Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/126

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120 la divina commedia

     E’ poi ridisse: ‘ Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
102sí come Penestrino in terra getti.
     Lo ciel poss’io serrare e disserrare,
come tu sai; però son due le chiavi
105che ’l mio antecessor non ebbe care ’.
     Allor mi pinser li argomenti gravi
lá ’ve ’l tacer mi fu avviso il peggio,
108e dissi: ‘ Padre, da che tu mi lavi
     di quel peccato ov’io mo cader deggio:
lunga promessa con l’attender corto
111ti fará triunfar ne l’alto seggio ’.
     Francesco venne poi, com’io fu’ morto,
per me; ma un de’ neri cherubini
114li disse: ‘ Non portar! non mi far torto.
     Venir se ne dée giú tra’ miei meschini,
perché diede il consiglio frodolente,
117dal quale in qua stato li sono a’ crini;
     ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentère e volere insieme puossi
120per la contradizion che nol consente ’.
     Oh me dolente! come mi riscossi
quando mi prese dicendomi: ‘ Forse
123tu non pensavi ch’io loico fossi? ’
     A Minòs mi portò; e quelli attorse
otto volte la coda al dosso duro;
126e poi che per gran rabbia la si morse,
     disse: ‘ Questi è de’ rei del foco furo ’;
per ch’io lá dove vedi son perduto,
129e sí vestito, andando, mi rancuro».
     Quand’elli ebbe ’l suo dir cosí compiuto,
la fiamma dolorando si partío,
132torcendo e dibattendo il corno aguto.
     Noi passamm’oltre, e io e ’l duca mio,
su per lo scoglio infino in su l’altr’arco
135che cuopre il fosso in che si paga il fio
     a quei che scommettendo acquistan carco.