Il vicario di Wakefield/Capitolo decimoterzo

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Capitolo decimoterzo

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo decimoterzo
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CAPITOLO DECIMOTERZO.

Il sig. Burchell è dichiarato nemico, perchè ha il coraggio di dare un consiglio che non piace.

Cento volte aveva tentato la mia famiglia di sollevare in alcuna maniera la testa, e per cento inopinate disgrazie n’era sempre andata col peggio; ed io procurava di giovarmi d’ogni disastro per migliorarne il senno, a misura che l’ambizione veniva delusa. “Voi vedete, figliuoli miei,” io diceva, “quanto poco si guadagna col voler ingegnarsi di gabbare il mondo e uscire dai limiti della nostra condizione. Il povero che non brama d’accompagnarsi che al ricco, è odiato da quelli ch’egli trascura, e sprezzato da coloro a cui va dietro. Sempre alla parte debole sono dannose le alleanze tra’ disuguali, perchè il ricco ne ha l’utile, e al meschino non ne rimane che tutto il disagio. Ripeti, o Ricciardetto, pel bene di costoro la favola da te letta ieri.” — “Fu già tempo che un gigante ed un nano erano amici, e vivevano insieme. Fecero patto tra di loro di non abbandonarsi mai, ed uscirono in cerca d’avventure. Il primo combattimento da loro sostenuto fu con due Saraceni; e il nano, tutto coraggio, menò furiosamente un manrovescio ad uno de’ campioni. Poco danno n’ebbe il Saraceno, che, levata alto la scimitarra, [p. 76 modifica]tagliò di netto il braccio al povero nano. Egli allora era a mal partito; ma, giunto il gigante in suo soccorso, in poco tempo quei stese freddi sul terreno li due Saraceni; e il nano, per ira, spiccò il capo dall’imbusto del suo nimico già morto. S’avviarono poscia ad altre imprese: ed eccoti tre satiri, sitibondi di sangue, rapire a forza una infelice pulzella. Il nano non era più tanto feroce; nondimeno colpeggiò per il primo, e n’ebbe una in compenso sì crudele, che gli cacciò fuori un occhio. Ma il gigante superò tosto que’ satiri; e se coloro non si mettevano la via tra le gambe, ei uccidevali tutti l’un dopo l’altro. Lieti oltremodo dell’ottenuta vittoria, condussero seco la giovinetta riscattata, la quale s’innamorò del gigante e lo sposò. Viaggiarono più ch’io non so dire; e diedono finalmente in una masnada di malandrini, al primo incontrarsi coi quali, il gigante era innanzi, e il nano gli venía dietro alcuni passi discosto. La zuffa fu vigorosa ed ostinata; ovunque giungesse il gigante, ogni cosa andava sossopra; ma più d’una volta il povero nano da morte a mala pena scampò. La fortuna arrise ultimamente ai due, e ne uscirono vincitori; ma il nano vi lasciò una gamba. A lui che oramai perduto aveva un braccio, un occhio e una gamba, gridò il gigante intatto d’ogni menoma ferita: — Vieni, eroe piccino; queste le sono gloriose imprese; tentiamo d’ottenere un’altra vittoria, e saremo onorati in eterno. — No no, disse il nano fatto ora più savio; giuro di non voler altro combattere, perchè n’è tutta tua la gloria e la ricompensa, e toccano a me solo, poveretto, le percosse e lo strazio.”

Io stava per ridurre a moralità questa favola, quando la mente fu distratta da una calda contesa insorta tra mia moglie e il signor Burchell, intorno al mandare alla città le fanciulle. Magnificava Debora l’utilità che ne verrebbe; per lo contrario, Burchell la dissuadeva a più potere da quel proposito, ed io me ne rimaneva cheto, senza voler parteggiare per alcuno. I di lui argomenti non [p. 77 modifica]sembravano formare che la seconda parte di quel sermone che la mattina era stato accolto sì male. La disputa inagrestì; e la povera Debora, in vece di addurre ragioni, alzava la voce; e fu da ultimo costretta a dover difendersi da una intera sconfitta, con un grido fortissimo. La conclusione del discorso di lei era sommamente spiaciuta non per tanto a tutti noi; quell’incauta dicendo saper ella benissimo che molti nel dar consigli sono spinti da segrete ragioni, ma che tal razza di gente avrebbe veduta volentieri sbandita di sua casa per l’avvenire. Burchell, con una certa aria serena atta ad aizzarla vieppiù, le replicò che di ragioni segrete egli ne aveva pur troppo, e si asteneva dal palesarle, perchè la scorgeva incapace di soddisfare con risposte alle manifeste; e che avvedendosi le sue visite esser divenute importune, dimandava commiato per allora; e non sarebbe venuto a casa nostra se non forse un’altra volta per darci l’ultimo addio, prima di partire da quella provincia. Ciò detto, prese il cappello e se n’andò, senza che gli sforzi di Sofia, che colle occhiate lo rimproverava di quel suo precipitoso partito, valessero a rattenerlo.

Tutti, per alcuni minuti, ci guardammo in volto l’un l’altro confusi e smarriti; e mia moglie che sapeva esserne ella la cagione, si sforzava di nascondere il turbamento suo con un sorriso stentato ed una certa fidanza ch’io mi sentii voglia di biasimare con queste parole: “E così, o donna, si trattano da noi i forestieri? così li rimuneriamo delle gentilezze loro? Sappi che non t’è mai scappato di bocca un motto più incivile in tutta tua vita, nè che più mi contristasse.” — “A che provocarmi egli dunque? Ma so ben io,” rispose, “quali sono i motivi delle sue ammonizioni. E’ voleva distormi dal mandare le fanciulle alla città, per godere qui in casa a posta sua della compagnia della minore. Ma sia che vuole, ella sceglierà un miglior amico che non è quel villanzone.” — “Villanzone di’ tu? Gli è assai facile che noi prendiamo [p. 78 modifica]abbaglio sul conto di lui, perchè in molte occasioni ei mi parve il più compíto gentiluomo ch’io conoscessi. Dimmi, Sofia, ti ha egli data mai la menoma prova d’affetto?” — “Ah! caro padre, i suoi parlari furono sempre giudiciosi, modesti ed ameni; del resto, io non mi accorsi mai di nulla. Una volta mi ricordo d’averlo udito dire, ch’egli non sapeva d’alcuna donna la quale avesse fatta stima di un uomo d’aspetto povero.” — “Figliuola mia, questo è il solito lamento degli sgraziati e degl’infingardi. Ma tu, ben educata qual sei, pesi saviamente codesta genía, nè ignori che sarebbe folle chi attendesse la propria felicità da un uomo che fu sconsigliatissimo economo de’ suoi beni. Tua madre ed io abbiamo la mira a qualche cosa di meglio per te. Il verno prossimo tu ’l passerai probabilmente in città, e n’avrai agio di fare una scelta più prudente.”

Quali si fossero in quest’incontro i pensieri della Sofia, io non ardirei indovinare; ma in segreto il mio cuore andava lieto del veder lontano un ospite che a non poco timore destavalo. Sentiva io rimorso in vero d’aver tradita l’ospitalità; ma lo acquietai con belle e colorate ragioncine, le quali mi contentarono, e mi posero in pace con me medesimo. Le angustie della coscienza dopo il fallo son presto vinte, perch’ella è una codarda che quando non ha forze bastanti per prevenire il delitto, neppur lo danna dappoi; come quella che rade volte a tanta giustizia aggiunge.