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il paradiso delle signore

mano un gran sacchetto di cuoio, e col braccio mutilato stringendosi al petto un portafoglio enorme; dietro lui, il figlio suo, Alberto, portava un carico di sacchetti da rompergli le braccia.

— Cinquecentottantamila duecentodieci franchi, e trenta centesimi! — gridò il cassiere, cui il volto s’illuminò d’un raggio di sole nel pronunziar tanta cifra.

Il Paradiso non aveva guadagnato mai quanto quel giorno. Lontano, dalla profondità dei magazzini che il Lhomme aveva lentamente attraversati col passo pesante d’un bove troppo carico, si sentiva il clamore della meraviglia e della gioia che l’immane incasso lasciava dovunque passava.

— Bene! — disse il Mouret gongolando. — Mio bravo Lhomme, posate qui tutto e riposatevi perché non ne potete piú. Ci penserò io a far portare il danaro alla cassa centrale... Sí, sí, tutto lí sul mio banco: voglio vedere il monte!

Era allegro come un bambino. Il cassiere e il suo figliuolo si scaricarono. Il sacco mandò un acuto tintinnio d’oro; due dei sacchetti si strapparono lasciando cascare argento e rame; e dal portafoglio fecero capolino biglietti di banca. Quasi mezzo il gran banco ne fu coperto; era un patrimonio piovuto giú in dieci ore.

Quando il Lhomme e Alberto se ne furono andati, asciugandosi la fronte, il Mouret rimase immobile un istante, sopra pensiero, con gli occhi fissi sul danaro. Poi, alzando il capo, vide Dionisia che s’era scostata; e ricominciò a sorridere, la fece riavvicinare, e alla fine le disse che le voleva dare quanto oro potesse pigliare con una manciata. In fondo allo scherzo c’era una dichiarazione d’amore.


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