Trattatelli estetici/Parte prima/III. Grazia, eleganza, smorfia e affettazione

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Parte prima - III. Grazia, eleganza, smorfia e affettazione.

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Parte prima - III. Grazia, eleganza, smorfia e affettazione.
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III.

GRAZIA, ELEGANZA, SMORFIA
E AFFETTAZIONE.

Anche la bellezza può non piacere; e quando non piace, che cosa le manca? La grazia. Che cosa è ella mai questa grazia? Non direbbe forse male chi la chiamasse l’anima della bellezza. Del bello si possono per certa tal quale maniera dichiarare i confini, le proporzioni, appunto come si fa dei corpi, ma della grazia non è possibile parlarne con tanta precisione. Appena appena ci sarà dato intenderne alcuna cosa per via di confronti, appena appena indicare alcuna fra quelle note che le sono proprie. Certo è ch’essa parla più sensibilmente e più efficacemente della bellezza, e l’anima intende fino all’ultima sillaba di quel muto linguaggio. Non è dunque senza ragione e senza utilità che ci occupiamo con qualche amore in questo argomento.

Altro è grazia, altro eleganza. È necessaria questa distinzione, trattandosi di cose che possono essere assai facilmente scambiate una per l’altra. Non siamo primi a notare questa differenza; ci studieremo tuttavia nel ripetere le [p. 301 modifica]trui osservazioni di non essere tuttaffatto gazze, che nulla aggiungono e nulla tolgono a quel tanto onde furono indettate. La grazia è cosa più naturale che non è l’eleganza, e per conseguenza può taluno farsi elegante, na sarebbe fatica gettata che s’industriasse a diventare grazioso. La grazia è qualche cosa di più intrinseco, di più immedesimato con noi stessi, l’eleganza resta, come a dire, al di fuori, e si limita agli esteriori adornamenti.

Passiamo agli esempi. Vi parrebbe che si potesse dire un’occhiata elegante? Un elegante sorriso? Bensì con tutta proprietà chiamereste quell’occhiata e quel sorriso graziosi. Dite il somigliante di un gesto, di una qualsivoglia altra movenza della persona. Quando udite di una signora ch’ella è elegante, non vi si presentano subito al pensiero l’esteriorità tutte del suo abbigliamento? All’incontro quando udite ch’ella è graziosa, non correte subito colla fantasia al suo discorso, alle sue maniere, a tutto ciò in somma ch’è particolare a lei sola, e in cui non hanno parte ne la sartora, ne la crestaia?

La grazia viene in soccorso dell’eleganza, e similmente dall’eleganza è aiutata la grazia. Ma è da notare che alla grazia non manca presso che mai l’eleganza, questa molte volte si vede scompagnata da quella. E donde ciò? Appunto per venirci la grazia da sola natura, l’eleganza potersi in qualche guisa acquistare. Chi ha il dono [p. 302 modifica]della grazia ha il sentimento dell’eleganza, di cui la grazia potrebbe chiamarsi il compimento. Una graziosa signora non sarà mai inchegantemente abbigliata. Qui s’intende di quella eleganza generale, che non dipende dalle accidentalità dei tempi o delle opinioni, e nel giudicare della quale concorrono tutti i gusti.

Ma chi giudicherà della grazia, chi dell’eleganza? Di questa il gusto, di quella il sentimento. Questo ancora deriva da quanto abbiamo premesso. Il gusto è deputato a giudicare di ciò in cui entra l’arte; a giudicare di qualità naturali non è bisogno di gusto, e basta il sentimento proprio di tutti gli uomini. Si domanderà forse, onde avvenga che anche nel giudicar della grazia accade di ritrovare una qualche discrepanza di opinioni. Al che rispondiamo che molte volte grazia ed eleganza sono in tal modo inviscerate una nell’altra, da non potersi ragionevolmente distinguere a quale di loro la diversità de’ giudizii si riferisca. Molte volte ancora crediamo spontanea voce del sentimento ciò ch’è conseguenza di alcuni principii ai quali abbiamo conformato il nostro gusto.

La grazia diminuisce o rende tollerabile un’ imperfezione, l’eleganza può invece renderla più spiacevole e farla maggiormente apparire. Un difetto confessato con grazia può ottenere facilmente perdono; il dipingerlo con eleganza lo rende forse più schifoso, e la manifestazione diventa [p. 303 modifica]un insulto. Ciò che ci viene da natura porta in sè una tacita scusa di molta forza per chi abbia buon cuore e retto giudizio, e la grazia, prerogativa affatto naturale, come s’è detto, imprime questo carattere negli oggetti intorno ai quali si aggira. L’eleganza abbellisce, e provoca per conseguenza il nostro buon gusto, che in molti casi non altro significa fuorchè la nostra malignità, e il cercar modo di segnalare la nostra accortezza nel non lasciarsi vincere dagli artifizii, e nello spingere più là che possiamo le nostre presunzioni.

A questo punto sarà facile intendere che la grazia si fa amare, l’eleganza ammirare. Il diletto che deriva da quella è più durevole e intenso, da questa procede un diletto più passaggiero e superficiale. Può avervi una condizione d’animo, una stagion della vita in cui l’eleganza ne venga a noia; la grazia giugne sempre opportuna. Le diverse età, i diversi stati, domandano grazie diverse; ma ce ne hanno per tutte e per tutti. Anche un rimprovero può esser fatto con forme eleganti, ma irrita un animo che sia naturalmente gentile ed intelligente.

