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epilogo di una storia dell’illuminazione 207


«Bella, n’è vero, codesta lucerna?... che luce tranquilla, netta, meravigliosa! Eppure è più economica di quella delle candele di sevo, con quella loro detestabile moccolaja, che pare un fungo. Così non avrete più nè a insudiciarvi di grasso, nè a imbrodolarvi di olio. Faremo anche di meno delle smoccolatoje, le quali fra breve non figureranno più che nelle collezioni archeologiche, e i tardi posteri le confonderanno con quell’arnese, col quale i parrucchieri regalano una chioma ricciuta a coloro, cui natura non donò che degli asparagi. Ecco un nuovo passo nell’industria, la quale è l’arte di vantaggiarsi dei mezzi, che, dalla creazione del mondo, la Provvidenza ha posto a disposizione degli uomini. Quale idea della Provvidenza da una parte, e dell’umano ingegno dall’altra, ci può dare la sola storia della illuminazione!...

2. » Mi sovviene con diletto dei giorni d’una vita tutta primitiva che io passai, ancora fanciullo, nei più ermi recessi dei nostri monti. Sulle sponde orientali del Lario, prima ch’ei si biforchi per formare i due rami di Como e di Lecco, si specchia nell’onde un paesello, che si chiama Dorio, paese nativo del maestro della mia fanciullezza1. Egli era si buono, che mi conduceva, durante le vacanze, a passare alcuni giorni in seno alla sua famiglia. Di là, con altri compagni d’infanzia, si saliva sui monti di Folgarolo, e vi si stava più giorni, in mezzo ai mandriani, a godere di quel cielo sì bello, a bere di quell’aria si pura. Quando il sole, tramontando dietro le brulle vette, che sorgono sulle sponde occidentali del lago, imporporava coll’ultimo raggio la punta del tricuspide Legnone2: pecore, capre, e vaccherelle, tra uno scampanellare dall’acuto al roco, con tali gradazioni, con tale melodia, che supera le più belle trovate del Rossini, si affrettavano dai noti pascoli, e, ristando col capo dimesso in atto di chi attende paziente, si assembravano dinanzi alle umili stalle. Oh! le ho qui dipinte dinanzi agli occhi quelle stalle così pittoresche, allineate all’ingresso di un foltissimo bosco, che rivestiva allora una vasta porzione del fianco del Legnone, ma caduto ora sotto la scure vandalica3, che rese ignude e deserte le mon-

  1. È un ricordo in omaggio a D. Pietro Bettega, bella intelligenza, tutta sacra da otto lustri alla educazione dei giovinetti di Lecco, ove l’autore ebbe i natali.
  2. Il monte Legnone è una delle cime più alte (2806 metri ) e il colosso più spiccato delle Prealpi meridionali, o lombarde. Sorge dietro a Colico, precisamente nel seno dell’angolo semiretto che fa il lago di Como, incontrandosi colla Valtellina. Il Legnone è detto tricuspide, dal latino cuspis = punta, perchè finisce in tre punte, o piuttosto in una punta a tre taglienti, a foggia di piramide triangolare.
  3. I Vandali (Wendes), popoli slavi, dalle rive dell’Oder e dell’Elba scesi a quelle del Danubio, nel 406 dopo Cristo invasero la Gallia (Francia) con gli Alani