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il nuovo vesuvio 441

mazione. Infatti i vapori che si svolgono dal fondo di un cratere e dal ventre di una montagna vulcanica, come sono caldissimi, così son anche straccarichi di sostanze minerali in diverse combinazioni, capaci, secondo le circostanze, di isolarsi o di dar luogo a cento nuove combinazioni. Ma quei vapori, strizzati attraverso le crepature e i pori stessi della montagna, arrivando alla superficie, si raffreddano e i diversi minerali si sublimano, cioè si depongono cristallizzati, rivestendo di cristallina efflorescenza l’interno delle crepature e tutta la superficie all’ingiro dove il vapore si espande. Ecco perchè trovai così adorno il cucuzzolo della fumante montagna, tutto rivestito, come dissi, di una efflorescenza più densa, più varia nelle crepature del monte, le quali brillavano come ajole di fiori nella uniformità del prato.

6. »Rinvenuto da quella specie di sbalordimento che m’aveva prodotto lo spettacolo impensato di quella miracolosa vegetazione, mi feci a cercare le forme del cono, per vedere s’io ci ravvisassi ancora il vecchio amico. Il cono fumante sorgeva più regolare, più affilato, e partendo dal vertice, invece di continuare tutto d’un pezzo fino all’Atrio, sembrava arrestarsi a poche decine di metri al di sotto della sommità, formar quindi un gradino, poi seguitare la sua mossa regolarmente fino all’Atrio e fino al mare. Insomma sembrava che nella troncatura del gran cono vesuviano fosse innestato un cono minore, un vero bottone d’innesto, a cui la pianta nutrice fa all’ingiro un anello in rilievo. Guardandomi ben bene d’attorno e richiamando le reminiscenze della prima visita, mi accorsi di trovarmi già (benchè ancor lontano dalla cima) sul labbro del vecchio cratere, precisamente là dove aveva pigliate le mosse per girarlo e discendere nella voragine. Quella voragine più non esisteva: una montagna, cresciuta nelle sue viscere, l’aveva riempita, e questo non le bastando, era cresciuta a tal punto da superare di forse cento metri il ciglio della voragine stessa. Il cono terminale che io vedeva sovrastare, mentre il mio piede già calcava il vertice del vecchio Vesuvio, era una nuova creazione. Mi ricordai allora.... ve ne ricordate ancor voi?... di quel conetto, visto la prima volta, che si levava sul fondo di quel gran tino, e soffiava e tuonava, buttando fuori scorie e lapilli. Quel cono non aveva allora che circa 30 metri di altezza, e si trovava entro quel tino quasi in un bagno. Ma a furia di soffiare, a furia di sgorghi e di vomiti aveva continuato ad alzarsi, e ad allargarsi, riempiendo l’antico cratere. Più volte la lava, sollevandosi, nè potendo più essere