Il vicario di Wakefield/Capitolo decimoprimo

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Capitolo decimoprimo

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo decimoprimo
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CAPITOLO DECIMOPRIMO.

La famiglia si ostina pur sempre a farla da grande.

Il giorno che seguì poi, essendo la festa di san Michele, fummo invitati per la sera ad abbruciar noci1 e far badalucco a casa del nostro vicino Flamborough. Se la mortificazione della domenica non ci avesse alquanto umiliati, non avremmo probabilmente lasciato di torcere il viso a quell’invito; ma così la ventura fu accolta a prima giunta e di buon grado. L’oca e i camangiaretti del nostro buon vicino erano squisitissimi, ed eccellente la cervogia di pomi, anche a giudicio di mia moglie che per tal bevanda aveva palato sottile. Gli è vero che il di lui modo di narrar favole non era ottimo del pari come la sua mensa; perchè ne diceva di lunghissime e tutte castronerie, e tutti fatti di casa sua, pe’ quali avevamo già riso le mille volte tanti dì prima: ma discreti e civili noi ci determinammo a sghignazzare anche la mill’una. Il [p. 65 modifica]signor Burchell, ch’era uno della brigata anch’egli, studiava ogni maniera d’innocenti spassi affinchè l’allegria si protraesse; e propose tra quella gioventù che si giocasse a mosca cieca. La moglie mia anch’ella si lasciò indurre a prender parte in quel trastullo; e a me ciò non dispiacque, parendomi che non la fosse poi tanto vecchia. Il mio buon vicino ed io stavamo intanto adocchiando da un canto la brigata e ridendo d’ogni giuoco; e tratto tratto ci scappavan di bocca le lodi della destrezza nostra di un tempo. Finita la mosca cieca, si giocò a guancialin d’oro, poi agli spropositi, e da ultimo alla pianella. Siccome egli è facile che molti non sappiano che sia questo passatempo antichissimo, gli è necessario avvertire che a questo giuoco la brigata si distribuisce tutta per terra in cerchio. Una sola persona sta ritta nel mezzo, ed ella deve acchiappare una scarpa che gli altri fanno intorno passare velocemente dall’uno all’altro per di sotto il garetto, appunto quasi come il tessitore la spola. Essendo in questo caso impossibile che chi è in piedi tenga occhio ad ognuno, la bellezza del giuoco consiste nel dargli una percossa col calcagno della scarpa dove egli meno si possa difendere. In cotal guisa stava in mezzo al cerchio la mia figliuola maggiore, ricevendo percosse, tutta rossa in faccia, sganasciandosi per le risa e menando schiamazzo dei colpi falliti con voce da assordare un cantambanco; quando ogni cosa va sossopra, si grida che vien gente, ognun domanda chi sia, ed entrano in camera le due nobilissime nostre amiche madama Blarney e madamigella Carolina Guglielmina Amalia Skeggs. Ogni descrizione verrebbe meno a voler dire quanto ci accorasse quel nuovo disgusto. Ahi sciagura! esser vedute da gentildonne di tal raffinato intelletto in atteggiamenti tanto volgari! Già non si poteva aspettar di meglio da un trastullo così villano suggerito da un Flamborough; e per alcuna pezza stemmo sbalorditi, muti, immobili come sassi. [p. 66 modifica]

Le due gentildonne erano state a casa nostra; e non avendoci trovati, vennero in traccia di noi onde sapere per qual cagione non fosse andata il dì innanzi alla chiesa la mia famiglia, e ne mostravano affanno grande. Olivia fe’ da oratore per noi, e narrò il tutto in compendio con queste parole: “fummo rovesciati da cavallo.” Si turbarono allora le gentildonne, ma sentendo non v’essere stato alcun male, ricomparve sui loro volti l’allegria: poi in udire che per lo spavento quasi tramortimmo, si fecero meste di bel nuovo; e di nuovo esultarono quando dicemmo di aver avuta la buona notte. Le accoglienze per loro ripetute alle mie figliuole furono sommamente amorose; e se le dimostrazioni d’affetto della sera del ballo erano state calde, queste d’oggi erano un fuoco, e palesavano con assai belle parole un gran desiderio di contrarre amicizia più stretta e durevole. Madama Blarney poneva amore particolare in Olivia; e madamigella Carolina Guglielmina Amalia Skeggs (mi piace dir tutto il nome alla distesa) si affezionò di più alla sorella. I discorsi si tennero tra le due nobil donne, e le fanciulle stavano in un lato senza neppur fiatare, ammirandone il molto sapere.

Ogni lettore, per quanto mendico egli sia, è vago di dialoghi signorili e d’istorielle di dame e cavalieri dell’ordine della Giarrettiera; quindi io domando licenza di poter farlo partecipare della conclusione di quei ragionari.

Madamigella Skeggs. Io non so d’altro intorno a questa faccenda, se non che sarà vero o non vero quel che voi dite: s’accerti però Vostra Eccellenza, ed io lo so da poterlo narrare, che tutta la folla era stupefatta. Il viso del cavaliere mutò cento colori in un punto, e la dama fu colta da un deliquio: ma il signor Tomkyn, sfoderata la spada, giurò di volere rimaner suo fino all’ultima stilla di sangue.

Madama Blarney. Ebbene, sappi che la duchessa non [p. 67 modifica]me ne fece mai motto, e credo che S. E. non mi tacerebbe la menoma cosa del mondo. Ma tieni poi per fermo, che la mattina appresso S. E. il duca gridò tre volte al suo cameriere, Jernigan, Jernigan, Jernigan, portami i miei legáccioli.

Ma prima di tutto io doveva informarti, o lettore, della malacreanza del signor Burchell che seduto colla faccia rivolta al fuoco intanto che stavano le donne favellando, al finire d’ogni sentenza esclamava oibo! il qual motteggio spiaceva a ciascuno di noi, e sopiva alcun poco il brio della conversazione.

