Pagina:Notizie della stampa in Prato (Toscana), Firenze, 1908.djvu/7

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d’anni cinquantanove. E sebbene il Vestri fosse poco più che un lavorante tipografo, s’atteggiò a letterato e scrisse brutti sonetti per le Raccolte poetiche e prefazioni sciocche quanto spropositate. La sua stamperia finì «senza infamia e senza lodo»1 con Giuseppe Lenzi, ridotta a stampare alla meglio poco più di quanto abbisognava al Comune e ad altre Amministrazioni pubbliche, sebbene la ditta rivivesse e finisse non è molto col nome dei Successori Vestri.

Ma già nel 1814 un Luigi Vannini libraio abitante in Prato da dieci anni, aveva domandato al Granduca che gli permettesse «lo stabilimento in Prato di un solo Torchio», dopo che erasi stampata a sue spese nella tipografia fiorentina di Niccolò Carli la Divina Commedia, dai bibliofili giudicata assai corretta. Nell’informazione del R. Commissario Cercignani, si attestava che il Vannini riuniva «ad una conosciuta probità i requisiti necessari onde poter esercitare con lode la professione tipografica»;2 e in verità se egli non recò un incremento all’arte della stampa pratese, rimettendosi peraltro al parere di uomini culti e valendosi dell’opera loro, pubblicò libri utili e più corretti. Fra i quali citerò un’altra edizione del Poema Dantesco, il Malmantile, le prime Trecento iscrizioni del Muzzi, una Scelta di Novelle del Decamerone e le Vite del Blanchard, ossia il Plutarco della gioventù, in otto volumetti. La traduzione dei primi

  1. Dante, Inferno, c. III, v. 36.
  2. Archivio di Stato in Firenze, Presid. del Buon Governo, Negozi di Polizia, Filza 85, n.° interno 3434.

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