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di vittorio alfieri 117


Di momento in momento udirne aspetto
4 Dal percussor1 feroce insanguinato.
O buon mio Fido; a che ci tragge il fato!
Tuo pestifero morbo hammi costretto
A farti, in prova del mio lungo affetto,
8 Tre palle (oimé!) piantare entro al costato.2
Il mio bel Falbo! il mansüeto ardente,3
Che di portar mia donna iva sí altero,
11 Che le obbediva con sí umana mente!
Deh! come tal sentenza uscia dal fero
Mio labro?... Eppure, egro insanabilmente...
14 Mai non porrò piú il core4 in niun destriero.


CXVI [clvii].5

Mestizia per la lontananza della sua donna

e per la propria malattia.

Non bastava, che lungo intero il verno
Sepolto io stessi in solitudin trista,
Privo di quella cara ed alma vista,
4 Che sola in tregua pon mio pianto eterno?
Mute selve, ov’io sfogo ebbi all’interno
Mio duol, cui speme pur iva frammista;
Ecco, ognuna di voi vita racquista;
8 E nuove fronde, e fior novelli io scerno.
Non, lasso! in me, cui la speranza è tolta
Di riveder tra queste amene piagge
11 Donna, in chi mia ventura6 e vita è accolta.
Gioja non v’ha, che omai piú il cor m’irragge;7
Morte mi s’è d’intorno ad esso8 avvolta,
14 E lenta lenta a sua magion mi tragge.9


  1. 4. Dal percussor; da chi doveva uccidere il povero animale.
  2. 8. Brutto verso, anzi prosa e non verso.
  3. 9. Mansneto ardente: cosí, a proposito di Frontino, altre due volte.
  4. 14. Il core, il mio affetto.
  5. Ho detto piú sopra, accennando ai lavori dell’A. nel 1786, che, mentre viveva tutto con l’animo in essi, dové interromperli per un fiero accesso di podagra, che durò 15 giorni: «nel maggio... mercé la gran dieta e il riposo si trovò bastantemente riavuto di forze» (Aut., IV, 16°). Il 24 aprile compose il surriferito sonetto, complemento di un altro sullo stesso argomento, scritto due giorni avanti, e che mandò all’abate di Caluso con una lettera, mancante di data, ma che deve riferirsi a quei giorni (Epist., pag. 127 e seg.).
  6. 11. Mia ventura, il mio bene e il mio male.
  7. 12. M’irragge, mi illumini.
  8. 13. Ad esso, al cuore.
  9. 14. Nessuna esagerazione; il pericolo fu assai grave, come dice l’A. stesso nel passo dell’Autobiografia che precede quello da me sovraccitato.