Pagina:Zola - Il paradiso delle signore - 1936 - Mondadori.pdf/379

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trepidazione, non potevano essere che il sussulto inconscio dell’amore, il turbamento d’un affetto nascente nella sua selvaggia anima di fanciulla. Non ragionava piú, sentiva soltanto ch’essa l’aveva sempre amato, fin dal momento che aveva dovuto fremere e balbettare dinanzi a lui. L’amava quando ne aveva timore come d’un padrone spietato; l’amava quando in cuor suo pensava confusamente all’Hutin, cedendo, senza accorgersene, ad un bisogno d’amore. Se anche si fosse data a un altro, non avrebbe amato che quell’uomo il cui sguardo l’atterriva. E tutto il passato le riviveva dinanzi, svolgendosi nella luce viva della finestra, la severità dei primi mesi, la passeggiata cosí dolce sotto le ombre nere delle Tuileries; per ultimo, i desideri dei quali egli la carezzava dal giorno in cui era tornata. La lettera scivolò per terra, e Dionisia seguitò a guardare la finestra che, colpita in pieno dal so le, l’accecava.

A un tratto sentí picchiare, e si affrettò a raccattare la lettera e a ficcarsela in tasca. Paolina, con un pretesto qualsiasi, era venuta via dalla sezione per chiacchierare un po’ con lei.

— Come vi sentite? Non vi si vede piú!

Ma essendo proibito salire nelle stanze, e soprattutto chiudervisi in due, Dionisia la portò in fondo al corridoio dove c’era il salotto, regalo del Mouret alle ragazze, che ci potevano passare la serata aspettando le undici. La stanza, dipinta a bianco e oro, volgare come un salotto di albergo, era ammobiliata con un pianoforte, un tavolino in mezzo, poltrone e canapé coperti di fodere bianche.

— Posso camminare, ora — disse Dionisia. — Stavo per venir giú.


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