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il paradiso delle signore


— Guardate! ora che ha partorito, la portano a spasso! — mormorò, quando vide che la signora Aurelia sorreggeva Dionisia.

Margherita si strinse nelle spalle dicendo:

— Codesta, cara mia, non sa di nulla.

Sonarono le nove. Fuori, un cielo d’un azzurto infocato scaldava le vie; delle carrozze correvano verso le stazioni; tutta la gente vestita a festa si avviava in lunghe file verso la campagna. Nel magazzino inondato dal sole, per i finestroni spalancati, gl’impiegati avevano cominciato allora a far l’inventario.

Avevan chiuse le porte: e la gente si fermava sul marciapiede, meravigliata di veder chiuso quando invece dentro c’era un gran da fare. Di cima in fondo alle gallerie, nelle corti, dal primo all’ultimo piano, era un tramestio di commessi, braccia per aria, pacchi che volavano sulle teste, in mezzo a una tempesta di cifre, e ripetute con una confusione di voci alte, che saliva e turbinava in un frastuono assordante.

Ogni sezione lavorava per conto suo, senza darsi pensiero della sezione accanto: erano proprio sul principiare; giacevano per terra, soltanto poche merci. Se volevan finire in serata, bisognava tirar via.

— Perché siete scesa? — domandò cortesemente Margherita a Dionisia. — Vi farete del male, e qui c’è quanta gente si vuole.

— Glie l’ho detto anch’io! — soggiunse la signora Aurelia — ma ha voluto fare a modo suo.

Tutte le ragazze s’affollarono intorno a Dionisia, interrompendo il lavoro, per rallegrarsi con lei, e ascoltare il racconto della sua storia, interrompendolo via via con esclamazioni.

Finalmente la signora Aurelia la mise a sedere


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