Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/144

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138 la divina commedia

     Ond’ei rispose: «Tu vedrai Anteo
presso di qui, che parla ed è disciolto,
102che ne porrá nel fondo d’ogni reo.
     Quel che tu vuo’ veder, piú lá è molto,
ed è legato e fatto come questo,
105salvo che piú feroce par nel volto».
     Non fu tremoto giá tanto rubesto,
che scotesse una torre cosí forte,
108come Fialte a scuotersi fu presto.
     Allor temett’io piú che mai la morte,
e non v’era mestier piú che la dotta,
111s’io non avessi viste le ritorte.
     Noi procedemmo piú avante allotta,
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle,
114senza la testa, uscía fuor de la grotta.
     «O tu che ne la fortunata valle
che fece Scipion di gloria reda,
117quand’Annibal co’ suoi diede le spalle,
     recasti giá mille leon per preda,
e che se fossi stato a l’alta guerra
120de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda
     ch’avrebber vinto i figli de la terra;
mettine giú, e non ten vegna schifo,
123dove Cocito la freddura serra;
     non ci fare ire a Tizio né a Tifo:
questi può dar di quel che qui si brama;
126però ti china, e non torcer lo grifo.
     Ancor ti può nel mondo render fama;
ch’el vive e lunga vita ancor aspetta,
129se innanzi tempo grazia a sé nol chiama».
     Cosí disse ’l maestro; e quelli in fretta
le man distese, e prese il duca mio
132ond’Ercule sentí giá grande stretta.
     Virgilio, quando prender si sentío,
disse a me: «Fatti ’n qua, sí ch’io ti prenda»;
135poi fece sí ch’un fascio era elli e io.