Tutti abbiamo sortito da natura, qual più qual meno, una disposizione alla grazia. Basterebbe che ognuno di noi operasse secondo natura ad essere sotto certi rispetti graziosi. Perche i fanciulli Ci sono così cari? Auche per questo, che quanto da essi si fa e fatto naturalmente, e quindi con [p. 304 modifica]grazia. Ma certi principii mal posti, e peggio praticati, corrompono in noi il primo germe delle primitive inclinazioni, ci fanno operare a ritroso e fuor di natura, e quindi sempre spostati, sempre violenti, pensiamo col cervello d’altri, prendiamo a prestito le altrui parole, nulla abbiamo in noi che ci sia proprio, e quindi nulla abbiamo che possa veramente chiamarsi grazioso.

Oltre la facoltà di pensare e operare con grazia c’è anche quella di rimanere più o meno impressionati dagli oggetti graziosi. Una facoltà può dirsi all’altra gemella. Quante grazie cadono inosservate per colpa di chi non sa vagheggiarle! Anche in questo lo studio dell’eleganza può apportare gran danno. Siccome l’uso immoderato di certi cibi e di certe bevande rende il nostro palato inetto a gustare i blandi sapori delle vivande e dei vini più confacenti alla nostra salute, così il soverchio studio dell’eleganza ne fa diventare indifferenti ed ottusi alla grazia. Fortunato chi mantiene difesa dalla contagiosa influenza di certi esempi la propria anima! Quanti piaceri gli sono apparecchiati da assai tenui cose!

La grazia può ella stare colle passioni? Senza dubbio; il che non può dirsi certamente dell’eleganza. Anzi dov’entra eleganza, ivi potete dire assai francamente non avervi passione. È graziosa la malinconia, è grazioso il pudore, ma più di tutto è graziosa l’innocenza. Anzi potrebbe dirsi [p. 305 modifica]ch’ivi non è vera grazia ove non è innocenza. Dopo questo sarà facile giudicare fin dove esser possa grazioso il sorriso. L’eleganza s’innesta anche al vizio. Può avervi eleganza in una calunnia; provatevi, se vi dà l’animo a farla graziosa. Una poesia poco decente potrà chiamarsi elegante, non crederei di poterla chiamare graziosa.

Egli è da por mente che la grazia non cangi natura e non diventi smorfia, appunto come l’eleganza può diventare affettazione. Nulla può avervi di tanto malagevole quanto il segnare l’ultima linea oltre la quale non è conceduto passare, chi di grazioso non voglia mutarsi in ismorfioso. Avvertano bene, le donne singolarmente, per le quali sembrano fatte le grazie, a non creder tali le smorfie. Lo stesso gesto, lo stesso inchino, la stessa rivolta di capo, che in Felicita è grazia, è smorfia in Aspasia. Chiamati a scegliere tra smorfia ed affettazione, per poco non diciamo quella essere peggiore di questa.

Lo spirito d’imitazione, che dà origine a tanti lagrimevoli errori, cagiona eziandio la più parte delle smorfie e delle affettazioni. Quanto dispetto ne prendo al veder ricopiate certe attitudini, certi movimenti, certe foggie di discorso tutte proprie di tale o tal altra persona! Illusi breve ora dalla rassomiglianza, ci lasciamo andare ad una piacevole commozione, quando un minimo che discordante dal tipo che portiamo nell’ani[p. 306 modifica]ma, ci fa avvertiti del nostro inganno; e dove ci sembrava a principio aver trovato la grazia, ne si affaccia la sinorfia bruttissima in quella vece. A rimanere piacevolmente impressionati da quel cotal rientramento di labbro, conviene che sia quel labbro e non altro; a sentirsi percossi nell’anima da quelle cotali repentine alzate di voce, la vuol essere quella voce e non altra; se non è quella mano che racconci i capelli in quel cotal modo, se non sono quelle ciglia che in quella cotal foggia si corrughino quasi a meditazione, questi atti saranno smorfie e non altro, e in luogo del cara, che apertamente o sotto voce siamo tentati di pronunziare, ci verrà sulla bocca chi sa mai qual altra parola.

Quando il nostro discorso volesse riferirsi agli scrittori e agli artisti, la verità dei principii finora esposti si farebbe assai più sensibile. Ciò che finora avrà per avventura potuto sembrare assai frivolo, acquisterebbe importanza e dignità anche agli occhi de’ meno indulgenti. Ma noi, paghi di aver tracciata la via secondo la quale possono farsi molte utili applicazioni, lasciamo ad altri la cura di farle. Consiglieremo bensi in generale quanti vivono, uomini e donne, a non isforzarsi di comparire graziosi, ma paghi di quanto fu loro conceduto da natura, studiare invece di ornarsi di una conveniente eleganza. E quauto agli smorfiosi, siccome anche in letteratura ce ne hanno, li preghiamo a non volere [p. 307 modifica]considerare con troppa severità queste nostre riancie, se mai si avvisassero che la miglior via a farsi riputare sapienti quella si fosse di censurare come le altre azioni così ancora gli scritti del loro prossimo. Quanto saremo loro obbligati se vorranno in vece mostrarsi graziosi, anche quando credessero che non ci fosse riuscito di dettare elegantemente!