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VI prefazione

buon pascolo e sano, e possono far conoscenza, tanto che basti per onorarli ed amarli, con quei nostri immortali scrittori e poeti dell’antichità che fecero dell’Italia, e fanno e faranno sempre con Dante, la prima Nazione del mondo. E impareranno ad apprezzare, se già non l’apprezzano, quella lingua in cui essi scrissero e cantarono, e troveranno giusto che non si debba dimenticare e trascurare perchè non più parlata.

Ed ora per giustificare il titolo che ho dato al volume, concluderò con alcune parole che l’autore diresse a’ suoi alunni nella prima lezione che tenne occupando la cattedra di Grammatica latina e greca nell’Università di Pisa nel 1903.

“.... io non sono così antiquato da confondere l’idea di antichità con quella di bellezza; ma so quel che tutti sanno, che nelle letterature greca e romana è in alcuni scrittori o almeno in alcuni scritti ciò che si può chiamare l’eterno, che è sempre nuovo. E così vi gioverà una esercitazione, che io farò con voi e per voi: quella di ripensare nelle lingue antiche non solo qualche prosa ma anche qualche poesia moderna. Io non voglio dir parola dell’utilità che ha tale esercizio per chi deve poi insegnare ai fanciulli. Questa utilità è sottointesa. Ma dico alto a quelli che volessero, in nome della modernità condannare questo avviamento allo scrivere e al poetare in una lingua non più atta al commercio, dico