva che quello fosse il più infallibile contrassegno di loro alta condizione: ora però sono informato che ’l giurare e ’l bestemmiare non è più affatto di moda. Nondimanco i loro ornamenti coprivano di un bel velo ogni magagna del favellare: e le mie figliuole sembravano invidiare la compitezza di quelle fine maniere, attribuendone ogni vizio a fior d’educazione. Campeggiava sovra d’ogni altra dote la condiscendenza nelle due gentildonne; l’una delle quali diceva abbisognare Olivia di conoscere un tantino di mondo; e l’altra che un sol verno in città avrebbe cambiato da capo a piedi Sofia, e fattone un portento. Ad entrambe [p. 58 modifica]applaudiva mia moglie, affermando nulla più ardentemente bramare ella che di potere per una invernata almeno dare una vernice di educazione cittadinesca alle sue figliuole. Allora io in fretta in fretta risposi che già le fanciulle erano allevate civilmente più che al loro stato non si convenisse; e che il di più non avrebbe servito che a renderne ridicola la povertà, mettendo loro pel capo de’ grilli e ’l sapore di certi piaceri a cui non potevano ragionevolmente aspirare. “E quali piaceri non meritano elle di godere,” esclamò il signor Thornhill, “elleno che tanti ne hanno da compartire? Io, cui non mancano discreti beni di fortuna, ristringo tutte le massime di mia morale a tre soli capi; amore, libertà e piacere: ma il diavolo mi colga, se mezzo il mio patrimonio io non darei volentieri all’amabile Sofia, ov’ella ne dovesse trarre diletto; e l’unico favore che ne chiederei in contraccambio sarebbe di poter aggiungere al dono anche tutto me stesso.”

Non era io poi tanto soro da ignorare quello essere il gergo di cui si sogliono vestire le più vili ed insolenti offerte; ma feci ogni sforzo per tenere a freno la mia rabbia, e mi contentai di dire: “Signore, la famiglia che voi ora onorate della vostra compagnia è per educazione gelosa del proprio onore quanto voi del vostro; e chiunque tentasse di fare a quello ingiuria, capiterebbe assai male. Poichè l’unico tesoro che ci sia rimasto è l’onore, noi dobbiamo con ogni cura conservarcelo.” Finite queste parole, mi cominciava già a rincrescere la veemenza con cui io le aveva pronunciate; ma il giovane scudiero palpandomi la mano commendò altamente il mio spirito quantochè disapprovasse i miei sospetti; e giurò niuna cosa aver meno in cuore che sì fatto pensiero: perchè alieno egli dalla smania di voler vincere quelle virtù che resistono gran pezza agli altrui assalti, non aveva mai fatto colpo in amore, se non per via di qualche tratto astuto e repentino. [p. 59 modifica]

A un motto così libero, le due gentildonne che fingevano ignorare i discorsi precedenti, parvero aggrottar per isdegno le ciglia; poi diedero principio ad un dialogo alquanto discreto e serio intorno alla virtù. A quello intervenni io pure colla moglie mia e ’l cappellano; e verso il finire lo scudiero istesso s’indusse a confessare il suo rimorso per aver data troppo la briglia alla lingua. Si parlò de’ piaceri della temperanza e della serenità d’un’anima innocente: e non vi fu mai cosa che mi contentasse tanto come di aver tenuti desti oltre l’usato i due ragazzini, perchè così venivano bene edificati da quella ottima conversazione. Il signor Thornhill si volse a me con tal garbo infino a domandarmi come io la pensassi in fatto di preci: ed io accolsi volentieri quell’argomento; e la sera si passò in utili e belli ragionamenti finchè parve alla brigata di andarsene. Le gentildonne sembrarono a mal in cuore dividersi dalle mie figliuole alle quali s’erano a poco a poco in modo singolare affezionate, e menandone lamento, fecero instanza perchè fosse loro accordato di condurle via seco. Lo scudiero secondò quella profferta, e mia moglie anch’ella; e le fanciulle gittavano a me certi sguardi coi quali voleanmi pure strappar di bocca l’assenso. In tale perplessità m’ingegnai di porre in mezzo due o tre scuse che le figliuole appianarono tosto; di modo che io mi vidi costretto a dare un’aperta negativa, per cui non ebbi il dì seguente che de’ visi arcigni e tronche risposte.