Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/122

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     Che pianto fora il tuo, tu, che sì avversa
A me vi mostri, perchè irsuto ho il mento,
E folto il ciglio, se dove si versa
Più largo il fiume, e corso ha cupo o lento
Un giorno ti sentissi alto sommersa,
E data in preda a cento mostri, e cento?
A cui le fronti orride corna, e insieme
Di carne una gran selva ingombra, e preme.

     In mezzo il Tebro del gran fondo abbraccia
Ampi spazi col ventre, e con le spalle:
Li cui gran piedi, e le distorte braccia
Alberga or questa ed or quell’altra valle:
Caggion dal mento, e da l’ondosa faccia
Fiumi, che ei porta con obliquo calle;
Fin dove ci bagna del figliuol di Marte
L’antiche mura, e il suo tesor comparte.

     Nè tra gli armenti di Nettuno alberga
In vista mostro sì superbo, e Foca
Quando Proteo, che tien di lor la verga,
Li conta, e poscia per dormir si loca:
Ed or in acqua par, che si disperga,
Or arbore diventa, or tutto infoca:
E perchè girli appresso altri non prove,
In varie forme si trasforma, e move.