Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/74

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vero che nè manco la poesia del nostro tempo è senza vernice.

È un caro ripensare al trecento! la nostra letteratura, se vuolsi, era letteratura di cronache e di leggendarii; ma in quelle cronache e in que’ leggendarii quanto ribollimento di passioni gagliarde, quanta nobile semplicità di costumi E lo stile? Altro ci vuole a sconcettarlo che notare il prusor ed il chente! Fatene un poco riscontro colla rettorica lambiccata del cinquecento! Era ben dessa la nostra letteratura in quel primo secolo l’Ercole della favola che strozza in culla i serpenti; o, come altri disse, la Minerva che balza armata di tutto punto dal capo di Giove. Un poema, ed un uomo solo ci aveano tolti alla barbarie e sollevati a maestri d’ogui nazione. Quel poema comprendeva le più importanti storie patrie, s’infiammava al fuoco di una religione vivente, era sacro e politico ad un tempo, e l’uomo che lo cantava, esule dalla patria, mangiava alla mensa de’ principotti del bel paese il pane che sa di sale a ogni anima generosa.

Ma non mentiva; nè caparrava riuomanza al suo nome piaggiando chi lo sfamasse. E quando fu morto, ben poterono le sue ceneri essere minacciate di rimanere bagnate dalla pioggia e mosse dal vento, per opera di chi non sa leggere nel libro della giustizia divina più che una faccia; ma le sue parole durarono per ogni ge-