Pagina:Ojetti - L'Italia e la civiltà tedesca, Milano, Ravà, 1915.djvu/17

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nivano espulsi i gesuiti, i pretoriani cioè del Vaticano, Federico II, il fondatore dello Stato di Prussia, li accoglieva benigno come un salvatore, anche per imparare da essi a governare.

Egli imparò. Ma il suo popolo... Per vedere quanto, nonostante le apparenze, nonostante la superficiale ammirazione dei nostri dilettanti di reazione, il popolo tedesco sia rimasto quello che era ai tempi della Riforma, basta confrontare il passo del Machiavelli citato più su con questo (il confronto è onorevole) del principe di Bülow: «Al tedesco fa difetto il senso politico. I popoli dotati di senso politico premettono scientemente o piuttosto istintivamente, al momento opportuno, anche senza la pressione della necessità, gl’interessi nazionali pubblici alle mire e ai desideri particolari. È nel carattere tedesco di esercitare generalmente l’attività in particolare, di subordinare l’interesse di tutti a quello particolare, più piccino e più imminente. È ciò che Goethe constatava con la sua massima crudele spesso ripetuta: essere il tedesco valente in particolare, miserabile nel suo complesso». (La Germania imperiale, p. 134, Milano, Treves, 1914).


Il Romanticismo tedesco.


Il Romanticismo è la tipica arte d’un popolo che non ha avuto il Rinascimento. Quell’individualismo soddisfatto e licenzioso che era una degenerazione del libero esame luterano e che corrispondeva al particolarismo politico degli staterelli germanici e all’anarchia feudale riconsacrata a metà del seicento dal Trattato di Vestfalia, rimaneva sempre alla fine del settecento il precipuo carattere dell’anima e della civiltà tedesca. Quando Federico II che aveva imparato sotto Eugenio di Savoja il