Struttura di un film/Atto secondo

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Atto secondo

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Atto primo Atto terzo
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ATTO SECONDO


Hocmach diventa attore tragico.

Uno specchio. Sopra ad esso una lampada elettrica. Il viso di Hocmach è molto illuminato. Egli si sta truccando. Il trucco consiste in una barba lunga, bianca, divisa in due come quella di un vecchio usciere, con le sopracciglia ca­denti, le guance rosse, le orecchie ornate da orec­chini teatrali; una parrucca incipriata sulla te­sta, sul tipo di quelle che si portavano nelle corti francesi alla fine del XVIII secolo.

Come è giunto il re Lear dopo un lungo cam­mino da Shakespeare fino a... Hocmach.

Hocmach in tutta la sua maestà. E’ molto soddisfatto di sé. Porta stivali da ufficiale verni­ ciati e con speroni; pantaloni bianchi e giacca di velluto a righe.

Guardaroba misero. Vicino a Hocmach Rat­kowicz sta accordando il violino. Hocmach si rivolge al giovane:

Se oggi non dimostro che Possart non è nessuno paragonato a me... non mi chiamo più Hocmach.

Hocmach afferra il campanello e corre al sipario. Passa vicino a tre donne vestite in modo molto buffo.

Le tre figlie del re Lear.

Due delle figlie — non più giovani, sono Ebree grasse — la terza è una ragazza sedicenne. Le attrici portano come Hocmach stivali verniciati muniti di speroni. I loro ventri sono stretti da panciotti. Una di loro porta in testa qualche cosa che assomiglia a un elmo, da cui escono due trecce finte. La seconda porta un cappello [p. 12 modifica]ornato con piume. La terza figlia del re Lear — la ragazza di sedici anni — porta i capelli sciolti con sopra una corona di fiori di carta. Le Ebree anziane mangiano qualche cosa prima che il si­ pario si alzi. Passa Hocmach.

Hocmach entra di corsa sul palcoscenico, ma il sipario è ancora abbassato.

Il castello del re Lear.

Da un lato del palcoscenico c’è il trono di re Lear. Sopra ci sono ventagli giapponesi e foto­ grafie familiari di alcuni sconosciuti, per la mag­gior parte militari. Di fronte al pubblico c’è un armadio con scritti ebraici. In simili armadi nelle sinagoghe si conservano i Torà. Hocmach suona il campanello e osserva il pubblico attraverso una fessura.

Terza fila in platea. Il pubblico è composto da­ gli abitanti della piccola città di Galizia. Ci sono i chasid, vecchi in parrucche brune e papaline; giovani con basette e giovani Ebree, floride strette nei loro busti. Ci sono pure molti bambini. Un terzo del pubblico è costituito da neo­nati. I ragazzi strillano, piangono e dormono. Uno dei neonati crea particolari preoccupazioni. Improvvisamente però si calma. Il suo viso as­sume un’espressione attenta e assorta. Però il vicino della madre scatta su dal suo posto arrabbiatissimo. Le mostra la sua giacca bagnata e il lago sotto la sua sedia. La signora porta via il bambino.

Per tutta la lunghezza del teatro e del foyer la signora porta il bambino tenendolo con le braccia tese e per tutto il tempo il bambino piange e fa la pipi. La signora corre sul balcone e lo mette a sedere sulla ringhiera, alto, sopra la città immersa nella nebbia.

Hochmach continua a osservare il pubblico. Nel frattempo gli si avvicina l’amministratore del teatro. [p. 13 modifica]

Il Professor Retti è nel teatro...

Hocmach guarda l’amministratore con una espressione stupita. L’amministratore spiega:

E’ il famoso professor Retti del Conservatorio di Berlino...

Hocmach si copre con un mantello nero, con farfalle e teschi ricamati. Corre dietro le quinte in direzione del palco che si trova sul proscenio, per salutare in mezzo agli inchini il professore che sta entrando nel palco con la figlia. Il pro­fessore è vecchio, ha i capelli grigi e ricci, porta un frac. Hocmach comincia a persuadere il vec­chio:

Oggi il professore avrà occasione di vedere quanto Hocmach superi il vostro Possart...

Hocmach sparisce immediatamente. Il profes­sore stupefatto, lo segue con lo sguardo.

La luce si spegne. Il pubblico si siede, i ra­gazzi giocano fra le sedie. Hocmach avvolto nel suo mantello esce dalle quinte e si avvicina alla ribalta. Si inchina e dice:

Tra poco i cari clienti della nostra impresa, potranno vedere l’ultima trovata dell’autore e verseggiatore di New York, Shakespeare: «Il re Lear» — ovvero un simile cerca suo simile.

Hocmach conclude il discorso con un pro­fondo inchino e sparisce. Nello stesso istante si solleva la bacchetta del direttore di orchestra, fatta di crini legati con una corda di cuoio, con le sue iniziali.

Il direttore di orchestra ha una uniforme da ufficiale austriaco, ma porta la papalina. Non si muove, i suoi gesti sono invisibili, non dirige, ma fa piuttosto ad ogni musicista l’occhietto nel momento in cui deve iniziare a suonare.

L’orchestra suona. I musicisti sono seduti e hanno il cappotto. Il giovane Ratkowicz occupa un posto importante fra loro. Nell’angolo il bat­terista tedesco alza la sua bacchetta. E’ ubriaco. [p. 14 modifica]

Il direttore d’orchestra con solenne serietà dà il segnale al batterista.

