Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/121

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     Troppo credi, e commetti al torto lido,
E spesso scendi a contemplar quest’acque,
Nè ti sovvien del gran pubblico grido,
Che Marte costà su con Ilia giacque:
Da indi in quà non fu sicuro, o fido,
E nuovi inganni ordir sempre li piacque:
Dunque fuggi dal lido, e l’onda sprezza,
Nè ti furi da noi falsa vaghezza.

     Il Tebro, l’asta, e il mal gradito scudo
Vide restarsi con vergogna in terra:
E senza arnese riconobbe ignudo
Lui, che di sangue sol si pasce, e guerra:
E perchè fia di cor selvaggio, e crudo,
Pur da lui vinto, che ogni altezza atterra,
A dui lumi l’udì far di se dono,
E voce dar senza intelletto, e suono.

     E acciocchè spesso da la greggia errando
Ivi qualche monton per doglia tresche,
E come amor lo tien di pace in bando
A far nuova battaglia si rinfresche,
Così getta ne l’acque altri cozzando:
Del fiume Tirsi il suo anco ripesche;
Ecco, che i velli secca umido tutto,
Cotal di troppo ardir si miete frutto.