Trattatelli estetici/Parte seconda/VIII. Abuso di alcune parole

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Parte seconda - VIII. Abuso di alcune parole.

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VIII.

ABUSO DI ALCUNE PAROLE.

Quelli che non sanno punto leggere, e poco sanno parlare, trovarono una maniera assai comoda di palliare la loro ignoranza, e palliarla per modo che i meno esperti fossero tratti molte volte a pensare che si celasse la sostanza del sapere colà ove non c’era più che l’odore. It secreto di questi tali sta tutto nell’uso di alcune parole che hanno un bellissimo suono, e pronunziate con fronte sicura non possono a meno di mettere in qualche esitanza i cervelli di chi le ascolta. A volere tutti ricordare i vocaboli che giovano a questo fiue la sarebbe fatica assai lunga perchè è da notare che tali vocaboli variano di significato e d’importanza secondo variano le condizioni delle persone da cui sono pronunziati, e quelle dei luoghi e dei tempi. Mi contenterò di accennarne alcuni soltanto, ripromettendomi dall’ingegno de’ miei leggitori, che sia fatto ragione da pochi a giudicare degli altri tutti, che la brevità necessaria a’ miei articoli m’impedisce di annoverare.

Si discorrerà, a cagion d’esempio, d’uno scritto testè venuto alla luce; chi lo considera per [p. 51 modifica]un verso, chi per un altro; ma eccoti una voce che taglia ogni quistione con dire: è troppo metafisico. A questa parola, come fosse una formula d’esorcismo, i giudizii rimangono interrotti, e tutti gli occhi si volgono a guardare chi l’ha pronunziata. Sarà probabilmente una ciera arcigna di cattedrante, che invecchiato tra le sottigliezze della dialettica, si turba al trovare, in forza dei tempi, insinuata l’astrattezza de’ragionamenti nelle questioni più ovvie e più dozzinali. No signori, la è una signorina che ad ogni girare di capo diffonde un profumo di muschio da eccitare lo spasimo nei nervi più sofferenti; una signorina che legge quel tanto di tempo che le è necessario ad attendere la crestaia, e quei libri soltanto che possono agevolarle la conversazione serale. Ma che cosa intende per metafisica quella signora? Qui sta il buono! Non che le cuffie, e le sciarpe non abbiano anch’esse la loro metafisica; anzi credo che quelli delle sarte e delle crestaie siano lavori metafisici in grado superlativo, e nel significato più stretto della parola; ma siccome l’applicazione de’ principii medesimi a soggetti che, quantunque ne siano suscettivi, sono tuttavia assai disparati fra loro, è senza dubbio una delle più ardue operazioni del nostro intelletto, non sarà un offendere troppo duramente l’amor proprio della signora, se crederò ch’essa, abilissima a discernere i punti più minuti delle sue blonde, non [p. 52 modifica]sia provveduta di eguale acconcezza a cogliere quelli di un sillogismo. Che va ella dunque dicendo che uno scritto sia poco o troppo metafisico? Ma per metafisico la buona signora intende inintelligibile, o non facilmente intelligibile. Dire: non capisco, ovvero: non capisco che a grande fatica, non è confessione troppo piacevole a farsi; quindi si dia mano a una frase, ch’io chiamerei empirica, o ciarlatanesca come si voglia, e si dica: quello scrittore mi dà nel metafisico. La vergogna è riversata in capo allo scrittore, e la signora ci scrocca d’avanzo la riputazione d’ingegno pronto e vivace, che non ama di perdersi fra le inutili spinosità della scuola. E basti di questo.

Ne volete un altro? Entro una sala dove si stringono in discussione molto accanita due parlatori. Capperi! Si tratta niente meno che della preferenza da accordarsi a Tizio in confronto di Caio, che hanno voce ambidue di abilissimi professori nell’arte loro. Una buona anima, che ha la sciagurata imbecillità di supporre che il piantare alcuni principii e da questi dedurre alcune conseguenze sia il mezzo più opportuno a persuadere una qualche verità a chi vi sta ad ascoltare, si affatica con ogni suo ingegno a dimostrare all’avversario la incontrastabile superiorità di Tizio, ma quegli che tiene per Caio esce in queste parole: oh quanto a me non mi perdo in tanti discorsi, un poco d’inspirazione [p. 53 modifica]mi vale ogni più lambiccata teorica. A questa parola inspirazione mi volgo a guardare chi l’ha pronunziata. Chi credereste che si fosse quel tale? Forse un uomo, che, avendo sortita dal nascere una condizione di membra e di umori traenti all’ipocondriaco, custodisce il sacro fuoco del genio nelle sue viscere, come l’avaro fa del tesoro, e, contemplando gli oggetti tutti che lo circondano con occhio d’innamorato, riceve da essi le più squisite impressioni che siano capaci di cagionare? Oh come male vi apporreste! È un cotale che stuzzica il genio arruffandosi il ciuffo, o sferzando l’aria colla canna; che si sdraia sopra un sofa inspirando non so che cosa che tiene un po’ della stupidità, e un po’ della noia; o si leva sulla punta dei piedi a guardare in una festa di ballo una maschera al di là della folla che gli si accalca sul petto. Non che l’inspirazione non venga anche ad una graffiatina di capo, ad un odorare di fiori; sopra un sofa parimenti che in cima ad una collina; sempre e dappertutto; ma no certo colle disposizioni dell’animo e dell’ingegno di quel contendente che fa per Caio. Inspirazione è parola che non ha significato per esso, o vuol dire il suo gusto particolare, o meglio la vacuità di ogni gusto. Egli per altro la trova dappertutto, e sempre che vuole, questa sua inspirazione: vedete con chi ne fu liberale madre natura! La trova in un velo più o meno rialzato, in una scarpa più o [p. 54 modifica]meno assettata. Non che la non ci possa essere auche quivi: ma egli trovarla? Egli? Perchè non dice piuttosto: quanto a me, non so nemmeno io ciò che mi voglia, ma quello che mi voglio intendo che debba essere ad ogni modo la volontà di tutti. Gli si riderebbe in faccia, e quindi viene a dire lo stesso con altre parole, e abusa il sacro vocabolo d’inspirazione, a quella guisa che la signorina l’altro di metafisica.

Ho accennati sinora due soli di questi modi di dire adoprati negli ordinarii discorsi, ed opportunissimi, come s’è detto, a nascondere l’ignoranza sotto pompose apparenze: pure questi due soli da me finora notati possono essere misura a ben giudicare di molti altri. Cosa che fa o non fa effetto, uomo che ha o non ha mondo, e altre tali sono tutte frasi della stampa medesima delle surriferite. Abbiamo in un altro articolo toccata la ridicolosità di quelle maniere usate si spesso; parla come un libro stampato, canta che sembra un organetto, e via discorrendo; entrano anche queste nella universale categoria delle frasi adoperate da chi non sa nè pensare, nè scrivere, nè parlare a dovere, e si ravvolge nella nebbia di voci di perplessa significazione, come i numi di Omero, a cansare le punte della critica saettatrice. Se vogliono questi signori continuare nel loro costume di mandar fuori la voce, senza badar più che tanto, facciano almeno grazia alla buona memoria di quel [p. 55 modifica]loro confratello morto di fresco - saranno forse tre anni che leggendo qualche poesia, come questa gli andava più a sangue, rompeva nella esclamazione seguente: Oh bella! veramente bella! ti sembra di leggere della prosa! Oh meritassi che quando questi tali si fermano sopra i miei articoli sembrasse loro di leggere della poesia!