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lava del 1858 423

se foste uomo capace di farlo; per loro è tutt’una: cento volte cacciati, cento volte ritornano all’assalto. La è una vera tribolazione. Oh se il Club alpino di Napoli diventasse di fatto un Club vesuviano, avrebbe molto da fare certamente, per organizzare un buon servizio di guide al Vesuvio! Ma quanti italiani e stranieri gli sarebbero grati, e quanto ne guadagnerebbe l’onore del paese! Bisogna dire però che, per quella prima volta, la fortuna ci sorridesse, facendoci imbattere in una guida la quale sembrava mi volesse dimostrare col fatto che ogni regola ha le sue eccezioni. Mi spiace di non averle chiesto il nome; e fu certamente in punizione di questa mia trascuratezza, vorrei dire ingratitudine, che, ritornando altre volte al Vesuvio, m’avvenne d’imbarcarmi così male. La nostra guida era un uomo sui trent’anni, assai bruno di pelle, e nerissimo di barba; un vero tipo meridionale. Ma al contrario de’ suoi confratelli lo trovammo garbato, discreto, facile di parole, ma niente ciarliero. Ci incamminammo a piedi con lui».

2. «Non era meglio prendere una cavalcatara?» osservò Giovannino.

«Uh! che poltrone! A chi abbia buone gambe nol consiglierei certamente. Una gita a piedi su quella maravigliosa montagna, sotto quel limpido cielo, in faccia a quella splendida natura, in mezzo a quel continuo variare di scene, una più incantevole dell’altra, una gita a piedi, ripeto, è quanto che si può imaginare di dilettevole, di estasiante. Poi pel geologo c’è tutto da osservare, principalmente per uno che vi giunge la prima volta. Quelle nere correnti di lava che giunsero al mare, ed oggi ancora fanno irto il lido di negre rupi, e tutto frastagliato a seni, a baje, che riflettono il tranquillo bagliore dell’aurora, mi avevan già messo in corpo un tal fremito, una tale smania di osservazioni, che non avrei voluto lasciarmi sfuggire inesplorato un palmo di quella montagna, ove si condensa tanta parte di ciò che il geologo ha fatto oggetto de’ suoi studî. Vi assicuro che fui ben contento di aver resistito alla tentazione di pigliarmi una cavalcatura. Si comincia ad ascendere. Dalle falde del cono fin verso la metà della sua altezza è tutto un giardino, tutto una terra promessa. Vigneti, ulivi, fichi d’India che verdeggiano fin sugli scogli più ignudi, distendendo le foglie carnose coperte di spine; àgave che slanciano esile e ritto il tronco fiorito da un cespo di foglie, che sembran fuse di getto in verde metallo: tutto è bello, tutto grazioso, tutto ridondante, tutto nuovo per chi è cresciuto ai piedi