Pagina:Fausto, tragedia di Volfango Goethe, Firenze, Le Monnier, 1857.djvu/284

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276 fausto.

Fausto. Di che rapimento vai tu farnelicando? Ed io qui sonci per nulla? Non istringo dunque tuttora codesta chiave che mi guidò traverso alle orribili, indefinite e fluttuanti plaghe della solitudine e del vuoto, sulla stabile terra? Questa io calco adesso, e vere sostanze e reali sono quelle che stannomi intorno; e da qui può bene lo Spirito agli Spiriti muovere guerra, e al conquisto de’ due regni disporsi. Dalle regioni ov’ella stava, remote cotanto, avrebbe mai potuto trarmisi più da vicino? Io la vo’ salva ad ogni costo; ch’ella è due volte mia! Orsů dunque, o Madri! a voi tocca esaudirmi! Chi l’ha conosciuta, non può a verun patto viver senza di lei.

L’Astrologo. O Fausto! o Fausto! che ardisci tu mai? — Ei l’afferra fortemente; già la visione sì conturba; lanciatosi colla chiave sul giovinello, il tocca con quella! — Tristi a noi! oh guai! guai! guai! (Una forte esplosione succede; Fausto cade boccon sul terreno; gli Spiriti si sciolgono in vapori.)

Mefistofele leva in sugli omeri Fausto. Ecco che si guadagna ad incaricarsi di un malto! Tu n’hai le beffe, e fossi pare un diavolo in carne ed ossa. (Tenebre, scompiglio.)