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a Checa?, Il Barini stesso risponde: «Io non so proprio persuadermene». Ma al Barini si potrebbe opporre, se non fosse anche questo un problema ozioso, che il Goldoni, come ogni altro artista, ritrasse in Isidoro solo una parte di se stesso, quella che egli volle: lasciò in Isidoro un ricordo, e niente più. Del resto egli non dice mai che il giovine coadjutore, a cui piaceva divertirsi e fare del bene a tutti, specialmente alle belle ragazze, avesse di proposito delle mire disoneste. Anzi paron Vincenzo e Titta Nane e donna Libera ci sembrano un tantino maliziosi nelle loro allusioni; e anche tale diffidenza dell’uomo del popolo verso il lustrissimo e profondamente vera.

Nel 1883 usciva lo scritto citato di G. M. Urbani de Gheltof, dove fra l’altro si racconta delle primissime recite delle Baruffe sul teatro di S. Luca: «Pel pubblico la commedia ottenne tutte le simpatie, ma non la pensavano così i Chioggiotti, vituperati, secondo il lor modo di vedere, troppo gravemente. Furon varie le discussioni, e finalmente un poeta da dozzina interpretò il sentimento popolare con alcune strofette che incominciano: Goldoni, se a dir mal vu ve metė, – De Cioza, de sti loghi benedeti, — Convien che in fin de i conti recordè – Che i vostri amici xe sta sempre schieti – Amici che nei casi de bisogno, – Ne le vostre disgrazie v’ha aiutà. - E spesso, questo a dir no me vergogno - De gran disgrazie infina i v’ha salvà». Sì fatti versi, secondo l’Urbani, si trovano fra i manoscritti Cicogna del Museo Civico di Venezia, ma non si sa in quale codice. «A queste accuse ingiuste, le quali pare si diffondessero per tutta la città a cura di un abate Vianello, il Gold. risponde con una lettera indirizzata al Podestà di Chioggia nel 16 giugno 1761: – Eccellenza. Carlo Goldoni avvocato veneziano umilissimo servo di V. E. le rende noto che avendo avuto l’occasione di far rappresentare nei teatri di Venezia una sua comica produzione intitolata le Baruffe Chiozzotte, certo abate Vianello va diffondendo per tutta Chioggia la voce essere quella una satira alla città. Che pertanto arrivarono al Goldoni lettere anonime e composizioni satiriche che egli crede siano scritte ad istigazione del predetto abate. Perciò il supplicante umilmente domanda a V. E. che sia ammonito il Vianello dal recargli ulteriori fastidi onde continuare a godere di quella pace che per giustizia soltanto può derivare. - Grazie». La copia della lettera, afferma in nota l’Urbani, «esiste nell’Archivio Civico di Chioggia: e sulla fede dell’Urbani la ristamparono il Masi nell’Illustrazione italiana (XI, n. 5, 3 febbr. 1884) e lo Spinelli nei Fogli sparsi del Goldoni (Milano, 1885, p. 59). «C’era e dura tuttora la credenza in Chioggia» continua il De Gheltof, «che il Gold. avesse intenzione maligna per mettere sulla scena il suo popolo, perchè soffrì dai chioggiotti gravi disgusti amorosi». — Sappiamo già di quali amori si tratti.

Lo stesso anno 1883 comparve quasi alla macchia un umile foglietto anonimo, pieno zeppo di errori, intitolato C. Goldoni a Chioggia (firmato B molle: una copia, certo rarissima, spedita da Chioggia allo stesso Urbani, è ora posseduta dal conte Federico Pellegrini): nel quale, coi frammenti delle Memorie interpretati dio sa come, si vuol provare l’odio e l’ingratitudine del commediografo veneziano verso la città di Chioggia. «...Il Goldoni aveva desiderata, aveva sollecitata la mano di una educanda di S. Francesco, bellissima, ricchissima ed amabile, con cui forse passare la noia che gli recava Chioggia.