Madama. Oltre di che non v’ha cenno, o mia cara Skeggs, nel sonetto fatto in quell’occasione dal dottore Burdock. Oibò!

Madamigella. Stupisco davvero, perchè scrivendo egli solamente per suo trattenimento, non omette mai ne’ suoi versi la minima cosellina: ma gli avrebbe que’ versi V. E. da potermeli mostrare? — Oibò!

Madama. Viscere mie, degg’io portar meco di sì fatte cose? E capperi come è bello il sonetto! Io me ne intendo ancor io di poesia; so di giudicarla, o almeno so quel che mi piace. Fui sempre ammiratrice de’ poemetti del dottor Burdock, perchè, se ne levi i suoi versi e quelli della nostra cara contessa d’Annover-Square, non sortono tuttodì dalle stampe che buassaggini le più insulse della terra, le quali non hanno nè un micolino di quel sale che ricercano le orecchie nobili come le nostre. — Oibò!

Madamigella. Vostra Eccellenza dovrebbe almeno eccettuare le di lei proprie produzioni inserite nel Magazzino delle Dame. Già non pensate voi certo che in quell’opera siavi cosa alcuna che puzzi di plebaglia. Eh! ma temo che non avrem più nulla da quel lato per nostra sventura. — Oibò!

Madama. E perchè questo? Sai che la compagna che mi leggeva mi ha abbandonata per isposare il capitano [p. 68 modifica]Roach; e a me non permettendo li poveretti occhi miei di scrivere io di mia mano, sono stata alquanto di tempo alle vedette per trovarne un’altra. Ma una persona a dovere non è si tosto rinvenuta; e di vero trenta lire all’anno sono magro stipendio per una zitella ben educata, di savie maniere e che sappia leggere, scrivere, e comportarsi civilmente nelle conversazioni. Guarda fin che tu vuoi, fra tutte le cittadinuzze non ve ne ha una da scegliere. — Oibò!

Madamigella. Lo so pur troppo per esperienza; chè delle tre compagne mie di questi sei mesi andati, l’una ricusava di lavorare un’ora il dì; l’altra trovò scarso salario quello di venticinque lire, e la terza fui costretta mandarla pe’ fatti suoi, perchè io teneva sospetto ch’ella avesse alcuna mala pratica col cappellano. La virtù, mia cara Blarney, sì, la virtù vale un tesoro; ma dove trovarla mai? — Oibo!

Mia moglie era stata lungamente in orecchi per udire di ch’elle ragionassero; e l’ultima parte di que’ parlari l’aveva scossa da capo a fondo. Cospetto! trenta lire e venticinque ghinee montavano a cinquantasei lire e cinque soldi di moneta inglese; la qual somma pareva andar mendicando chi l’accogliesse, e si poteva facilmente farla nostra. Per qualche momento ella si affisò a’ miei sguardi a fine d’investigare s’io dava segno d’approvazione; e per dirla schietta, m’era avviso che quegli incarichi si confacessero assai bene alle due figliuole: chè se poi lo scudiero amava proprio la maggiore, quello sarebbe stato a ogni modo il mezzo onde renderla degna di tale fortuna. Però mia moglie deliberò che la troppa timidezza non ci dovesse guastare l’uovo in bocca, e diè principio a un’orazione in favor della famiglia con queste parole: “Io spero che le eccellenze vostre mi perdoneranno tanto ardimento; e davvero noi non abbiamo alcuna ragione per aspirare a così bello onore: ma gli è pure cosa naturale che una madre s’ingegni di mettere in vista i suoi [p. 69 modifica]figliuoli, procurandone li vantaggi. Non istà a me il dirlo, ma potrei quasi asserire che le mie due fanciulle hanno avuta una discreta educazione. È in loro fior d’intelletto, e non vi ha di meglio almanco in tutta la provincia. Leggono, scrivono e conteggiano; hanno buona mano di cucire a punto allacciato, a punto a strega, a punto in croce e mill’altri; e fanno calze, frastagli e passamani. Elle sanno alcunchè di disegno e di musica; sono buone a dar la salda alla biancheria e pigliarla a piegoline, e ricamano altresì veli assai bene. La maggiore cincischia de’ begli scherzi di cartone, e la più giovane con un mazzo di carte da giuoco indovina un mondo di casi. — Oibo!

Com’ebbe ella fiatato questo squarcio di eloquenza, le due gentildonne si guatarono l’una l’altra in viso senza aprir bocca in aspetto dubbioso e severo, e così stettero per alquanti minuti; finchè poi madamigella Carolina Guglielmina Amalia Skeggs si degnò di affermare che, per quanto ella aveva potuto comprendere in sì breve periodo di amicizia, le due giovanette sarebbono state a proposito per tali impieghi; ma che un affare di tanto momento richiedeva un maturo esame del loro carattere, e ch’era mestieri conoscersi a vicenda più addentro: non ch’ella perciò dubitasse punto della loro virtù, prudenza e discrezione; ma perchè bisognava osservare una certa formalità in simili casi, una formalità indispensabile.

La moglie mia approvò altamente la cautela di lei, dicendosi anch’essa donna che andava sempre col calzar del piombo; ed esibì sulla saviezza delle fanciulle le informazioni di tutto il vicinato, che le gentildonne rifiutarono come inutili, bastando che le avesse raccomandate il cugino Tornhill; e qui finirono le nostre supplicazioni.

Note

  1. Scherzo giovanile. Due noci si accostano al fuoco e si figurano due amanti; se abbruciano entrambe a un tratto, se ne augura un matrimonio in quell’anno; se l’una prima e l’altra dopo, non vi ha nozze a sperare.