Pagina:Poemetti italiani, vol. I.djvu/120

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     Lascia Ninfa gentil le sponde erbose
Stringer a l’acque, e quelle girsi al mare,
E le piaggie vicine alme, e vezzose
Vieni col vago aspetto a rallegrare;
Quivi le piante più, che altrove, ombrose,
E l’erba molle, e ’l fresco dolce appare:
Ma mentre tardi quanto apre, e rinverde
Tutto col suo tardar si secca, e perde.

     Quivi tra verdi frondi, e rivi amati
Sussurrar s’odon l’api a mille a mille:
E da le siepi a gli alvei lor cavati
Portano sughi, onde poi mel ne stille,
Ridono i campi, e in mezzo i verdi prati
Ogni tenero fior par, che sfaville:
E perchè dolcemente altri sempre ami,
L’acque parlan d’amor, e l’oca, e i rami.

     A te di bei corimbi un antro ingombra
E folto indora d’Elicrisi nembo
L’Edera bianca, e sparge sì dolce ombra,
Che tosto tolta a le verd’erbe in grembo
D’ogni grave pensier te n’andrai sgombra:
E sparso a terra il bel ceruleo lembo,
Potrai con l’aura, ch’ivi alberga il colle,
Seguir securo sonno dolce, e molle: