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eruzione del 1631 417

strabocchevole, le sabbie e le ceneri. In breve ora il cielo era scomparso dietro la sinistra nube, che coprendo quanto si vedeva di terra e di mare, tutto risepelliva nelle tenebre della notte.

» Tale era lo spettacolo che colpiva Napoli di spavento. Imaginate voi intanto quale orribile scena dovevano presentare i paesi sparsi alla base e sui fianchi di quella montagna di fuoco! Sopra una terra che traballava, sotto un cielo tenebroso che fulminava e grandinava pietre, i poveri abitatori del Vesuvio fuggivano in preda al terrore ed alla disperazione, colla morte dipinta sul volto. Si vedevano madri che seco trascinavano strillanti nella fuga due o tre bambini a una volta: si vedevano figli che si recavano sulle spalle i genitori vecchi e paralitici.... Ma chi fu mai capace di descrivere simili scene! In un istante tutto quel golfo, ove direste si concentrino i sorrisi del cielo e della terra, quel golfo era un finimondo, un inferno, dove sembrava trionfare la collera di Dio, tra le convulsioni della natura, e la desolazione del genere umano.

» Così passò il giorno 16 dicembre, senza alcun indizio che il vulcano volesse rimettere della sua ferocia; anzi verso sera nella stessa città di Napoli le muraglie traballavano e si screpolavano, le porte e le finestre si aprivano e si chiudevano, senza che vi fosse un pelo di vento; le case diroccavano; le ceneri cadevano copiose; un odore di solfo e di bitume ammorbava l’aria.... Il popolo credeva veramente giunta l’ora suprema della giusti zia di Dio. All’apparire del giorno 17 il Vesuvio, anzichè acquietarsi, pareva raddoppiasse le ire. La cenere era così fitta che toglieva il respiro, e la notte così oscura che era impossibile guidarsi altrimenti che al chiarore delle torce. Verso le nove del mattino il vulcano, quasi a far pompa di nuovi mezzi di sterminio, vomitò dalla gola spaventevole una prodigiosa massa di acqua, che precipitossi divisa in tre enormi torrenti. La possa rovinosa era tale che le case erano sradicate intere colle loro fondamenta: e si formarono in mare delle penisole di quasi un chilometro, non altro che cumuli di rovine, che quei torrenti improvvisati venivano recando al mare. Il mare stesso, unendo le sue alle ire del vulcano, tre volte ritirossi con impeto dal lido, fino alla distanza di un chilometro, e tre volte ritornò rovinoso ad assaltare le coste.

» Erano le dieci, quando un nuovo spettacolo venne ad accrescere il terrore di chi ne era già al colmo. Tutta la montagna sembrò un istante liquefarsi. Un enorme torrente di lava incan-