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la poesia epica in roma 197

non è altro aedo che Achille e forse Paride1, aedo forse d’amori; oltre Thamyris Thrace (nella Boiotia, che è la parte più recente del poema) e i cantori di threnoi nei funerali di Ettore, anch’essi in parte non primitiva dell’Iliade2. Thamyris errava di corte in corte: veniva dall’Oechalia, dalla corte di Euryto Oechalieo (un valentissimo saettatore cui Apollo uccise perchè da lui sfidato all’arco); giunto a Dorio s’imbattè nelle Muse. Egli professava che avrebbe vinto esso, se pur anche le Muse cantassero, figlie di Zeus Aegioco: or quelle adiratesi cieco lo fecero, e pur il canto divino gli tolsero, e gli fecero obliare l’arte della cetra3. Ma non è dunque Thamyris di quei primi tempi, perchè prima di lui è l’aedo dell’Odyssea, Demodoco, che fu bensì privato degli occhi dalle Muse, ma ebbe il dono del canto. Nella più antica Iliade oltre Achille, cantano solo le Muse accompagnate dalla bellissima cetra di Apollo4: quelle Muse, che l’aedo incontrava nei luoghi deserti e montani, tra il sussurrìo vocale di fontane e correnti; e che gli eroi Danai sentirono

  1. Γ 54. Anche Demodoco, presso i molli Phaeaci, cantava amori: θ 266.
  2. Β 594-600. θ 224-8. 720-2.
  3. Β 599 e seg.: pare posteriore all’Odyssea, almeno agli episodi di Demodoco a una cui espressione sembra riferirsi: θ 64: «Degli occhi lo privò, ma gli dava il dolce canto». Però il luogo dell’Iliade è molto discutibile: le muse pòv 0έoav, αὐτὰρ ἀοιδὴν… ἀφέλοντο· Ε È πηρὸς solo qui: vale cieco o muto o storpio, per es., della mano necessaria alla cetra? Il senso bisogna accordarlo con αὐτάρ seguente, e, accordandolo, sarebbe: lo fecero cieco, ma gli tolsero il canto, oppure, secondo un’accezione più rara di αὐτάρ, adunque gli tolsero il canto; nel quale caso πηρόν si avrebbe a interpretare «muto» o «storpio».
  4. Α 603 e seg.