Pagina:Chiarini - Dalle novelle di Canterbury, 1897.djvu/137

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64 novella del cavaliere.

mente non volle nessun riscatto, ma gli lasciò piena libertà di andare dovunque volesse, ad una condizione: che se per caso Arcita fosse còlto di giorno o di notte, anche per un momento, in una città del regno di Teseo, e venisse arrestato, perderebbe la testa con un colpo di sciabola. Questo fu il patto, e non c’era per Arcita altra speranza di rimedio o altra via di scampo. Cosí egli partí, e s’avviò in fretta verso casa sua. Stia bene attento, però, perché la sua vita corre un gran pericolo.

Quanto soffre, intanto, il povero Arcita! Si sente la morte nel cuore; piange, si lamenta, si dispera che fa pietà a sentirlo, e pensa di darsi la morte. Poi grida: “Maledetto il giorno che son venuto al mondo! Eccomi condannato ad una prigione piú dura di quella di prima: eccomi condannato non dico al purgatorio, ma alle pene dell’inferno. Ah! non avessi mai conosciuto Piritoo: cosí sarei ancora presso Teseo legato in prigione, ma felice, e non un disgraziato come sono ora. La sola vista di colei che io servo senza sperare di essere mai degno della