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Pagina:Stowe - Il fiore di maggio, 1853.djvu/274

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— Ma, disse quel dabben uomo, e dove abitate voi?

— Allora, disse papà Morris, col volto bagnato di lagrime, fui obbligato a dirgli ch’io abitava la città di G.....„

Da quel giorno in poi a Morris non furono più involate le pesche.

In quelle parti de’ suoi sermoni, ove la logica aveva la principal azione, ei non mostrava minor originalità che in quelle abbellite dai fiori della sua eloquenza.

La sua logica aveva l’indole della famigliare conversazione, era quella specie di logica, che va sotto il braccio al senso comune, come ad un vecchio amico. Qualche volta l’animo suo si dilungava sovra alti temi di religione, in un linguaggio che, sebbene poco adorno, si innalzava soventi volte fino al sublime. Predicò una volta sul testo “Il Santo de’ Santi che abita l’eternità„ e dall’esordio alla perorazione, il suo sermone non fu che uno scambio di pensieri magnifici e solenni. Colla sua semplicità e l’ordinaria sua ardenza, colla sua voce sonora come il tuono ci parlò di Dio — del Gran Jevova — e dell’agitazione e la fralezza delle umane cose, e di que’ mondani che temono di non riuscire a nulla. Ma, soggiunse colla soddisfazione di un cuore, da cui la gioja si diffonde, il Signore non si affretta giammai. Egli fa tutto, ma ha tempo per tutto, poichè abita l’eternità.„ E la grande idea dell’infinita agiatezza a delle onnipossenti risorse di Dio, fu sempre rappresentata e sostenuta pel corso del sermone, con altrettanta forza che semplicità.

Sebbene nell’ordinario conversare, non mostrasse giammai diletto per gli scherzi e le buffonerie, pure as-