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82 Sonetti del 1837

LA FREBBE MAGGNARELLA.1

     Quer che ssia2 l’appitito, a Ssarafino
Sta’ ccerta ch’er maggnà nnun j’arincressce.
Jerzera se sparì3 un piatton de pessce,
Che ssarebbe abbastato pe’ un burrino.4

     Lui men de tre ppaggnotte nun ze n’essce;
E lo vedessi come trinca er vino!
Naturale: ha ddu’ spalle da facchino...
È er zu’ tempo: se sa, ccarne che ccressce.

     Va’5 dd’un cosscetto6 cosa sc’è arimasto!
Che cce volémo fà? llassa che mmaggni;
Nun ze pò ttrattené: ppropio è de pasto.

     Li fijji de salute è ttempo perzo7
Er dijje abbasta:8 so’9 ttutti compaggni.10
Nun farebbeno ar monno antro11 ch’un verzo.

6 marzo 1837.

  1. Dicesi di chi mangia molto e spesso aver lui la febbre mangiarella.
  2. [In quanto a.]
  3. Si sparì: si divorò; fece sparire.
  4. [Burrini, e più spesso burini, si chiamano quei villani che, recatisti a Roma dalle Marche, dalla Romagna e da altre parti d’Italia per trovar lavoro nell’agro romano, si radunano specialmente le feste, a Piazza Montanara. Sulla probabile etimologia del vocabolo, si veda la nota 4 del sonetto: Le lingue ecc. 16 dic. 32.]
  5. [Troncamento di varda, che si usa spesso per guarda.]
  6. La coscia di un capretto o agnello.
  7. Perduto.
  8. Il dirgli (dir loro) basta.
  9. Sono.
  10. [Uguali.]
  11. Altro.