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nette anche l’avversione di Hegel contro tutto ciò che è dover essere, aspirazione verso l’ideale; avversione alla quale ha dato un’irosa espressione nella prefazione alla Filosofia del diritto, Mentre Kant e Fichte sono profeti, il cui occhio è volto verso l’avvenire, Hegel è l’apologista del presente. Manca alla sua filosofia quel senso d’insoddisfazione perenne del presente, che è in fondo aspirazione verso una realtà infinita; per Hegel quello che deve essere già è: la ragione è già in massima parte realizzata nel presente. Quindi anche la filosofia non ha altro compito che di penetrare la realtà data, di comprendere ciò che è, senza pretendere di dettar leggi a ciò che deve essere. È interessante vedere che Hegel aveva già svolto questa conseguenza del suo pensiero in quella critica della costituzione tedesca che aveva scritto vent’anni prima. «I pensieri di questa mia opera, scrive Hegel, non possono avere altro fine ed effetto che di comprendere ciò che è e quindi indurre a sopportarlo in pace. Perchè non è ciò che è che ci rende inquieti e dolorosi, ma il fatto che esso non è come dovrebbe essere. Ma se noi conosciamo che esso è come non può non essere, allora conosciamo anche che è come dovrebbe essere».

Così si contrastano, senza potersi conciliare, nel concetto dello svolgimento dialettico dello spirito, due motivi, due esigenze: l’una che tende a farne un circolo eterno di vita, una beata divinità immobile; l’altra, per cui esso necessariamente si risolve nel divenire d’una molteplicità che muta, progredisce e tende al bene attraverso il male, al perfetto attraverso l’imperfetto. Il pensiero hegeliano subisce qui il destino che non può evitare qualunque tentativo umano di metterci dinanzi all’Assoluto. Esso costruisce questo Assoluto con elementi dell’esperienza — perchè altri non ne abbiamo — e così si mette in opposizione con l’esperienza e con la scienza, che non riconoscono nulla di assoluto. E nello stesso tempo introduce in sè una contraddizione insanabile: perchè qualunque concetto, per quanto alto esso sia, si rivela in ultimo sempre incapace di esprimere adeguatamente l’ Assoluto. Tutto ciò che è mortale — dice Goethe — non può essere altro che un simbolo.

Se noi passiamo ora a considerare più in particolare le idee di Hegel sulla religione, noi riscontriamo in esse la stessa dualità di esigenze e di tendenze: là dove Hegel ci descrive la scis-