Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/447

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paradiso - canto xxviii 441

     maggior bontá vuol far maggior salute;
maggior salute maggior corpo cape,
69s’elli ha le parti igualmente compiute»:
     dunque costui che tutto quanto rape
l’altro universo seco, corrisponde
72al cerchio che piú ama e che piú sape.
     Per che, se tu a la virtú circonde
la tua misura, non a la parvenza
75de le sustanze che t’appaion tonde,
     tu vederai mirabil consequenza
di maggio a piú e di minore a meno,
78in ciascun cielo, a sua intelligenza».
     Come rimane splendido e sereno
l’emisperio de l’aere, quando soffia
81Borea da quella guancia ond’è piú leno,
     per che si purga e risolve la roffia
che pria turbava, sí che il ciel ne ride
84con le bellezze d’ogni sua paroffia;
     cosí fec’io, poi che mi provide
la donna mia del suo risponder chiaro,
87e come stella in cielo il ver si vide.
     E poi che le parole sue restaro,
non altrimenti ferro disfavilla
90che bolle, come i cerchi sfavillaro:
     l’incendio suo seguiva ogni scintilla;
ed eran tante, che ’l numero loro
93piú che ’l doppiar de li scacchi s’immilla.
     Io sentiva osannar di coro in coro
al punto fisso che li tiene a li ubi,
96e terrá sempre, ne’ quai sempre foro.
     E quella, che vedea li pensier dubi
ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
99t’hanno mostrati Serafi e Cherubi.
     Cosí veloci seguono i suoi vimi,
per somigliarsi al punto quanto ponno;
102e posson quanto a veder son sublimi.