Trattatelli estetici/Parte prima/VI. L'oscurità

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Parte prima - VI. L'oscurità.

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VI.

L’OSCURITA’.

Nei giudizii che ordinariamente si pronunziano sopra tale o tal altra persona è frequentissimo questo modo di esprimersi: non l’intendo; mi ha del misterioso; chi l’indovina? Quando trattasi di scrittore similmente si dice con grande facilità: è oscuro; ci sarà del buono, ma non si capisce; bello, ma non per tutti. Chi sentenzia di tal maniera gli uomini e le loro produzioni assolve sè stesso dalla noia e dalla fatica di [p. 319 modifica]render conto delle proprie opinioni, dacchè tanto è dire non intendo, quanto non sono obbligato a disputare sopra questo argomento. Ho conosciuto certe coscienze stranamente scrupolose, alle quali sarebbe sembrato un gran male il profferire veruno espresso giudizio circa i loro fratelli, quando non avevano rimorso alcuno di conquidere con una sentenza indiretta la loro fama. Il modo onde giovansi questi cotali egli è appunto di chiamare misteriose le persone e le opere, ciò ch’è in apparenza dir nulla, e dir tutto in sostanza. Come vive il tale? - Davvero non saprei dire; la condizione sua mi è un mistero. Lascio pensare a chi ha discrezione d’intelletto, quali conseguenze derivino da siffatta risposta. Come può essere che Camillo sia amico a Fulgenzio? - Nessuno l’intende ed io meno degli altri. Povera amicizia di Camillo e di Fulgenzio, fatta soggetto di mille sinistre interpretazioni! Ma riduciamoci, com’è nostro costume, a parlare di soli gli scrittori. L’applicazione di quanto diremo ad altri argomenti che non siano letterarii è pianissima: e può essere fatta da chicchessia se ne voglia prendere una piccola briga.

Quando io leggo un libro e non l’intendo, do dell’asino a me solo; rileggendo e durando tuttavia l’oscurità, divido l’asinità per eguali porzioni fra lettore ed autore; fatta la terza lettura infruttuosamente, rigetto tutto il carico addosso a chi scrive e non ha l’arte di farsi capire. Que[p. 320 modifica]sto aforismo di un bravo uomo de’ nostri tempi suppone però sempre le cognizioni necessarie a ben intendere, nè vuole che a chi non ha letto in tutta sua vita che i drammi del Metastasio sia conceduto licenza di pronunziare giudizio intorno a qualche luogo della Divina Commedia. A certi cibi occorrono stomachi proporzionatamente robusti ed esercitati che possano digerirli. Oltre a questo è da notare che anche il nostro bravo uomo intendeva necessarie a proferire giudizio le tre letture. Quante ne fanno ordinariamente quelli che chiamano oscuro tutto quello che non intendono? Sarebbe rarissimo il caso che, al solo sapere essere la composizione lavoro di tale o tal altro scrittore, la giudicassero oscura, prima ancora di avervi messo l’occhio sopra? C’è ragione a supporre che questo accada, tutte le volte almeno nelle quali prima ancora di aver attinta la prima parola, intuonano quasi fra denti quella loro antifona: purchè s’intenda! purchè non sia una delle sue solite!

Ma lasciamo alquanto stare le generalità, e vediamo se ci siano alcune ragioni da assegnare pro e contro agli scrittori ai quali è data comunemente taccia d’oscuri. Non saprei negare primieramente che fra quelli ai quali il genio, l’abitudine, o la necessità mettono fra mano la penna, non siano più che troppi coloro, il cui discorso farebbe giustificata l’orribile definizione di esso data da uno de’ più singolari e più fu[p. 321 modifica]nesti intelletti del nostro tempo, che lo chiamava velo al pensiero. E per verità, dopo ch’essi hanno cianciato e cianciato, ne sai meno di quando non avevano per anco aperto bocca, con soprappiù di alcune idee contradditorie o dissonanti che si rimescolano nel tuo cervello come le onde di un mare in burrasca. Altri credono spacciarsi con questa bella frase: eh! so ben io che mi voglia dire, ma non so spiegarmi. Io rispondo sempre a questi cotali, o apertamente o nel mio secreto, secondo i casi: chi non sa spiegare agli altri il proprio concetto, non ha in sua mente concetto veruno. Ancora ho veduto essere a moltissimi cagione di non farsi intendere il desiderio soverchio che hanno di essere intesi, e quel loro sopraccaricare di ornamenti il pensiero per modo che rassomigli a persona, la quale, avviluppata entro vesti soverchiamente addoppiate e pesanti, ne rimanesse soffocata. Ci sono anche di quelli fra gli scrittori che non badando punto all’importanza che ci ha dell’essere intesi, non si mettono per nulla ne’ panni de’ loro siano leggitori o siano ascoltatori, e presumono che certe circostanze e particolarità siano tanto bene note e presenti alla mente degli altri, quanto sono ad essi proprio. E dovrebbero pensare che assai rare volte succede che la cosa stessa faccia il medesimo colpo in due persone diverse, e sia considerata pel medesimo verso; accadendo in vece presso che sempre, che ciò che è coda per talu[p. 322 modifica]no, per tal altro sia capo, e così del contrario. Al quale proposito mi è piaciuto moltissimo ciò ch’ebbi a leggere intorno alla forza delle parole in un critico de’ nostri tempi. Non ci ha, diceva egli, due cervelli di ascoltatori o di lettori pei quali una stessa parola abbia il medesimo significato. Prendete pure le parole di significazione più certa, e più universalmente intesa. Prendete la voce oro, a cagion d’esempio. Qual solennità non ha essa del tutto opposta, chi voglia ascoltarla in persona di un usuraio, o chi invece di uno scialacquatore? Qual concomitanza d’idee affatto opposte non sarà dessa per risvegliare? E ciò che dicesi della differenza fra persona e persona, deve ragionevolmente essere inteso anche fra secolo e secolo, fra nazione e nazione. A tutto questo dovrebbe por mente chi scrive, ed accoppiare per quanto è possibile, al significato corrente delle parole, per cui possano essere ricevute nella giusta loro misura dalla generazione che vive, il loro presumibile significato futuro per cui possano giugnere meno languide e deformate alle generazioni avvenire. Queste e molte altre cose possono esser dette a chi scrive, ma ne vogliono esser dette in egual quantità anche a chi legge.

