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il paradiso delle signore

chiese se la doveva acciuffare anche lei, sebbene non le avesse visto prender nulla.

Ma il Bourdoncle, per usare tutti i riguardi, disse che non era il caso di farla entrare, in nome della morale, per non costringere una madre ad arrossire in faccia alla figliuola. I due uomini se n’andarono intanto in una stanza vicina, mentre le ragazze frugavano la contessa e le levavano perfino il vestito per guardarle nel seno e nei fianchi. Oltre le trine d’Alençon, dodici metri da mille franchi l’uno, nascosti in fondo a una manica, le trovarono in seno, caldi e compressi, un fazzoletto, un ventaglio, una cravatta; in tutto un quattordicimila franchi di trine. Da un anno la De Boves rubava cosí, spinta da un bisogno maniaco, irresistibile. Il male si faceva sempre piú acuto, fino a diventare una voluttà necessaria alla sua vita, disperdendo tutti i ragionamenti della prudenza, appagando la smania con un godimento piú acre perché ella arrischiava sotto gli occhi di tutti il suo nome, il suo orgoglio, l’alto posto del marito. Ora che il marito le lasciava votare le cassette, lei rubava con le tasche piene di denaro, rubava per rubare, come si ama per amare, frustata dal desiderio, nel convulso dei nervi che le cupidigie del lusso non mai soddisfatte avevano eccitato in lei, tra l’enorme e brutale tentazione dei grandi magazzini.

— È un tranello! — esclamò lei quando il Bourdoncle e il Jouve tornarono. — Mi han messo addosso le trine! lo giuro davanti a Dio!

Piangeva lacrime di rabbia, caduta su una seggiola, sentendosi soffocare nel vestito mal riabbottonato. Il Bourdoncle mandò via le ragazze; poi, pacatamente:


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