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zola


La sezione delle sete era come una gran camera d’amore, tappezzata di bianco dal capriccio d’una amante bianca come la neve, che volesse con la neve gareggiar di candore. Tutti i lattei pallori d’un corpo adorato si trovavano là: dal velluto delle reni sino alla morbida seta delle cosce e al raso splendente del petto. Pendevano dalle colonne velluti; sete e rasi spiccavano su quel fondo di bianco crema, in drappeggiamenti d’un bianco di metallo e di porcellana; e v’erano anche festoni di sete e foulards digradanti dal bianco plumbeo d’una bionda norvegese al bianco trasparente riscaldato dal sole, d’una italiana o d’una spagnola di capelli rossi.

Il Favier stava misurando della stoffa bianca per la «bella signora», la bionda elegante che i commessi chiamavano sempre a quel modo. Da anni ella veniva al banco, e non sapevano ancora né chi fosse né dove stesse: nessuno, del resto, cercava di saperlo, sebbene ogni volta, cosí per discorrere, ciascuno facesse la sua brava supposizione. Dimagrava, ingrassava, aveva dormito bene, doveva essere andata la sera innanzi a letto tardi; ed ogni fatterello della sua vita ignota, avvenimenti esterni, drammi interni, eran cosí nel magazzino commentati e ricommentati a forza di fantasia. Quel giorno pareva assai allegra. Perciò, quando il Favier tornò dalla cassa dove l’aveva accompagnata, espose le sue riflessioni all’Hutin:

— Deve stare per riprender marito.

— Dunque è vedova?

— Non lo so... ma vi dovete rammentare che, la volta passata, era in lutto... A meno che non abbia guadagnato alla Borsa!


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