Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/280

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274 la divina commedia

     e se tu forse credi ch’io t’inganni,
fatti ver lei, e fatti far credenza
30con le tue mani al lembo de’ tuoi panni.
     Pon giú omai, pon giú ogni temenza;
volgiti in qua e vieni, entra sicuro!»
33E io pur fermo e contra coscienza.
     Quando mi vide star pur fermo e duro,
turbato un poco, disse: «Or vedi, figlio,
36tra Beatrice e te è questo muro».
     Come al nome di Tisbe aperse il ciglio
Piramo in su la morte, e riguardolla,
39allor che ’l gelso diventò vermiglio;
     cosí, la mia durezza fatta solla,
mi volsi al savio duca, udendo il nome
42che ne la mente sempre mi rampolla.
     Ond’ei crollò la fronte e disse: «Come!
volémci star di qua?» Indi sorrise
45come al fanciul si fa ch’è vinto al pome:
     poi dentro al foco innanzi me si mise,
pregando Stazio che venisse retro,
48che pria per lunga strada ci divise.
     Sí com fui dentro, in un bogliente vetro
gittato mi sarei per rinfrescarmi,
51tant’era ivi lo ’ncendio senza metro.
     Lo dolce padre mio, per confortarmi,
pur di Beatrice ragionando andava,
54dicendo: «Li occhi suoi giá veder parmi».
     Guidavaci una voce che cantava
di lá; e noi, attenti pur a lei,
57venimmo fuor lá ove si montava.
     ‛ Venite, benedicti Patris mei
sonò dentro a un lume che lí era,
60tal, che mi vinse e guardar nol potei.
     «Lo sol sen va,» soggiunse «e vien la sera:
non v’arrestate, ma studiate il passo,
63mentre che l’occidente non si annera».