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Il Canzoniere 281


CCII.

La Mencia è in terra un sole di bellezza.
        Questo sonetto — l’ultimo delle lodi di Madonna — nonostante la sua povertà d’arte, ha certa ingenua freschezza paesana per cui arieggia al canto di popolo; in ispecie nell’esordio ha il sapore d’uno stornello rusticano.


Ha l’alto ciel un Sol infra le stelle,
     In terra fra le donne questa è un sole,
     Febo alle stelle il lume donar suole,
     4Prendon beltà da questa l’altre belle.
Ovunque gira Febo le fiammelle
     Gli uomini avviva, i pesci e le vïole,
     Di questa la beltà com’ella vuole
     8Tutti i cor nutre, e fuor de’ petti svelle.
All’apparir del Sol ogn’altra luce
     S’asconde, e fugge, quando quest’appare
     11Altro che ’l suo splendor a noi non luce.
Suol nebbia spesso i raggi al Sol ombrare
     Di questa la beltà così riluce
     14Ch’ognor più chiara e bella si suol fare.


V. 5. Le fiammelle, i raggi.

V. 6. Uomini, animali, fiori. Degli animali nomina particolarmente i pesci per comprendere nell’enumerazione anche quelli di mare.

V. 11. Costruisci: a noi non riluce altro splendore che il suo.


CCIII.

È il sonetto di chiusa del Canzoniere, il sonetto di congedo.
        Vecchio e canuto il poeta ancora sente l’antico ardor d’amore e vive nel ricordo gentile della Mencia.


Molte stagion di ghiaccio, e ancor di fiori
     Sempr’agghiacciando, e sempr’ardendo ho corse