Il tedesco ubriaco si getta sul suo tamburo e gli sferra un colpo fortissimo. Senza prestare attenzione all’occhietto allarmato del direttore d’orchestra, il tedesco colpisce il tamburo senza posa. Una donna dietro le sue spalle, allontana il tedesco dallo strumento. Trattiene con forza per la giacca suo marito ubriaco e lo lascia so­lamente quando deve battere il tamburo.

Il professore Retti con la figlia guarda il batterista e ridono. Ambedue sono seduti nel palco. Il vecchio si appoggia alla spalliera e ride.

L’orchestra tace. Il direttore d’orchestra fa l’occhietto a Ratkowicz. Ratkowicz suona.

Assolo.

Completa rassegnazione sul viso di Ratko­wicz; il violino; le sottili dita che corrono sulle corde.

Il professore Retti è semisdraiato sulla pol­trona, il sorriso gli muore sulle labbra. Il vec­chio si alza dalla poltrona, guardando Ratkowicz.

Assolo.

Le sottili dita di Ratkowicz corrono sulle corde.

La moglie del batterista si stringe al marito che dorme e commossa, ascolta Ratkowicz che suona.

Il professore si sporge dal palco. Non di­ toglie lo sguardo da Ratkowicz. Prende per mano la figlia.

Che cosa hai, papà?

Il vecchio è inebriato, scatta dalla sedia, canta, dirige, si sporge verso l’interno...

Come suona, come suona questo ragazzo!...

Anche Ratkowicz si alza dalla sedia. Si rad­drizza e continua a suonare. E’ trascinato dal­l’ispirazione. La sua faccia calma si è contratta e [p. 15 modifica]si è fatta pallida. Le dita scivolano velocemente sulle corde. Egli finisce di suonare.

Il direttore d’orchestra rimane con la bocca aperta e con la bacchetta alzata davanti al suo leggio.

I musicisti devono piegare la testa per poter passare dalla porta bassa. Ratkowicz piegatosi li segue. Il batterista si sveglia, rabbrividisce e batte il tamburo con una forza infernale. In quel mo­mento si alza il sipario.

Il professore esce dal palco correndo. Il frac resta impigliato nella maniglia e si strappa, ma egli continua a correre.

Il sipario rimane alzato. Hocmach melanconicamente si siede sul trono. Le tre figlie si strin­gono ai suoi piedi e guardano il padre con ammi­razione. Nell’angolo opposto stanno in ozio i cor­tigiani vestiti alla moda. Il buffone si mette a sedere vicino al trono: è un Ebreo con i capelli rossi, molto alto. Porta pantaloni a quadri ame­ricani ed un berretto tirolese. In mano tiene un giocattolo. Hocmach si sveglia dai suoi profondi pensieri ed applaude.

La cameriera civettuola, con una crestina di merletto ed un grembiulino, va verso il trono del re e gli avvicina un tavolino con una botti­glia di vino e un antipasto. La bottiglia porta un’etichetta. Tenendo il dito mignolo alzato egli si versa il vino nel bicchiere, ne beve la metà e versa il resto sul pavimento. Immediatamente arriva la cameriera.

I musicisti chinandosi, si dirigono verso l’usci­ta attraverso uno stretto corridoio. Entra con impeto il prof. Retti e afferra Ratkowicz per il bavero.

Chi è lei?... Da dove viene?

Ratkowicz guarda il vecchio con meraviglia. Il professore Retti lo scuote sempre più forte.

Chi è stato il suo maestro? [p. 16 modifica]

Ratkowicz si piega su di un fianco timida­mente.

Io... io... studiavo dal rabbino Zelman a Dzirzanòw, Wolynia.

Il frak del vecchio si è aperto completamente. Il vecchio stringe nervosamente la mano di Rat­kowicz, lo abbraccia, lo carezza sulla spalla.

Suona, suona per me, bambino mio...

Ratkowicz si guarda intorno perplesso, il di­rettore d’orchestra ossequiente fa un segno d’af­fermazione. Il ragazzo si porta il violino al mento.

La tragedia del re Lear è in pieno svolgi­mento. La figlia maggiore, di cui si vedono le stecche del busto, comincia a ballare davanti al re. Balla con passione. I cortigiani applaudono e cantano come durante i matrimoni ebraici. Ma improvvisamente uno dei cortigiani — con co­ razza e tuba in testa — si permette di compiere un’incredibile sfacciataggine: dare un pizzico sul petto alla principessa. Hocmach lo ha visto. Egli tira fuori la spada e si getta contro l’imperti­nente. Il duello è sanguinoso. Il re e il cor­tigiano danno spettacolo.

Il professore Retti è seduto nell’angolo dietro la quinta su un cavo bobinato ed ascolta, con la faccia tra le mani, la musica di Ratkowicz. Il ragazzo finisce di suonare. Il vecchio scopre il volto commosso. Balza su dal suo posto, e af­ferra Ratkowicz per la mano, lo trascina verso il grande calendario, stile ufficio, attaccato alla parete. Si vede la data: 19 agosto, giovedì, 1909. Indicando il calendario il vecchio dice:

La voglio come alunno e le giuro che fra tre anni lei sarà un grande artista...

Il calendario. Una mano alza lentamente le pagine e le volta.