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la salita alla vetta 427


5. «L’Osservatorio meteorologico vesuviano è un bel edificio, costrutto per collocarvi gli stromenti d’osservazione, e le persone degli osservatori. Sorge esso sopra un dorso rilevato che appartiene all’antico recinto del Vesuvio, cioè al monte Somma. Quel poggio direbbesi un’isola in un mare di lave, mentre le lave recenti l’hanno circondato da ogni parte così, che ad ogni nuova eruzione minacciano di affogarlo. Quasi tutte le moderne eruzioni infatti produssero delle lave, le quali si riversarono entro l’atrio del Cavallo, trasformandolo ogni volta in una gran valle di fuoco che, a guisa di fiume ardente, si riversa dalla parte del golfo. Uscendo dall’Atrio s’incontra l’eminenza su cui è posto l’Osservatorio. Questa eminenza figura dunque come una rupe che sorge in mezzo al letto di un fiume: quel fiume di lava si divide ordinariamente in due correnti, che passano l’una a destra, l’altra a sinistra dell’Osservatorio, portando la rovina e la desolazione in seno ai campi, ai villaggi, alle popolose borgate sparse sul pendio fra l’Osservatorio e il mare. Facendo una piccola sosta sulla soglia di quell’edificio, e volgendoci verso il mare, mentre l’occhio è rapito dallo spettacolo incantevole di un golfo, in cui si specchia la città più popolosa che vanti l’Italia, un golfo che è tutto un incanto, tutto un sorriso di terra e di cielo, non si può a meno di diventare tristi e pensosi mentre si dominano da quella stessa eminenza le vaste plaghe, ove dapprima verdeggiavano le viti e gli olivi, e biancheggiavano i ridenti paeselli, ora converse in aride secche, si numerano le ripetute non antiche eruzioni, rappresentate da altrettanti fiumi di lava, l’un dall’altro distinti pel diverso colore, o nero, o bigio, o giallastro, o rossiccio. Ma rompiamo gl’indugi, che lunga è la via che ci resta prima di giungere al cratere.

6. » Percorso quel promontorio, quasi camminando sulla spina dorsale di un grosso animale, eccoci all’ingresso dell’atrio del Cavallo, cioè allo sbocco della gran valle semicircolare, che se para il nero cono vesuviano dal suo vecchio recinto, cioè dal monte Somma che s’innalza sulla sinistra nostra, a guisa di un enorme spalto coronato di merli e di torri. Quella gran valle direbbesi un lago di nero ferraccio, gelato, mentre la tempesta ne sollevava le onde pesanti. Dopo non lungo cammino pei campi di lava, di lapilli, e di sabbia, eccoci alle falde del cono, che s’innalza a guisa di piramide, col vertice fumante.

» Quivi incomincian le dolenti note! Chi ha polmoni di cuojo e garretti d’acciajo, li tenga in serbo per quando avrà da gua-