Rime varie (Alfieri, 1912)/L'America libera, odi/Ode seconda

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L'America libera, odi - Ode seconda

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XXXIII.1

Ode seconda.

Annovera i popoli belligeranti.

I.

Chi per le vie del Sol2 dalla lontana,
Terra sen vien sull’ale
Di ratto orïental salubre vento?
D’Eolo ogni altro figlio al vasto sale3
Donato ha pace; e piana
6L’onda azzurra smaltar di vivo argento4
Veggio il nocchier contento.
Vengon le Dee del mar festose tutte
In ala innanzi alle solcanti prore
Dividendo l’umore;
11Ed, a gara i Tritón le ben costrutte

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Poppe spingendo, asciutte
Quasi paion sull’acque
Sdrucciolar, cosí poco il mar ne inghiotte.5
Chi vien? qual luce inaspettata nacque
A rischiarar l’Americana notte?6

II.


Stansi in tenebre e lutto, afflitti e stanchi
Tra il servaggio e la morte,
Di libertà que’ figli generosi,
Cui, tranne il cor, tutto togliea la sorte:7
Non che pur l’oro manchi;
6Mai non l’usa virtú; ma, bisognosi
D’armi e di pan, pietosi
Già si guardan l’un l’altro, e in tacito atto
Per la patria morir l’uno l’altro giura.
Alle adorate mura
11Ove l’inopia a fine ha quasi tratto
Le spose e i figli, han fatto
Già il duro addio funesto:
Udir piangendo addomandar del pane
Suoi pargoletti e non ne aver, fia questo8
Il punto estremo di miserie umane.

III.


Or qual mai lingua dir, qual cor potría
Pensar la immensa gioia,
Che apportan lor l’alte velate antenne,9
Viste lontane in mare anzi che muoia
Del tutto il dí? Né fia
6Nemica squadra che a tal volo impenne10

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L’ali rapide: venne
Tutto il nemico già. Certo è l’aiuto,
Certo: sol dubbio è chi l’arrechi. Al lido
Con festevole grido
11Pien di vitale speme è ogni uom venuto:
Qual per letizia è muto;
Qual di lagrime irrora11
Le guance; altri i suoi figli al sen si serra,
Quasi gli abbia di nuovo acquistati ora;
Altri al provido cielo umil si atterra.

IV.


Ed è chi dice ancor: Questi chi fieno12
Liberator novelli,
Che magnanimo il piede or volgon dove
Gloria senz’util fia che sol gli abbelli?
Son forse quei che in seno
6Là di palustre terra, in fogge nuove,
Con inaudite prove,
A tirannide fero in un che all’onda
D’instancabile ardire argine eterno?
Quei che, Filippo a scherno
11Prendendo, armati di povera fionda,
La sorte ebber seconda
A lor alte virtuti?
Quelli, sí, quelli che in un mar di sangue
Lor libertà fondaro, or qui venuti
Sono a dar vita a libertà che langue.13

V.


Che parli, stolto? Esser può mai, se immersi
Entro a guadagni lordi,
Fatti immemori son di sé costoro
Sí che son da gran tempo a gloria sordi?

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Straniere a lor già fersi14
6Povertade e virtú: già il ferro in oro,
Ed in alga l’alloro,15
E capitano invitto in signor molle,
Ed unïone e forza hanno cangiata
In rea ma disarmata,
11Discordia inerte, che del par lor tolle16
Pace che guerra. Oh folle
Chi spera in lor! Mal atti
A difender se stessi, altrui fien schermo?17
No, no: quei legni che solcar sí ratti
Veggiam vêr noi, non è il Batavo infermo.18

VI.