È ella poi una bella giustizia ch’ove lo scrittore si gratta la zucca, e si rode l’unghia a cercare come meglio dar veste e colore ai proprii concetti, il lettore possa giudicarne sopra pen[p. 323 modifica]siero, e le molte volte sprovveduto affatto di quel tanto che occorre all’intelligenza? A giudicare, dice una moderna commedia, egli si conviene almeno sapere di che si tratta. Ma davvero che minor rettitudine di giudizio ci ha spesse volte in certi sentenziatori di libri, di quello si trovi nel giudice parodiato nella commedia. Quando scrivete, dice taluno, dovete farvi intendere. — Verissimo, ma da chi può intendere. Se avete gli organi visivi malignamente infusi dal giallo dell’itterizia, sarà colpa del pittore che non veggiate il roseo ch’egli seppe distendere sopra quelle che volle sembrassero carni? Un’altra graziosa scappatoia de’ nostri sentenziatori la è questa: oh gli scrittori classici non duro fatica ad intenderli ! - Davvero? E sia; ma contate per nulla lo studio che per tanti anni da voi e da altri s’è fatto sopra que’ classici che a voi sembrano tanto piani? E non credete che facciano punto contro la vostra proposizione que’ comenti farraginosi, che vanno in coda di ciascheduno? Ne certamente può dirsi che tutti e sempre i comenti sieno grama fatica d’ingegni puerili. Badate ancora al bivio crudele in cui trovasi lo scrittore, o di darmi motivo a chiamarlo oscuro, o di provocare lo sbadiglio, e guadagnarsi la taccia di soverchiamente prolisso. L’ommissione di un’idea intermedia dà al discorso quella forza che vi soggioga, quella vivacità che incatena la vostra attenzione. Dite il medesimo dello stile: [p. 324 modifica]egli è appunto l’uso insolito di quel verbo, lo scambio di quella particella, o tal altro artifizio, che a voi sembra difetto, ciò che rende gagliarda, spedita, effettiva la narrazione. Non intendiate per questo che io voglia farmi il panigirista dell’oscurità; non ho mai amate le nuvole, e, sia il sole o la luna, mi piace vederli nel loro splendido aspetto e soave, quali furono creati a fecondare la terra, e ad allettare il riposo ai viventi.

Ma che vo cercando esempi e ragioni nelle scritture? Fate un poco di studio nel conversare ordinario. Ci sono pure di quelli ai quali non viene mai fatto di esprimere netta un’idea, ma ci sono eziandio di quegli altri il parlare coi quali è con profitto minore di quello si avrebbe a venire a colloquio coi sassi. Ho toccato di questa materia alcun poco nell’Espresso e nel sottointeso; nè voglio che mi diciate che io torni a ripetervi noiosamente la stessa canzone le mille volte. Il fin qui detto è bastante a chi voglia giudicare con qualche giusta lentezza ciò che altri ha dovuto lentamente comporre; a coloro cui sembrasse ciò fuor di ragione farei sicurtà che non sapranno forse trovare alcun’altra guisa di critica più difficile ad essere contraddetta, e dove più agevolmente apparisse la squisitezza del loro gusto, quanto il dannare d’oscuro tutto che leggono, fosse pure candore di neve, e luce di mezzo giorno. Chi oserebbe dir loro che [p. 325 modifica]l’ignoranza non fa giudizio? Potrebbero ribattere l’obbiezione degli avversarii accagionandola di quella che detta è dai logici petizione di principio, frase un po’ oscura ancor essa, non tuttavia tale che non possa esser posta ultima in un discorso sopra l’oscurità.