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CAPITOLO XXIX. 561


Il sarto si mise a parlare alla distesa della santa vita dell’innominato, e come, dall’essere il flagello de’ contorni, n’era divenuto l’esempio e il benefattore.

“E quella gente che teneva con sé?... tutta quella servitù?...” riprese don Abbondio, il quale n’aveva più d’una volta sentito dir qualcosa, ma non era mai quieto abbastanza.

“Sfrattati la più parte,” rispose il sarto: “e quelli che son rimasti, han mutato sistema, ma come! In somma è diventato quel castello una Tebaide: lei le sa queste cose.”

Entrò poi a parlar con Agnese della visita del cardinale. “Grand’uomo!” diceva; “grand’uomo! Peccato che sia passato di qui così in furia, che non ho né anche potuto fargli un po’ d’onore. Quanto sarei contento di potergli parlare un’altra volta, un po’ più con comodo.”

Alzati poi da tavola, le fece osservare una stampa rappresentante il cardinale, che teneva attaccata a un battente d’uscio, in venerazione del personaggio, e anche per poter dire a chiunque capitasse, che non era somigliante; giacché lui aveva potuto esaminar da vicino e con comodo il cardinale in persona, in quella medesima stanza.