Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/345

Da Wikisource.

GLI VCELLI


quello che fa? con la gamba batti la pietra.

Pi.
Et tu con la testa, à ciò che’l fia dopio’l strepito;
Eu.
Et tu piglia la pietra e batti.
Pi.
Fortemente, si mi pare.
Eu.
Putto, putto.
Pi.
Che ditu? tu putto chiamitu Epope? questo non bisognava ad Epope chiamare per il figliuolo?
Eu.
Ad Epope.
Ser.
Che mi farai tu battere anchora un’altra volta?
Eu.
Ad Epope.
Ser.
Che sono costoro? chi chiama’l patrone?
Eu.
Apolline rovinator de mali per lo aprir de la bocca.
Ser.
Oime disgraziato, questi sono ucellatori.
Eu.
Così è grave cosa. ne migliore da dire.
Ser.
Andate in mal’hora.
Eu.
Ma non siamo huomini?
Ser.
Ch’è poi?
Eu.
Temo io ucello di Libia.
Ser.
Tu non dì niente.
Eu.
Et nulla dimeno domandagli le cose d’i piedi.
Ser.
Et questa quale ucella è gia? no’l diraitu?
Pi.
Io un’ucello fasianico che apre la bocca.
Eu.
Ma tu che bestia seitu mai, per i dei?
Ser.
Io ucello servo.
Eu.
Da qual gallo sei stato vinto?
Ser.
Nò, ma quando’l patron diventò Epope, à l’hora mi pregò ch’io dimenticassi ucello, per haver un com-