Chi fien, chi dunque? Dagli Ibèri liti
Sciolto han l’ancore forse?....19
Che pensi? or quando mai terra sí ancella20
A libertà od a virtú soccorse?
Questi campi romiti
6Ancor pel duol di loro Ispane anella;21
Questa, già un dí sí bella
Parte del mondo, or d’abitanti ignuda,
Ne faccia fe se l’Ebro altro qui apporti
Che rio servaggio e morti.22
11Quest’è, quest’è, che in approdar qui suda
Gente lieve23 e non cruda,

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Benché non sciolta mai
Da’ regi lacci: al servir cieco accoppia
Onor verace; e in cor, piú ch’altra assai,
Di tromba al suon l’impeto primo addoppia.24

VII.


E il crederem? fia ver che un Re sottrarne
A servitude or voglia?
Re, che di ceppi apportator pur dianzi
Là dove il Côrso impavido s’inscoglia
Tanti a Stige mandarne
6Fu visto; ed ora i lor dolenti avanzi
Vuol servi tener, anzi
Che a virtute lasciarli ed a bell’opre?
Suo dispotico brando, ancor grondante
Di quel sangue anelante
11Vendetta, or fia per noi francar si adopre?25
Certo, s’egli è, ricopre
Voglie or forse non schiette
Di generoso indi26 non regio ammanto.
Deh! non fia che da lui troppo si aspette,
Sí che ritorni il riso stolto in pianto.27

VIII.


Ecco sparir già della notte il velo;
E dal Nettunio regno
Sorger col sol le desïate sarte.28
Già già chiaro si scorge il primo legno
Coll’ondeggiante al cielo
6Bianco lin cui bel giglio29 aurato parte;

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Lo spiega all’aure Marte,
Già scendon; già di vettovaglie e d’armi
Han ristorato ogni uom; già in traccia vanno
Del superbo Britanno. —
11 Ma tra questi, qual veggio eroe che parmi
Degno d’eterni carmi,
Degno di nascer quivi30
Dove libero petto e invitta spada
Porta e di sangue ostil fa scorrer rivi? —
Muse, ergiamgli trofeo che mai non cada.


