Pagina:Pisacane - Saggio sulla rivoluzione.djvu/240

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tezza degli agricoltori, la mancanza dei proprietari che consumano senza produrre, facciano languire o scemare la produzione? Sosterrebbero che le facoltà d’una società numerosa ed agiata sieno inferiori a quelle d’una misera famiglia, capace appena di quel lavoro che serve a pagare il vistoso tributo al proprietario e comperare per sè un affumicato pane? Tutto può sostenersi col sofisma; ma esso perde la sua forza quando il minuto popolo non può più sopportare i suoi mali, e rovescia la soma che soverchiamente lo grava. Queste proposte non vengono fatte a congreghe di digeritori, di persone dedite all’usura e al monopolio ovvero di proprietarii, di banchieri, di trafficanti, ma ad una società in cui la forza ha già distrutto la preponderanza di queste classi. Con la spada bisogna adeguare alle moltitudini i più sublimi: quindi la legge stabilisce l’ordine e l’eguaglianza.

II.

Il capitale, come già dicemmo, essendo proprietà collettiva, non può appartenere ad un uomo; l’appropriarsi il capitale è un’usurpazione, non così manifesta, ma simile a quella della proprietà fondiaria; tutti i capitali verranno dichiarati proprietà della nazione; il denaro potrà in parte involarsi, ma le fabbriche, le macchine rimarranno. Tutti gl’impiegati, in ogni stabilimento d’industria, comporranno una società, alla quale la nazione affida il capitale tolto al capitalista, e questa società potrà reggersi con una costituzione identica a quella stabilita per gli agricoltori.

Così trasformata e ricostituita l’agricoltura e l’industria, i mercanti che vendono in grosso si riverseranno nei depositi delle stesse società e saranno membri di esse; e soci a ciò espressamente delegati saranno i merciaiuoli che vendono al minuto.