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il paradiso delle signore

diafani del mezzanino, dietro i quali si scorgeva tutta la vita interna del negozio, le parevano, per effetto di prospettiva, interminate. Lassú, una ragazza, vestita di seta, temperava un lapis, mentre, dietro di lei, due altre spiegavano dei mantelli di velluto.

Il Paradiso delle signore! — lesse Gianni col suo dolce sorriso di adolescente, che già aveva avuto un amoretto a Valognes. — Mi garba! Qui sí, che ce ne deve venire della gente!

Ma Dionisia restava tutta assorta dinanzi alla mostra della porta di mezzo. Lí, proprio all’aperto, perfino sul marciapiede, c’era un monte di mercanzie a buon prezzo, la tentazione della porta, le occasioni che fermavano le donne nel loro passare. La roba scendeva dall’alto: stoffe e lane, merini e vigogne, cadevano dal mezzanino, sventolanti come bandiere, e con certe mezze tinte grige color lavagna, o azzurro marino, o verde oliva, che erano tramezzate dai cartellini dei prezzi. Accanto, quasi a inquadrare la soglia, pendevano egualmente strisce di pelliccia, guarnizioni, la sottil cenere dei dorsi di vaio, la neve pura dei ventri di cigno, il pelo di coniglio, divenuto falsa martora e falso ermellino.

Poi, giú, in iscaffali, su tavole, in mezzo a colonne di scampoli, sovrabbondavano berrette è berrettine che si davano per niente, guanti e fisciú di lana fatti a maglia, cappucci e corpetti, tutta una mostra invernale dai mille colori, intrecciati, rigati, con macchie a sprazzi sanguigni. Dionisia vide della tarlatana a quarantacinque centesimi, delle strisce di martora d’America a un franco, e dei mezzi guanti a cinque soldi. Un immenso ammucchiamento da fiera, come se il


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