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il paradiso delle signore

stanca morta; mi voglio mettere un po’ a sedere.

Ma nella sala di lettura non trovarono una seggiola vuota. Intorno alla tavola coperta di giornali, alcuni stavano a leggere, con la pancia in fuori, senza aver la cortesia di far posto. Delle donne scrivevano, col viso sul foglio, come per nasconderlo sotto i fiori dei cappelli. La De Boves non c’era; ed Enrichetta perdeva già la pazienza, quando vide il Vallagnosc che cercava anche lui la moglie e la suocera. Salutò, e disse:

— Devono essere alle trine... Non sanno staccarsene mai... Vado a vedere.

Ma prima d’andare, ebbe la gentilezza di procurar loro due seggiole.

Alle trine la folla cresceva ogni minuto. La grande esposizione del bianco vi trionfava nei candori piú delicati e costosi: era la tentazione acuta, la follia del desiderio: e le donne vi resistevano male. La sezione pareva trasformata in una cappella bianca. Veli e trine, cadendo dall’alto, facevano un cielo bianco, uno di quei veli di nuvole che con la loro rete sottile tolgono forza e fiamma ai raggi del sole mattutino. Intorno alle colonne scendevano gale di malines e valenciennes, come bianche gonnelle di ballerine, cadute con un fremito bianco fino a terra. Poi, da tutte le parti, su tutti i banchi, il bianco veniva giú a fiocchi: trine spagnuole leggiere come un soffio, le «applicazioni» di Bruxelles con i loro fiori aperti sulle maglie fini, i punti a ago e i merletti di Venezia con i loro disegni piú gravi, le trine di Alençon e quelle di Bruges, d’una ricchezza regale, quasi religiosa. Pa-


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