Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/203

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purgatorio - canto x 197

     Li occhi miei ch’a mirare eran contenti
per veder novitadi ond’e’ son vaghi,
105volgendosi ver lui non furon lenti.
     Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi
di buon proponimento, per udire
108come Dio vuol che ’l debito si paghi.
     Non attender la forma del martire:
pensa la succession; pensa ch’al peggio,
111oltre la gran sentenza non può ire.
     Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
114e non so ch’è, sí nel veder vaneggio».
     Ed elli a me: «La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
117sí che i miei occhi pria n’ebber tenzone.
     Ma guarda fiso lá, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
120giá scorger puoi come ciascun si picchia».
     O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
123fidanza avete ne’ retrosi passi,
     non v’accorgete voi che noi siam vermi
nati a formar l’angelica farfalla,
126che vola a la giustizia senza schermi?
     Di che l’animo vostro in alto galla,
poi siete quasi entomata in difetto,
129sí come vermo in cui formazion falla?
     Come per sostentar solaio o tetto,
per mensola talvolta una figura
132si vede giugner le ginocchia al petto,
     la qual fa del non ver vera rancura
nascere ’n chi la vede; cosí fatti
135vid’io color, quando posi ben cura.
     Vero è che piú e meno eran contratti
secondo ch’avean piú e meno a dosso;
138e qual piú pazienza avea ne li atti,
     piangendo parea dicer ‛ Piú non posso ’.