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INFERNO. — Canto XXIX. Verso 82 a 108 459


E sì traevan giù l’unghie la scabbia,1
     Come coltel di scardova le scaglie,
     d’altro pesce che più larghe l’abbia.
tu che colle dita ti dismaglie,85
     Cominciò il Duca mio a un di loro,
     E che fai d’esse tal volta tanaglie.
Dimmi s’alcun Latino è tra costoro
     Che son quinc’entro, se l’unghia ti basti
     Eternalmente a cotesto lavoro. 90
Latin sem noi, che tu vedi sì guasti
     Qui ambedue, rispose l’un piangendo:
Ma tu chi se’, che di noi dimandasti?
     E il Duca disse: Io son un che discendo
     Con questo vivo giù di balzo in balzo,95
E di mostrar l’inferno a lui intendo.
     Allor si ruppe lo comun rincalzo;
     E tremando ciascuno a me si volse
Con altri che l’udiron di rimbalzo.
     Lo buon Maestro a me tutto s’accolse, 100
     Dicendo: Di’ a lor ciò che tu vuoli.
Ed io incominciai, poscia ch’ei volse:
     Se la vostra memoria non s’imboli
     Nel primo mondo dall’umane menti,
Ma s’ella viva sotto molti soli, 105
     Ditemi chi voi siete e di che genti:
     La vostra sconcia e fastidiosa pena
Di palesarvi a me non vi spaventi.


  1. V. 82. A chi piacesse traïea con l’unghie già, offero lezione del Cortonese, del Gaelani e del Vaticano.




V. 85. Seguendo il poema, domandò Virgilio di loro paese.

95. Balzo, cioè circolo.

97. Cioè che per maraviglia lasciarono loro atto, e volsensi a vedere, ed anche altri correano in quel luogo.

99. Di rimbalzo, cioè di sovraggiunta.

103. Se la vostra memoria, etc, cioè: e se di voi sia memoria al mondo e non sia involata, cioè ascosta e negletta.

105. Ma s’ella viva sotto molti soli, cioè sotto più anni.

106. Cioè non vi spaventate di dirmi chi voi siete, e perchè avete tal pena, e siete in così fastidiosa travaglia.