Note

  1. Questa seconda ode fu composta, fino alla quarta strofe, il 22 decembre, dalla strofe quarta alla fine, il giorno dopo.
  2. I. 1. Le vie del Sol, dal levante al ponente: Dante (Par., VI, 1 e segg.):
    Posciaché Gostantin l’aquila volse
    Contr’al corso del ciel, ch’ella seguío
    Dietro l’antiquo che Lavina tolse....
  3. 4. I figli d’Eolo sono i vènti: sale per mare usò anche Dante (Par., II, 13):
    Metter potete ben per l’alto sale
    Vostro navigio....
  4. 6. Il vivo argento di cui si smalta l’onda azzurra è la scia della nave.
  5. 12-14. Dante (Purg., II, 40):
    E quei sen venne a riva
    Con un vasello snelletto e leggiero
    Tanto che l’acqua nulla ne inghiottiva.
  6. 16. Forse il Foscolo ebbe presente questo verso allorché scrisse (Sepolcri, 119 e seg.):
    Rapian gli amici una favilla al sole
    A illuminar la sotterranea notte...
  7. II. 4. Il Foscolo (Sepolcri, 184 seg.):
    Armi e sostanze s’invadeano ed are
    E patria e, tranne la memoria, tutto.
  8. II. 15. È un verso preso in parte a prestito da Dante (Inf., XXXIII, 38 segg.):
    Pianger sentii nel sonno i miei figliuoli,
    Ch’eran con meco e dimandar del pane.
  9. III. 3. Le velate antenne: cosí Fulvio Testi:
    ... Abila prescrisse
    L’ultima mèta a le velate antenne.
  10. 6. Impenne, sciolga, allarghi, come nel verso del Filicaia, nella Canzone a Giovanni III re di Polonia.
    E quei, che a’ Venti le grand’ale impenna,
    Quei la spada a te regge, a me la penna.
  11. 13. Irrora, bagna.
  12. IV. 1. Fieno, saranno.
  13. 6-16. Coloro di cui si parla in questi versi son gli Olandesi, de’ quali la storia ricorda ed esalta la fiera lotta sostenuta contro la prepotenza spagnuola: nel Filippo l’A. aveva parlato di questo generoso popolo con parole analoghe a quelle adoperate in quest’ode e ponendolo di fronte alla fosca figura del re, ne aveva fatto risplendere tutto il valore. — In un che a l’onda: gli Olandesi sono da secoli e secoli – e Dante li ricorda per questo (Inf., XV, 4 e segg.) in lotta col mare e ciò contribuí senza dubbio a formare in essi quel carattere paziente, tollerante delle fatiche, per cui sono noti a tutto il mondo. — Armati di povera fionda, di povere armi.
  14. V. 5. Fersi, si fecero.
  15. 7. Il desiderio di gloria che ardeva un tempo nel cuore degli Olandesi si è convertito nella sete di guadagno per saziar la quale essi scorrono i mari.
  16. 11. Tolle, sottrae.
  17. 13-14. Il Petrarca (Rime, CXXVIII):
    Se da le proprie mani
    Questo n’avvene, or chi fia che ne scampi?
  18. 15-16. Costruzione a senso, ma pur chiarissima: queste navi non sono dei fiacchi Olandesi.
  19. VI. 1-2. In verità, questo procedere per via d’interrogazioni, se può esser mezzo efficace contenuto entro certi limiti, finisce col diventare in quest’ode gelata retorica, tanto piú che già il pensiero dell’A. era stato espresso in identica forma per tre strofe consecutive nell’ode antecedente, con lo stesso scopo di escludere via via le ipotesi che potevano farsi. — Ibèri, spagnuoli.
  20. 3. Ancella, schiava: Var.:
    Or quando mai terra sí ancella
    Quando a virtude o a libertà soccorse?
  21. 6. Anella, catene, ceppi. Var.:
    Ancor pel duol di servitú piú fella.
  22. 7-10. Le crudeltà dei conquistatori spagnuoli nell’America del Nord sono troppe note perché le debba io ricordare. — L’Ebro, un fiume della Spagna per tutta la Spagna.
  23. 12. Gente lieve; vecchia accusa contro i Francesi, da Dante (Inf., XXIX, 121 e seg.):
    Or fu giammai
    Gente sí vana come la senese?
    Certo non la francesca sí d’assai,
    al Machiavelli che, nei Ritratti delle cose di Francia, li chiama vani e leggieri. — Non cruda; certo, in tutta l’opera dell’A. non è possibile se non nel l’ode Parigi sbastigliato, trovar parole piú benevole di queste verso il popolo di Francia: in appresso, per altro, si studiò con ogni mezzo di farle dimenticare.
  24. 15-16. Non cosí nell’Autobiografia (II, 6), dove i Francesi vengono gratificati col titolo di prepotenti e di vili.
  25. VII. 1-11. Scoppiò in Corsica verso il 1750 la rivolta contro i Genovesi che se ne erano impadroniti e Pasquale Paoli si pose a capo di essa: non avendo i Genovesi piú speranza di ricuperare il dominio dell’isola, mediante il trattato di Compiègne (13 maggio 1768), la cedettero alla Francia. Il Paoli sostenne la difesa con un coraggio di cui si hanno rari esempi nella storia e a Borgo diè anche una sconfitta ai Francesi; ma a Pontenovo, il 5 maggio 1769, fu vinto. A questi fatti si riferisce l’A. — S’inscoglia, si fortifica tra gli scogli: parola che il Poeta foggiò modellandosi, forse, sul s’imborga, dantesco — (Par., VIII, 61). — Tanti a Stige mandarne; equivale ad ucciderne. Tra il fia e il per si sottintende la cong. che.
  26. 14. Indi, e però.
  27. 16. Dante (Inf., XIII, 69):
    I lieti onor tornaro in tristi lutti.
  28. VIII. 3. Le sarte, i cordami per tutte le navi.
  29. 6. Il giglio era l’insegna della casa reale di Francia.
  30. 13. Quivi, nell’America, terra di uomini liberi.